THE ART LIFE:
gli anni di apprendistato di David Lynch Articolo di Fabiana Lupo
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Quello che colpisce immediatamente è la chiarezza con cui alcuni episodi del suo passato vengono raccontati dall’ormai anziano Lynch che sembra non aver dimenticato alcun particolare di quegli anni: uno fra tutti, il ricordo sconvolgente dell’incontro nel cortile di casa con una bellissima donna nuda con la bocca insanguinata che si muove verso il piccolo David, sorpreso da tale apparizione.
Lynch racconta quest’episodio ricreando la stessa atmosfera sospesa e surreale che si può respirare in uno dei suoi film, come se l’irruzione dell’assurdo all’interno della quotidianità del ragazzino fosse un dato di fatto della vita stessa, e non una pretesa cinematografica. L’episodio sopra menzionato verrà chiaramente citato dal regista in Blue Velvet (1986), in cui sarà un’inappagata Isabella Rossellini a “indossare i panni”, se così si può dire, di quella stessa donna incontrata dal regista circa 30 anni prima.
Lynch racconta quest’episodio ricreando la stessa atmosfera sospesa e surreale che si può respirare in uno dei suoi film, come se l’irruzione dell’assurdo all’interno della quotidianità del ragazzino fosse un dato di fatto della vita stessa, e non una pretesa cinematografica. L’episodio sopra menzionato verrà chiaramente citato dal regista in Blue Velvet (1986), in cui sarà un’inappagata Isabella Rossellini a “indossare i panni”, se così si può dire, di quella stessa donna incontrata dal regista circa 30 anni prima.
“Penso che ogni volta in cui creiamo qualcosa, un dipinto così come un film, si parta sempre con tante idee, ma è quasi sempre il nostro passato che le reinventa e le trasforma. Anche se si tratta di nuove idee, il nostro passato le influenza inevitabilmente.”
Sono queste le parole con cui si apre il documentario, ed è forse da questo che si può partire per un’interpretazione più generale sull’attività artistica di Lynch, la quale diventa un’estensione visiva del suo vissuto, una trasposizione linguistica di un mondo visto attraverso gli occhi di un bambino, fatto di paure e di ossessioni.
Sia nel suo cinema infatti che nella sua pittura la dimensione del reale è invasa da quello che Freud definisce unheimlich, il perturbante: all’interno di una situazione apparentemente familiare (il cortile di casa, nel racconto sopra citato della donna nuda) fa irruzione un elemento non familiare, straniante, potremmo dire contraddittorio, che sconvolge l’ordine conosciuto.
Sono queste le parole con cui si apre il documentario, ed è forse da questo che si può partire per un’interpretazione più generale sull’attività artistica di Lynch, la quale diventa un’estensione visiva del suo vissuto, una trasposizione linguistica di un mondo visto attraverso gli occhi di un bambino, fatto di paure e di ossessioni.
Sia nel suo cinema infatti che nella sua pittura la dimensione del reale è invasa da quello che Freud definisce unheimlich, il perturbante: all’interno di una situazione apparentemente familiare (il cortile di casa, nel racconto sopra citato della donna nuda) fa irruzione un elemento non familiare, straniante, potremmo dire contraddittorio, che sconvolge l’ordine conosciuto.
La casa, elemento ricorrente nei film e nei quadri di Lynch, è il luogo della normalità per eccellenza, quella zona protetta in cui niente sembra poter sconvolgere la realtà conosciuta. Ma è proprio quell’eccesso di tranquillità che provoca nell’arte di Lynch un’incursione violenta e irrazionale del perturbante, il quale invade lo scheletro dei suoi quadri e dei suoi film. Quando si guardano per esempio le prime inquadrature di Blue Velvet non si può non pensare a uno dei tanti spot pubblicitari americani in cui tutto è ben illuminato, perfettamente normale, inalterabile. Uno steccato bianco su cui si staglia una rosa rossa, un pompiere che saluta guardando in macchina, un uomo che innaffia un giardino: la normalità sembra essere di casa a Lumberton. Ma improvvisamente il tubo si stacca dal rubinetto e colpisce violentemente la testa dell’uomo, il padre di Jeffrey, che cade a terra: anche se Lynch dà alla scena un aspetto fortemente comico che ricorda uno dei primi film dei fratelli Lumière, L'arroseur arrosé, è solo con un movimento di macchina all’interno dell’erba che il regista ci svela la vera natura della cittadina, sotto la cui superficie si nasconde una varietà indefinita di insetti. Niente di diverso succede per esempio a Twin Peaks, un posto sperduto della provincia americana in cui nulla era mai successo prima dell’omicidio di Laura Palmer, evento questo che porterà a galla un’infinita quantità di misteri da risolvere.
