L’uomo che uccise Don Chisciotte Articolo di Fabiana Lupo
L’ultimo film di Terry Gilliam sembra essere scritto da un sognatore a tratti folle, visionario, a tratti malinconico, disilluso. L’uomo che uccise Don Chisciotte sembra inserirsi nella filmografia del regista come un tuffo nostalgico nel passato, ma con la consapevolezza e la maturità artistica di un uomo che non ha mai smesso di fare “castelli in aria”. Toby Grisoni (Adam Driver) è un giovane regista, famoso e adulato, il cui talento creativo è però messo a dura prova dall’essere costretto a trarre dalla sua opera prima, un’originale e sincera messa in scena del Don Chisciotte di Cervantes, uno spot pubblicitario ambientato tra finti mulini a vento e attori poco credibili. Dopo essersi imbattuto casualmente in una copia pirata del suo primo film, decide di lasciare il set, collocato nella Mancha spagnola, e di raggiungere Los Suenos, la località in cui dieci anni prima aveva girato amatorialmente quella sua prima pellicola. |
Intrappolato nel suo personaggio, il vecchio non riconosce Toby, il cui volto si sovrappone a quello del Sancho Panza del film: la mente dell’uomo è metaforicamente un velo di maya su cui ad essere riproposto non è il mondo in sé, bensì il mondo come appare. I due livelli visivi si fondono per crearne un terzo, quello del fantastico, che diventa per l’uomo la realtà assoluta.
Alla sua incapacità di scindere la realtà dalla fantasia si uniscono i sensi di colpa che Toby prova nei confronti dell’uomo. Ecco così tutte le premesse per ricongiungere i due, svestirli dei loro vecchi panni e capovolgerne i ruoli: non più regista, Toby è costretto faticosamente ad assecondare le visioni di don Chisciotte come se fosse un attore dilettante, incapace di recitare una parte che non gli si addice e alle prese con un “regista” incontenibile. La modernità del personaggio di don Chisciotte aiuta a dare alla trama i risvolti desiderati: il dramma interiore di un uomo che vive sospeso tra sogno e follia diventa alla fine lo stimolo per reagire e risvegliare in Toby la voglia insensata ma autentica di combattere contro i mulini a vento. Ed è forse proprio questo lato “reazionario” della trama che ha appassionato Gilliam per i lunghi anni di gestazione del film e che, probabilmente, sente artisticamente di condividere.
Sul prologo iniziale del film sembra infatti che da un momento all’altro debba spuntare fuori il re Artù e il Patsy di Monty Python e il Sacro Graal (tra l’altro interpretato dallo stesso Gilliam) con le sue noci di cocco a simulare l’incedere a cavallo. Ma inevitabilmente un’incubazione così lunga ha portato a indebolire quella verve iniziale e a diluire una sceneggiatura che qua e là fa acqua.
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