Un film di Joel Coen, Ethan Coen Articolo di Daniel Montigani
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C’è una sorta di autunno fastidiosamente denso, come rattrappito, pesante e invasivo che fuoriesce dalla maggior parte delle inquadrature di questo nuovo film dei fratelli Coen. È un autunno privo di poesia, che consegna negli occhi dello spettatore una tristezza continua, insistente e persistente nella sua apatia e indifferenza.
I Coen orchestrano per tutta la durata del film una sorta di “pesante settembre dell’anima”, emanato non soltanto, a un primo livello, dalla stagione così fredda da risultare talvolta quasi paralizzante, ma anche dal grigio simile a un tonfo offerto da una città – New York – che inghiotte nella sua frenesia e distanza, e dai personaggi, a partire ovviamente dal protagonista Davis.
Siamo nel 1961: Davis (Oscar Isaac) è un musicista folk piuttosto spiantato con una vita che è ormai “sull’orlo di una crisi di tutto”. L’uomo, trafitto da una quotidiana esistenza di sopravvivenza e da ostacoli che gli impediscono di poter sfondare nel mondo della musica, si aggira per una New York scolpita da un freddo particolarmente rigido alla ricerca di un poco di successo. Attraverso un sentimento che esprime una sorta di arrendevolezza agrodolce nei confronti della vita, i Coen immediatamente danno il via a queste atmosfere di tristezza che, soprattutto nel corso dei primi minuti, rasentano una cupezza quasi bergmaniana: il protagonista Davis, all’interno di un locale, accompagnato semplicemente da una chitarra da lui stesso suonata, canta con tono sommesso, quasi intimo di storie a base di fragilità scandalose e naturali dell’essere umano, di tombe, di impiccagioni. Una specie di aria, di bolla questa cupa, da foglie secche tristemente scricchiolanti, che però è qua e là interrotta da delle piccole “pause di luce”, rappresentate principalmente da alcuni personaggi secondari brillanti, grotteschi e desolanti allo stesso tempo, presenti soprattutto durante la seconda parte. Anche nei loro film più “classici” (le virgolette sono praticamente d’obbligo), lineari come questo i Coen inseriscono sempre con frequente non chalance una cifra bizzarra, o comunque dal sapore squisitamente eccentrico che rende l’opera non certo povera di momenti sostanziosi: le quasi surreali, divertenti e spaurite soggettive del gatto in metropolitana che guarda fuori dal finestrino le varie fermate che si susseguono frenetiche; la scena in cui Davis, nel pieno della notte, ferisce involontariamente in un luogo remoto un animale selvatico in fuga, azione seguita da una bellissima inquadratura piena di neve, momento magistrale che detta, impone ipnosi fra incanto sospeso, quasi fiabesco e orrore schifosamente reale e realistico. Nonostante ciò, non è però purtroppo difficile notare quanto, alla fine, A proposito di Davis sia un’opera minore nella filmografia dei Coen, dove le scene preziose sono in realtà piccole, preziosissime isole incastrate un po’ a fatica in un mare non poche volte scontato, già visto. Si tratta, insomma, di un film purtroppo in parte irrisolto, soprattutto se paragonato a un misterioso e seducentemente criptico capolavoro come “Barton Fink”. Daniel Montigiani
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Aldo Pardi, Claudia Landolfi, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Alessandro Rizzo, Fabio Treppiedi, Silverio Zanobetti, Sara Maddalena, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Alessia Messina, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Enrico Pastore, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Francesco Panizzo.
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