È finito da poco meno di un mese ma ha fatto e fa ancora parlare di sé, quest’ultimo festival di Cannes. Il divieto imposto da Netflix di distribuire in sala i suoi due film in concorso (The Meyerowitz Stories di Noah Baumbach e Okja di Bona Joon-Ho) ha fatto molto arrabbiare non solo gli esercenti francesi, ma lo stesso Thierry Frémaux, direttore della prestigiosa rassegna cinematografica. Quest’ultimo infatti, per porre fine alla diatriba, è stato costretto a riprendere in mano il regolamento e ad aggiungere un comma fondamentale ai requisiti previsti per i film in concorso: dal 2018 non saranno più ammessi film che non implicheranno l’uscita in sala. Una postilla abbastanza scontata, quasi sottintesa, fino a qualche anno fa per qualsiasi film che volesse partecipare a un festival cinematografico, ma che da quest’anno diventa necessaria.
Al di là degli interessi economici di entrambi, esercenti da una parte e Netflix dall’altra, la contesa è interessante per affrontare l’argomento da un punto di vista più ampio: da una parte, appunto, la sala cinematografica, luogo fisico in cui immergersi e godere del film scelto sul grande schermo; dall’altra il web, luogo virtuale in cui perdersi tra i tanti contenuti visualizzabili sul piccolo schermo del proprio dispositivo. I vantaggi della seconda modalità di accesso ai contenuti sono ormai ovvi: oltre alla vasta scelta a disposizione, c’è anche la comodità di usufruirne direttamente da casa, sul proprio divano, senza dover prendere i mezzi o imbottigliarsi nel traffico per vedere il film scelto (magari anche mal distribuito e dall’altra parte della città). Il tempo e il luogo della visione lo decide lo spettatore, scavalcando così gli interessi di distributori ed esercenti che restano fuori da questo mercato. E allora, ritornando alla polemica nata a Cannes, cosa succederà al cinema? Stiamo forse andando verso una fruizione virtuale del cinema, godibile ovunque e dovunque? La sala cinematografica diventerà forse un luogo sacro, dimenticato, da salvaguardare, come una caverna su cui una volta vi erano dipinti degli perduti geroglifici? La paura di Frémaux e del presidente di giuria Almodóvar è stata proprio questa. Sembra che i due vogliano ignorare volutamente il nuovo vento di cambiamento portato da Netflix e, di conseguenza, il diverso approccio al materiale audiovisivo di uno spettatore 3.0, ormai abituato ad avere una quantità svariata di contenuti online tra cui poter scegliere. Quella che Netflix infatti, la piattaforma on demand più affollata del nuovo decennio, sta compiendo è una vera e propria rivoluzione nel modo di fruire spettatoriale. Non l’unica, di certo, ma la più spavalda, Netflix ha fiutato l’insaziabile ingordigia dei cinefili e ha dato loro un prodotto, il suo catalogo virtuale, con cui nutrirsi in maniera vorace e instancabile. I contenuti, soprattutto quelli seriali, giocando sul forte meccanismo di cliffhanger tra un episodio e l’altro, sono resi disponibili da un’ininterrotta soluzione di continuità che li lega: un banner in basso, infatti, ci avvisa che il prossimo episodio inizierà automaticamente tra 3, 2, 1... E così ci ritroviamo sull’episodio successivo senza aver premuto un tasto, senza aver avuto il tempo di pensare, senza aver preso una decisione, incapaci di staccare gli occhi da questa catena visiva di montaggio.
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In effetti, quello su cui Netflix si basa non è altro che un ciclo automatizzato di produzione e fruizione visiva, pressoché identico al processo di industrializzazione “fordista” introdotto quasi un secolo fa, durante cui la costruzione di beni di massa in serie veniva velocizzata attraverso una catena di montaggio meccanizzata e serrata. Se in quest’ultimo caso il signor Henry Ford puntava a una serializzazione dei suoi prodotti e a una loro omogeneità qualitativa, abbattendo notevolmente i costi d’acquisto delle sue automobili e facendole così diventare un po’ più “accessibili” a tutti, il signor Reed Hastings, fondatore e proprietario di Netflix, non fa altro che applicare lo stesso criterio ai suoi beni.
Infatti, oltre a una qualità dei prodotti perlopiù medio-alta, Netflix ha il vantaggio di avere dei costo di abbonamento abbastanza accettabili (da un piano base di 7,99 euro a un piano premium di 11,99 euro al mese): un divoratore di film e di serie dunque, magari anche un po’ pigro e poco tollerante verso gli sgranocchiatori di pop corn al cinema, preferisce investire in un buon impianto di home cinema, pagare una quota fissa e usufruire senza limiti di spazio o di tempo del ricco bottino offerto dalla piattaforma.
