Tormentato dalle sue fobie, è chiaro che dalla sua produzione non ci si può di certo aspettare commedie romantiche o film che non lascino il segno: il suo essere volutamente istigatore diventa il modo catartico di liberarsi dal buco nero del suo mondo interiore. Una vita, la sua, a partire dall’infanzia, disinibita e, allo stesso tempo, sconvolgente: figlio di genitori nudisti ed estremamente liberali, Lars viene a sapere, solo sul letto di morte della madre, di essere figlio di un altro uomo, scelto appositamente come padre biologico per il suo “patrimonio genetico artistico”.
Il film, come quasi tutte le sue ultime pellicole, è suddiviso in cinque capitoli, o meglio, come definiti dalla didascalia, in “incidenti”: un modo diverso per definire alcuni degli omicidi che scandiscono l’ascesa artistica di una mente che considera i propri delitti come “incisi” (dal latino incidèntem, part. pres. di incidere, accadere, sopravvenire), atti improvvisi ma necessari per la realizzazione di un’opera d’arte totale.
Una confessione che ha tutt’altro che il sapore del pentimento, e che diventa il testamento artistico di un uomo che ha trasformato il suo lato oscuro in una forma di espressione nobile ed esteticamente coerente.
Il suo prototipo di casa diventa così più un pretesto per indagare sulla materia perfetta da utilizzare per elevare i suoi delitti a un grado alto di sofisticazione artistica: Mr. Sophistication è il nome d’arte che decide di adottare e con cui vuole farsi distinguere dai suoi “colleghi”.
La scelta del moderato cubismo di Gris rispetto ai più estremi e scomposti Picasso e Braque denota di fondo la volontà di Lars Von Trier di fare della decostruzione un primo passo per un progetto più grande e folle di ricostruzione, partendo proprio dalle vittime del protagonista.
Delle immagini di esempi di decomposizione dell’uva, utilizzata nell’industria vinicola tedesca per addolcire il sapore del vino, diventano a supporto della tesi di Jack, quasi a voler sottolineare l’inevitabile piacevolezza e necessità dei suoi crimini.
La “decomposizione”, sia quella formale che quella carnale, diventa quindi la strada necessaria per una “composizione” artistica totale: la casa fatta dei corpi irrigiditi delle vittime è la mise en scene perfetta, il luogo ideale in cui custodire il proprio testamento artistico.
The house that Jack built è per questo motivo il film più autoreferenziale e autobiografico che Lars Von Trier abbia finora realizzato: anche se ha dato nuovamente alle malelingue motivo di esistere, questa volta le zittisce stilando un trattato artistico coerente, di cui solo i grandi autori sono in possesso. Fabiana Lupo
Scrivono in PASSPARnous: k Bruno Benvenuto, Ubaldo Fadini, Tiziana Villani, Claudia Landolfi, Alfonso Amendola, Mario Tirino, Vincenzo Del Gaudio, Alessandra Di Matteo, Paulo Fernando Lévano, Enrico Pastore, Francesco Demitry, Sara Maddalena, Alessandro Rizzo, Gianluigi Mangiapane, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Fabio Treppiedi, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Stefania Trotta, Manuel Fantoni, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Massimo Maria Auciello, Maria Chirico, Ambra Benvenuto, Valentina Volpi, Massimo Acciai, Gianluca de Fazio, Marco Maurizi, Daniele Guasco, Carmen Guarino, Claudio Kulesko, Fabrizio Cirillo, Francesca Izzi, Libera Aiello, Antonio Mastrogiacomo, Giulia Vencato, Alessandro Baito, Margherita Landi, Nicola Candreva, Patrizia Beatini, Mirjana Nardelli, Stefano Oricchio, Manlio Palmieri, Maria D’Ugo, Giovanni Ferrazzi, Francesco Ferrazzi, Luigi Prestinenza Puglisi, Davide Palmentiero, Maurizio Oliviero, Francesco Panizzo. |
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