Perché The Handmaid’s Tale è diventato più inquietante dell’ultima stagione di Black Mirror Articolo di Fabiana Lupo Il fenomeno Black Mirror è ormai consolidato nell’immaginario del series addicted come il racconto di una realtà distopica che sembra essere alle porte e di cui tutti temono le conseguenze. La sua fama è dovuta infatti al suo carattere “profetico” e al suo generare una sorta di rigetto totale nei confronti di una tecnologia che invade ogni ambito della vita.
Tuttavia l’ultima stagione pecca di mancanza di originalità e, forse, di quell’ispirazione iniziale che ha reso la serie un cult dell’ultimo decennio. Superata la novità delle prime due stagioni, in cui il mondo raccontato, nuovo e perturbante, si avvicina di più a un futuro assurdo ma possibile, l’ultima stagione sembra essere scaduta in un racconto dell’esasperazione tecnologica del presente.
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I nuovi mediometraggi autoconclusivi tendono ad appiattirsi su un presente storico che a tutti gli effetti sembra molto più vicino all’irreale messo in scena. Il motivo per cui la linea di demarcazione tra i due mondi, quello della realtà e quello di finzione, tende ad assottigliarsi è probabilmente da individuare nell’eccessiva inclinazione del primo a invadere il campo del secondo.
Nel caso di Gondry, il mondo in questione era quello inconscio e ancor più inquietante dei sogni, e la logica messa in campo quella del Super-Io, ma in ogni caso cambiando gli ordini dei fattori il risultato non cambia. Irrilevante e banale l’episodio Metalhead, durante il quale una donna è seguita da un cane-droide con il solo scopo di eliminarla: girato in bianco e nero per cercare di richiamare visivamente un’atmosfera cyberpunk, la storia non si carica però mai di quell’immaginario violento e ribelle a cui si ispira.
Quello che invece quest’anno spaventa davvero e che rimane fortemente impresso, non è infatti un prodotto futuristico, ma una serie che si potrebbe definire “passatista”, medievale per quanto riguarda le tematiche trattate, ma altrettanto distopica e ancor più terrificante. Non una serie 2.0 quindi, ma una, oserei dire, datata a.C., o meglio oscurantista. Sarà perché intorno a noi il mondo sta cambiando, sarà perché i populismi riscuotono un successo senza precedenti, sarà perché il razzismo e la discriminazione sembrano aver trovato nuovamente terreno fertile. Ma è indubbio che la seconda stagione di The Handmaid’s Tale lascia una ferita aperta nella memoria degli spettatori.
Come in I figli degli uomini, magistrale racconto di un mondo in cui gli esseri umani hanno ormai perduto ogni capacità riproduttiva, durante tutta la serie si respira quel clima di segregazione e di oppressione a cui le “ancelle” sono obbligate a sottostare: queste sono le uniche capaci di partorire, considerate dei contenitori di vita e che diventano degli scrigni preziosi solo quando i loro corpi sono gravidi.
La protagonista, June, interpretata da una straordinaria Elisabeth Moss, è “ospite” in casa di Serena e di Fred Waterford, comandante del governo di Gilead: rapita e allontanata dal marito Luke e dalla figlia Hanna, la donna viene privata della sua identità e del suo stesso nome, diventando così Offred (Difred nella traduzione italiana), ovvero un complemento di specificazione riferito all’uomo a cui da quel momento in poi apparterrà.
La figura della donna nella serie viene spezzettata in mille possibili terminazioni nervose, ognuna delle quali costretta a percepire stadi di dolore e di sofferenza diversi. La forza che le accomuna tutte è quell’istinto primordiale di sopravvivenza e quell’appartenenza a un genere, quello femminile, che rischia di essere annientato nel suo essere altro, “diverso” rispetto a quello predominante. Oltre alle “ancelle”, esistono le “marte”, delle donne ormai troppo mature per poter concepire e che si occupano principalmente delle faccende domestiche.
Scioccante, quasi contro natura, la scena durante la quale Serena Waterford prova ad allattare con il suo seno secco la bimba datale da June, quest’ultima allontanata dalla casa e costretta, come un animale, a estrapolare dal seno il suo latte con un macchinario meccanico.
Insomma, impossibile rimanere indifferenti ad una serie che, seppur oscurantista, sembra prevedere itinerari forse più probabili di una stagione di Black Mirror. La domanda che spaventa è quindi questa: è dunque possibile oggi essere così terrorizzati dalla spietatezza dell’uomo? The Handmaid’s Tale risponde con la messa in scena di un’esasperazione, non così lontana probabilmente dalla realtà.
Fabiana Lupo
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Bruno Benvenuto, Ubaldo Fadini, Tiziana Villani, Claudia Landolfi, Alfonso Amendola, Mario Tirino, Vincenzo Del Gaudio, Alessandra Di Matteo, Paulo Fernando Lévano, Enrico Pastore, Francesco Demitry, Sara Maddalena, Alessandro Rizzo, Gianluigi Mangiapane, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Fabio Treppiedi, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Stefania Trotta, Manuel Fantoni, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Massimo Maria Auciello, Maria Chirico, Ambra Benvenuto, Valentina Volpi, Massimo Acciai, Gianluca de Fazio, Marco Maurizi, Daniele Guasco, Carmen Guarino, Claudio Kulesko, Fabrizio Cirillo, Francesca Izzi, Libera Aiello, Antonio Mastrogiacomo, Giulia Vencato, Alessandro Baito, Margherita Landi, Nicola Candreva, Patrizia Beatini, Mirjana Nardelli, Stefano Oricchio, Manlio Palmieri, Maria D’Ugo, Giovanni Ferrazzi, Francesco Ferrazzi, Luigi Prestinenza Puglisi, Davide Palmentiero, Francesco Panizzo.
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