Infatti, oltre a una qualità dei prodotti perlopiù medio-alta, Netflix ha il vantaggio di avere dei costo di abbonamento abbastanza accettabili (da un piano base di 7,99 euro a un piano premium di 11,99 euro al mese): un divoratore di film e di serie dunque, magari anche un po’ pigro e poco tollerante verso gli sgranocchiatori di pop corn al cinema, preferisce investire in un buon impianto di home cinema, pagare una quota fissa e usufruire senza limiti di spazio o di tempo del ricco bottino offerto dalla piattaforma.
Questa modalità di fruizione spettatoriale, che potremmo chiamare del “tutto e subito”, o del “cotto e mangiato”, figlia di un vecchio modello industriale e sorella di una cultura consumistica di massa, è poi sostenuta da una forte campagna di social media marketing effettuata dell’azienda, la quale infatti non nasconde affatto il rischio di “tossicomania seriale” che crea nei suoi abbonati. Anzi, sulla pagina ufficiale Instagram di Netflix USA alcuni post ironizzano sugli effetti collaterali di questa dipendenza, di come questa possa influenzare persino la vita privata e sociale degli abbonati.
Al di là di quanto si possa essere pro o contro tale tipo di fruizione virtuale, di quanto più o meno siamo dipendenti dalla serialità a catena, la sfida qui non è tra la piattaforma digitale e il grande schermo, quanto più che altro tra la prima e il piccolo schermo, la televisione. Infatti ormai tutte le emittenti televisive internazionali hanno accettato, rassegnate, la competizione con Netflix e, chi più chi meno, hanno iniziato anche loro a digitalizzarsi, a offrire dei primi esempi di piattaforme online con cataloghi più o meno forniti degli show televisivi.
Il cinema, si sa, sembra essere sempre sul punto di morire. Siamo ormai abituati periodicamente ad assistere a lunghe e strazianti elegie funebri in suo onore. Ma la verità è che è difficile uccidere un’arte, tutt’al più può cambiare la modalità d’accesso ad essa. E qui potrebbe essere chiamata in causa la capacità del cinema ad essere resiliente: in realtà, più che del cinema stesso, dei distributori e degli esercenti cinematografici, i quali non possono più ignorare fenomeni digitali di massa come Netflix. Quanto saranno capaci di accettare e di adeguarsi in maniera riformista alle innovazioni e di abbandonare delle prese di posizione passatiste e retrograde? È solo questione di tempo e, tra un festival e l’altro, tra un episodio e l’altro, qualcosa succederà.
Il cinema, si sa, sembra essere sempre sul punto di morire. Siamo ormai abituati periodicamente ad assistere a lunghe e strazianti elegie funebri in suo onore. Ma la verità è che è difficile uccidere un’arte, tutt’al più può cambiare la modalità d’accesso ad essa. E qui potrebbe essere chiamata in causa la capacità del cinema ad essere resiliente: in realtà, più che del cinema stesso, dei distributori e degli esercenti cinematografici, i quali non possono più ignorare fenomeni digitali di massa come Netflix. Quanto saranno capaci di accettare e di adeguarsi in maniera riformista alle innovazioni e di abbandonare delle prese di posizione passatiste e retrograde? È solo questione di tempo e, tra un festival e l’altro, tra un episodio e l’altro, qualcosa succederà.
Fabiana Lupo
Scrivono in PASSPARnous: k
Bruno Benvenuto, Ubaldo Fadini, Tiziana Villani, Claudia Landolfi, Alfonso Amendola, Mario Tirino, Vincenzo Del Gaudio, Alessandra Di Matteo, Paulo Fernando Lévano, Enrico Pastore, Francesco Demitry, Sara Maddalena, Alessandro Rizzo, Gianluigi Mangiapane, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Fabio Treppiedi, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Stefania Trotta, Manuel Fantoni, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Massimo Maria Auciello, Maria Chirico, Ambra Benvenuto, Valentina Volpi, Massimo Acciai, Gianluca de Fazio, Marco Maurizi, Daniele Guasco, Carmen Guarino, Claudio Kulesko, Fabrizio Cirillo, Francesca Izzi, Antonio Mastrogiacomo, Giulia Vencato, Alessandro Baito, Margherita Landi, Francesco Panizzo.
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