È un genere che da sempre è considerato di seconda classe, quello del horror, soprattutto quando verte verso orizzonti più estremi, tra lo splatter e il torture movie. È stato però ormai fatto un lavoro analitico e sociologico, soprattutto sui lavori cinematografici risalenti all’origine del genere, che ne ha fatto risaltare alcuni aspetti ignorati spesso dallo spettatore attuale gotto di sangue e carne. È il caso di un film cult a cui qualunque regista dell’orrore non può non fare riferimento se è in procinto di mettere in scena una pellicola i cui protagonisti siano degli zombie: La notte dei morti viventi, di George A. Romero.
Etimologicamente derivante dalla parola creola “zombi”, (fantasma, morto richiamato in vita), veniva considerato zombie colui che, nelle antiche tribù africane e, successivamente alla loro deportazione in America, in quelle caraibiche veniva riportato in vita dal “boko”, il sacerdote, attraverso dei riti vudù che rendevano il senza vita suo schiavo.
Questa sorta di “schiavizzazione” dello zombie è visibile nei primi esempi di genere: basti pensare al personaggio di Cesare ne Il gabinetto del Dottor Caligari (1920), ipnotizzato dal famigerato maestro per compiere gli atti più infimi o, successivamente, a L’isola degli zombie (1932), film ambientato ad Haiti in cui a essere vittime del malefico Legendre (Bela Lugosi) erano degli uomini costretti a coltivare zucchero. In entrambi gli esempi è ancora poco riconoscibile la figura dello zombie contemporaneo, caratterizzato più che altro dalla sua famelicità e brutalità.
Le cose cambiano nel 1968, quando Romero ne trasforma completamente i connotati. Seppur privo di pretese artistiche, La notte dei morti viventi, che era costato circa 115 mila dollari, ne incassò ben 50 milioni, diventando così un caso produttivo ante litteram, anticipando di circa 30 anni quella scia di horror low budget che sono poi diventati dei cult internazionali (uno su tutti, The Blair Witch Project). Il fatto che i diritti del film non fossero registrati e che, dunque, tutt’oggi la pellicola circoli ancora in forma del tutto libera dà l’impressione che lo stesso Romero non avesse poi così tante aspettative future.
Il 1968, soprattutto negli USA, è un anno di grandi rivoluzioni, di proteste collettive e di rabbia giovanile che si manifesta soprattutto artisticamente con un fermento davvero impressionante: basti pensare che quello è stato l’anno dei barattoli Campell di Warhol, dell’uscita nelle sale di 2001: Odissea nello Spazio, di Waiting for the sun dei Doors. Insomma, un anno di grandi speranze, di grandi sogni, ma anche di grandi disillusioni. Visto oggi a distanza di quasi 50 anni il film non fa poi così paura. Ma quello su cui si è discusso abbondantemente è la sua portata rivoluzionaria, sia per quanto riguarda la nuova chiave di svolta dell'intero genere che per quel che concerne la lettura analitica del film.
La figura dello zombie da Romero in poi smette di essere legata ad una tradizione strettamente tribale e assume un carattere internazionale: i “morti viventi” infatti non sono richiamati in vita dalla figura di uno stregone manipolatore, bensì dall’emissione di radiazioni causate dall’attracco su Venere di una sonda sp