The square Articolo di Fabiana Lupo
Una riflessione forte, sarcastica e allo stesso tempo spiazzante sull’arte contemporanea e, in generale, sulla società moderna: quello che Ruben Östlund propone a Cannes quest’anno, conquistando pubblico e critica e meritandosi il riconoscimento tanto ambito, è una commedia dai caratteri controversi, dietro cui si nasconde una forte critica nei confronti del mercato dell’arte e, in particolare, della natura dell’uomo. L’assenza di tatto, di vero contatto umano, è la critica sottile e crudele che pervade ogni singola scena del film, in cui si respira durante tutta la sua durata un’insensibilità evidente nei confronti di chi chiede aiuto. Molte infatti le inquadrature disseminate qua e là dedicate alla gente di strada e ai senza tetto, fra cui, a seguito di un evento piuttosto spiacevole, si colloca idealmente anche il protagonista. |
Christian (Claes Bang) è il curatore di una famosa galleria d’arte contemporanea di Stoccolma, la cui vita personale viene sconvolta da un episodio comune, il furto del suo cellulare e portafogli, durante una finta aggressione di cui si ritrova ad essere da soccorritore a vittima.
Proprio come nell’arte contemporanea, la cui casualità e la presenza stessa dello spettatore qui e ora ne determina lo status di opera d’arte, Christian si ritrova ad assistere inerme all’evento artistico di cui è il protagonista e allo stesso tempo lo spettatore, incapace di frenare il flusso frenetico degli eventi. L’idea è quella di dare alla vita dell’uomo i connotati di un happening, una performance davanti cui il protagonista non sa come porsi. Il suo interesse nei confronti dell’installazione The square ha sì una motivazione artistica ma, più che altro, personale: il mondo può essere indifferente davanti a una richiesta d’aiuto? Se l’arte nasce per rappresentare la vita, quanto questa può scollarsi dalla realtà in cui viviamo? Quanto in là può spingersi e quali figure retoriche può utilizzare per raffigurarla? Di certo non il paradosso. È questa la visione di Christian: in macchina verso il palazzo in cui si troverebbero gli oggetti rubati, con in sottofondo una canzone dei Justice, alla battuta del suo giovane collaboratore secondo cui quella situazione sarebbe paradossale, Christian risponde che quello non è un paradosso, no di certo. Via le figure retoriche dall’arte dunque. Meglio parlare per forme geometriche. Il quadrato ne è l’esempio più evidente, un solido svuotato di senso e collocato idealmente in uno spazio neutro, fuori da ogni implicazione sociale: “un santuario di fiducia e altruismo, al cui interno tutti condividiamo uguali diritti e doveri”; così recita il testo inciso sulla targa. Il quadrato rappresenta così la piazza, il cuore della polis, il centro non solo commerciale e politico ma anche, in questo caso, artistico, le cui implicazioni sociali diventano piuttosto evidenti.
Il video che dovrebbe supportare il messaggio dell’opera diventa invece l’esatto opposto rispetto alla visione che Christian ha dell’installazione. I due ragazzi che lo girano e lo postano sui social, creando un evento virale senza precedenti per il museo, si muovono proprio attraverso il paradosso, quella figura retorica tanto odiata dal curatore. Una bambina al centro del quadrato che esplode: non è esattamente quello che Christian avrebbe voluto che si dicesse dell’installazione. L’opera così dall’essere impregnata di sociale si trasforma più che altro in evento social, collocando l’agorà fuori dal sistema democratico della polis e inserendola in una rete informatica in cui l’importanza dell’immagine è determinata dal numero di visualizzazioni. La crudeltà che ne scaturisce è la realtà dei fatti: al di fuori del world wide web una bambina povera al centro di una piazza non avrebbe mai attirato l’attenzione di nessuno; all’interno di una realtà virtuale, seppur arricchita di un pizzico di spietatezza, la stessa bambina diventa un fenomeno virale. Il mondo di Ruben Östlund sembra così abitato da uomini rigorosamente civilizzati, che si sentono a disagio davanti a quei loro simili che non hanno pieno controllo del proprio corpo. Le parole poco garbate pronunciate durante una conferenza stampa da un uomo affetto dalla sindrome di Tourette, o l’episodio di Oleg, l’artista convinto di essere una scimmia: sono solo due degli happening che irrompono nella quotidianità di un pubblico che, abituato alle stranezze dell’arte contemporanea, predilige i paradossi ma li rifiuta con disgusto nel momento in cui oltrepassano i confini che separano arte e vita.
The square è un film irriverente e controverso, capace di far ridere di gusto anche laddove non ci sarebbe niente da ridere. È un film amaro, che lascia in bocca un sapore d’aspro che non va via facilmente. |
Giovane e Bella
Un film di François Ozon di Daniel Montigiani Via castellana bandiera,
Un film di Emma Dante di Daniel Montigiani |
Fabiana Lupo
Scrivono in PASSPARnous: k
Bruno Benvenuto, Ubaldo Fadini, Tiziana Villani, Claudia Landolfi, Alfonso Amendola, Mario Tirino, Vincenzo Del Gaudio, Alessandra Di Matteo, Paulo Fernando Lévano, Enrico Pastore, Francesco Demitry, Sara Maddalena, Alessandro Rizzo, Gianluigi Mangiapane, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Fabio Treppiedi, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Stefania Trotta, Manuel Fantoni, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Massimo Maria Auciello, Maria Chirico, Ambra Benvenuto, Valentina Volpi, Massimo Acciai, Gianluca de Fazio, Marco Maurizi, Daniele Guasco, Carmen Guarino, Claudio Kulesko, Fabrizio Cirillo, Francesca Izzi, Antonio Mastrogiacomo, Giulia Vencato, Alessandro Baito, Margherita Landi, Mirjana Nardelli, Stefano Oricchio, Manlio Plamieri, Francesco Ferrazzi, Giovanni Ferrazzi, Francesco Panizzo.
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