L’antimateria del sentimento First man “E allora capii che non era indifferenza, la loro, non era freddezza.
Non era neanche pudore: era un accettare la vita. Perché solo accettando la vita si accetta la morte e la morte bisogna accettarla, comunque essa venga, in qualsiasi momento essa venga, la morte fa parte della vita, la morte è il prezzo con cui si paga la vita, e piangerci sopra è da bimbi.” Articolo di Fabiana Lupo
È così che Oriana Fallaci, nel suo emozionante reportage Se il sole muore datato 1965, descrive gli astronauti conosciuti durante il suo soggiorno negli USA: uomini forti, razionali, ciecamente fiduciosi nel progresso. Ma questo non basta alla giovane Oriana, che con questo libro cerca di convincere il padre, ma in primis se stessa, del perché un uomo qualunque, con una vita felice, una moglie e dei figli, debba rischiare la sua vita per un salto nell’ignoto. La sua dottrina positivista è sempre accompagnata da un tocco malinconico, a tratti romantico, nei confronti di una generazione, quella dei suoi genitori, che ha dovuto, su questa Terra, fare i conti con la morte durante la Grande Guerra. Se accettare la vita significa anche accettare la morte, allora il lancio sulla Luna diventa la metafora di un viaggio esistenziale a cui è impossibile sottrarsi. Su questo mondo siamo tutti prima o poi chiamati ad essere astronauti e, quindi, ad accettare il nostro ciclo vitale.
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First man, il nuovo film di Damien Chazelle, parla proprio di questo. La vita di Neil Armstrong è segnata da una sfilza continua di funerali, quelli dei suoi compagni di “volo”, ma primo fra tutti quello di sua figlia Karen, scomparsa a due anni. Neil, prima ancora di essere conosciuto come il primo uomo a mettere piede sulla luna, è visto dai suoi amici e da sua moglie come un padre che non riesce ad affrontare un dolore impalpabile, onnipresente. L’immaterialità di questo sentimento rappresenta per il protagonista un salto nel vuoto, un volo senza fine, paradossalmente più sopportabile di un viaggio fuori dall’atmosfera terrestre. L’antimateria del sentire è così presente e ingombrante che solo un’entità di una tale portata può ricalibrare l’equilibro dell’animo. Il film di Chazelle è un’esplosione di materia umana, di legami molecolari a cui ogni atomo del protagonista cerca di ribellarsi ma di cui, alla fine, non può fare a meno. È accettazione di un ciclo, misto a un senso di religiosità inizialmente assente, ma in fondo quasi di matrice induista.
Quello che sconvolge a fine film è pensare che lo sguardo dietro la macchina da presa sia quello del regista di La La Land, un film fatto di estetismi tecnici e di una pulizia registica estrema. La scelta del 16 mm innanzitutto, accompagnata da una macchina a mano mossa, dà a First Man quell’aspetto un po’ indie un po’ d’auteur che sembra che dietro ci sia una piccola produzione da quattro soldi. Chiaramente così non è, e forse per questo ci si sente un po’ presi in giro da un regista che sa di avere a disposizione un gruzzoletto di circa 60 milioni di dollari. Ma lo stile è stile, soprattutto se ha un senso, e non si può biasimare un film solo per questo.
Al di là dei chiari riferimenti kubriackiani, a cui neanche Chazelle può sottrarsi, il film ha una coerenza strutturale notevole, a cui si somma una chiarezza di intenti ancor più genuina. Anche se il protagonista si muove nello spazio, non è mai lo spazio ad essere il protagonista. Chazelle non si lascia esaltare dalle possibilità visive del testo e resta fedele al senso: il film è fatto di PP stretti e di dettagli, pochi campi lunghi, anche quando il protagonista si muove fuori dalla propria orbita. L’universo percepito da Neil è quello visto dalla sua postazione, dall’interno del suo casco o, al massimo, da un riflesso di uno specchio. La Terra che si allontana, la Luna che si avvicina: un uomo al centro che, privo di gravità, cerca la sua dimensione in un viaggio di riconciliazione con la vita, ma prima ancora con la morte.
La scena più attesa, lo sbarco sulla luna, è messa in scena con un’originalità spiazzante: nel momento in cui Neil mette piede sulla luna, il suo casco diventa un buco nero in cui non è possibile individuare alcuna fattezza umana e su cui si riflette, in maniera deformante, l’ombra dell’astronauta. La macchina da presa vi gira intorno, quasi anch’essa priva di gravità, e lievita intorno all’uomo senza essere specchiata. Il silenzio che accompagna la sequenza rimbomba nelle orecchie. La domanda è lecita: è lo stesso regista che ha martellato i timpani con Whiplash? Solo, eppure seguito da miliardi di persone, Neil trova la forza di affrontare il suo cratere più profondo, lasciarvi sprofondare l’oggetto a lui più caro e accettare così la sua natura umana. First Man, è prima ancora di essere un film, una lezione di vita. Fabiana Lupo
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Bruno Benvenuto, Ubaldo Fadini, Tiziana Villani, Claudia Landolfi, Alfonso Amendola, Mario Tirino, Vincenzo Del Gaudio, Alessandra Di Matteo, Paulo Fernando Lévano, Enrico Pastore, Francesco Demitry, Sara Maddalena, Alessandro Rizzo, Gianluigi Mangiapane, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Fabio Treppiedi, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Stefania Trotta, Manuel Fantoni, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Massimo Maria Auciello, Maria Chirico, Ambra Benvenuto, Valentina Volpi, Massimo Acciai, Gianluca de Fazio, Marco Maurizi, Daniele Guasco, Carmen Guarino, Claudio Kulesko, Fabrizio Cirillo, Francesca Izzi, Libera Aiello, Antonio Mastrogiacomo, Giulia Vencato, Alessandro Baito, Margherita Landi, Nicola Candreva, Patrizia Beatini, Mirjana Nardelli, Stefano Oricchio, Manlio Palmieri, Maria D’Ugo, Giovanni Ferrazzi, Francesco Ferrazzi, Luigi Prestinenza Puglisi, Davide Palmentiero, Francesco Panizzo.
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