Speciale Festa del Cinema di Roma 2019. Nomad: in the Footsteps of Bruce Chatwin. Un film di Werner Herzog -. Articolo di Fabiana Lupo

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Revue Cinema Sezione diretta da Fabiana Lupo

SPECIALE FESTA DEL CINEMA DI ROMA 14ª edizione.

NOMAD:
IN THE FOOTSTEPS OF BRUCE CHATWIN

Un film di Werner Herzog

Articolo di Fabiana Lupo

A 30 anni dalla scomparsa di Bruce Chatwin, il suo amico Werner Herzog decide di fargli omaggio attraverso il genere cinematografico che più si avvicina all’esperienza estrema della ricerca continua vissuta dallo scrittore. Nomad: in the Footsteps of Bruce Chatwin è un documentario che, attraverso il racconto della personalità affascinante e seducente di Chatwin, ripercorre le sue opere come se fossero delle possibili sceneggiature di Herzog. I due, infatti, si sono incontrati per la prima volta in Australia nel 1983 sul set di Dove sognano le formiche verdi: da quel momento in poi è nato un rapporto fraterno, come lo definisce Herzog stesso, che li terrà legati fino al 1989, anno della morte di Chatwin.

Il film è strutturato in capitoli, durante i quali è il regista stesso a indossare lo zaino di Chatwin, da lui regalatogli poco prima di morire, e a ripercorrere quelle vie segrete e misteriose che hanno reso lo scrittore il rappresentante massimo della letteratura di viaggio. Herzog racconta di come Chatwin abbia iniziato il suo viaggio in Patagonia, affascinato dalla figura del cugino Charles Milward e dalla sua curiosa scoperta di un pezzo di pelle di milodonte, scambiato dall’antenato per un brontosauro.

“Il mondo si rivela a chi lo attraversa a piedi”, afferma Herzog, la cui estetica ha da sempre riguardato l’indagine sociologica e antropologica attraverso il mezzo cinema. Ai confini del mondo, anima inquieta alla ricerca di gruppi sociali lontani dalla vita occidentalizzata, il regista continua a indagare su quel misticismo magico che emanano quelle tribù che ancora oggi vivono attraverso i rituali e i canti sacri. Già tre anni fa, sempre alla Festa del Cinema di Roma, Herzog aveva presentato quel maestoso documentario che è Into the Inferno con cui, attraverso l’espediente dell’esplorazione geologica dei vulcani, il regista aveva indagato sul valore esistenziale che questi esercitano sulla popolazione indigena locale.

In Nomad: in the Footsteps of Bruce Chatwin invece il centro del viaggio è il viaggio stesso, l’attraversamento di culture diverse, di riti lontani e magici: il capitolo 3 (“Songs and Songlines”) è dedicato esclusivamente a “Le vie del canto”, a quell’opera dello scrittore che cerca di paragrafare gli antichi canti aborigeni australiani, particolarmente ermetici perché è attraverso i canti che queste tribù si orientavano nelle immense distese dell’entroterra dell’Australia. Herzog mostra il quaderno di Chatwin su cui ogni canto è rappresentato come se fosse una linea, quello che gli indigeni definiscono il “tempo del sogno”: cosa nasce prima, il canto o il paesaggio? Per gli autoctoni è un mistero vecchio come l’enigma dell’uovo e della gallina.

La capacità di Chatwin di partire dai fatti e di rielaborarli, di modificarli secondo il suo estro creativo è sin da subito sottolineata: ma questo poco importa a Herzog che, come ben sappiamo, non si scosta molto dall’autocompiacimento e dal narcisismo dello scrittore. Pur sottolineando spesso durante le interviste che il film non è su di lui, ma su Bruce, non riesce a tenere a freno il suo ego che, per gli amanti del suo stile, è un tratto identificativo importante dei suoi documentari. La sua voce, in e off-screen, i suoi racconti, i suoi aneddoti e, perché no, anche i suoi commenti sarcastici (la casa di Milward la definisce “estremamente brutta”) rendono le sue opere delle pietre miliari che possono essere amate o odiate; non esiste una vita di mezzo. E indubbiamente, per gli estimatori di Herzog, questo documentario è un’altra conferma di quell’incessante cammino nel mondo che il regista compie senza pace, scandagliando gli animi umani attraverso lo specchio della natura.

Fabiana Lupo

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