Quando in The Art Life Lynch racconta della sua vita, della sua infanzia felice, della sua famiglia amorevole e liberale, del suo mondo, non più grande di un paio di quartieri, sembra quasi che si stia riferendo a se stesso come a uno dei tanti protagonisti delle sue storie i quali, inseriti nella normalità di una delle tante minuscole cittadine americane, trascorrono la loro vita riparati dai pericoli del mondo. Ma cosa sconvolge la tranquillità dell’adolescente David? Quand’è che irrompe nella sua vita l’unheimilich?
L’incontro con la pittura è l’evento sconvolgente, l’atto necessario durante il quale Lynch si trova faccia a faccia con uno spazio apparentemente neutrale, la tela, che si pone come ostacolo tra lo sguardo del pittore e la realtà che vi si cela dietro. Lynch predilige una pittura perlopiù materica, fatta di contatto con la pasta del colore, preferendo al pennello l’utilizzo delle dita: la scelta di fondi neri da cui emergono in maniera più irruenta le immagini indefinite del suo inconscio fa sì che la tela diventi il campo di battaglia su cui riversare quel mondo sotteso, quell’universo infantile nascosto dietro una calma apparente: il suo amore per le forme indefinite porta Lynch ad avvicinarsi allo stile di un pittore come Francis Bacon, palesemente citato in Eraserhead per quanto riguarda la definizione dei tratti somatici mostruosi del neonato (vedi di Bacon Three Studies for Figures at the Base of a Crucifixion, 1944).
Insomma, dalla pittura al cinema, dal passato al presente. The Art Life è sicuramente un documentario che racchiude in sé tutto questo e altro dell’artista Lynch. Quanto quest’ultimo sia intervenuto in maniera autoriale sul documentario non ci è dato sapere. Quel che possiamo fare è dare il giusto merito ai tre realizzatori del film che si sono accostati ad un mostro sacro della cinematografia di tutti i tempi cercando, da una parte, di essere rispettosi e fedeli nei confronti del suo racconto, dall’altra, di evitare l’appiattimento espressivo e cercare di trasformare la vita di Lynch in un film di Lynch, con le giuste atmosfere, le giuste sonorità, il giusto ritmo.
Nonostante sia ormai prossima l’uscita della nuova stagione di Twin Peaks, iniziamo ormai a chiederci se mai più vedremo sul grande schermo un’opera firmata David Lynch.
Insomma, dalla pittura al cinema, dal passato al presente. The Art Life è sicuramente un documentario che racchiude in sé tutto questo e altro dell’artista Lynch. Quanto quest’ultimo sia intervenuto in maniera autoriale sul documentario non ci è dato sapere. Quel che possiamo fare è dare il giusto merito ai tre realizzatori del film che si sono accostati ad un mostro sacro della cinematografia di tutti i tempi cercando, da una parte, di essere rispettosi e fedeli nei confronti del suo racconto, dall’altra, di evitare l’appiattimento espressivo e cercare di trasformare la vita di Lynch in un film di Lynch, con le giuste atmosfere, le giuste sonorità, il giusto ritmo.
Nonostante sia ormai prossima l’uscita della nuova stagione di Twin Peaks, iniziamo ormai a chiederci se mai più vedremo sul grande schermo un’opera firmata David Lynch.
Quello che possiamo fare per ora è guardare quest’importante testimonianza filmata come se fosse la confessione di un uomo che è riuscito solo attraverso il mondo irrazionale delle sue opere a vivere in maniera più cosciente la propria vita. Non a caso Lynch dedica il documentario alla sua quarta e ultima figlia Lula, di soli quattro anni, la quale nel film la si vede, incuriosita dai suoi attrezzi di lavoro, gironzolare intorno al padre: un messaggio d’amore per l’arte, ma prima ancora per la vita, quella vita che ha un senso solo se vissuta attraverso l’arte.
Fabiana Lupo
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Ubaldo Fadini, Tiziana Villani, Claudia Landolfi, Alfonso Amendola, Mario Tirino, Vincenzo Del Gaudio, Alessandra Di Matteo, Paulo Fernando Lévano, Enrico Pastore, Francesco Demitry, Sara Maddalena, Alessandro Rizzo, Gianluigi Mangiapane, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Fabio Treppiedi, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Stefania Trotta, Manuel Fantoni, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Massimo Maria Auciello, Maria Chirico, Ambra Benvenuto, Valentina Volpi, Massimo Acciai, Gianluca de Fazio, Marco Maurizi, Daniele Guasco, Carmen Guarino, Claudio Kulesko, Fabrizio Cirillo, Francesca Izzi, Antonio Mastrogiacomo, Francesco Panizzo.
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