SNOWPIERCER,
Un film di Joon-Ho Bong Articolo di Daniel Montigani
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Un’inquadratura che sarebbe completamente nera, persa nel buio se non fosse per alcuni sprazzi sottili ma minacciosi di neve spinti dal vento che la attraversano. Parallelamente, fuori campo, una voce femminile proveniente da una lontana stazione radio ci rende partecipi della disgrazia totalizzante, di un’inaspettata apocalisse che ha ormai avvolto, preso e conquistato il mondo. In seguito a guerre e a drastici cambiamenti climatici il mondo si è letteralmente congelato: luoghi, città e popolazioni pesantemente coperti dal ghiaccio, morti, ormai inesistenti. Si sono salvati soltanto alcune centinaia di passeggeri che si trovavano a bordo di un treno che ormai fa continuamente il giro del mondo senza mai fermarsi. Ma la “distopia” qui è doppia: non soltanto quella creata dalla glaciazione, ma anche quella interna al treno, dove vige una rigida divisione fra ricchi – che occupano gli scompartimenti più esclusivi – e poveri, relegati nelle zone più squallide e costretti a sopravvivere continuamente con misere barrette di misteriose proteine. Ma una rivoluzione è pronta ad essere messa in atto.
È con questo “incontro” fra buio e neve che ha inizio il nuovo film di Joon-Ho Bong, un’immagine che ben esprime il senso di diffusa mancanza di armonia, di pericolosa dispersione, di brancolamento cieco e quotidianamente disperato della maggior parte dei sopravvissuti, costretta a stare rinchiusa in un treno e a subire il capitalismo dei pochi. I più generosi potrebbero parlare di una sorta di blockbuster d’autore, ma in realtà, specialmente se ripensiamo alle sue pregevoli opere precedenti come The mother, Snowpiercer sembra più un film di una spettacolarità piatta, dal cui terreno di immagini escono ogni tanto e a fatica i fumi del talento visivo dell’autore. Ottime idee si alternano a scene prive di consistenza e personalità. O, per meglio dire, tutta la pellicola è percorsa (e “percossa”, visto l’alto volume di sangue presente) da idee visive continuamente schiacciate da uno sguardo complessivo alquanto piatto. Innegabile, infatti, ad esempio, il fascino di certi scorci come l’inquadratura improvvisamente occupata dall’inaspettata distesa di boia in uno scompartimento, la scena della minuscola e colorata scuola per pochi “eletti” dove improvvisamente i mitra diventano protagonisti, il personaggio malefico, grottesco e demenziale allo stesso tempo interpretato da un’ottima Tilda Swinton, qui personalissimo incrocio fra Margaret Thatcher e il David Bowie della copertina di Diamond dogs. Si fa poi continuamente spazio sempre più una tensione genuina, ingombrante e rumorosa, che inghiotte e viaggia a una velocità ancora più drasticamente eccitata d quella dello stesso treno; è una tensione che riesce a imporsi con discreta vis anche quando l’intreccio qua e là si sloga e il filo del racconto involontariamente si confonde. Ma, allo stesso tempo, appunto, scorrono visioni, momenti davvero privi di bellezza e interesse, tipici di “megafilm” di fantascienza, come le riprese del treno in esterni che attraversa rapido le distese di neve, le musiche d’accompagnamento banalmente altisonanti, l’esagerazione incontrollata degli eventi finali. Un’occasione in buona parte spettacolarmente persa.
Daniel Montigiani
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Aldo Pardi, Claudia Landolfi, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Alessandro Rizzo, Fabio Treppiedi, Silverio Zanobetti, Sara Maddalena, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Alessia Messina, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Enrico Pastore, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Francesco Panizzo.
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