EP: Ci racconti brevemente la storia di Mladi Levi, come è nato e come si è sviluppato nel corso degli anni?
MJ: Mladi Levi significa “Giovani leoni” e ha incominciato la sua attività 18 anni fa nell’ambito del network JungeHunde. L’idea portante, per lo meno per i primi sei anni, era di focalizzare l’attenzione sui giovani artisti emergenti. Non volevamo che il festival fosse una semplice vetrina dove gli artisti arrivano per un paio di giorni in una strana città, fanno il loro show e se ne vanno via. Noi invitavamo gli artisti offrendo l’’ospitalità per tutta la durata del festival. Partecipare al festival era un’opportunità per i giovani artisti non solo di far conoscere il proprio lavoro ma anche quello di incontrare dei colleghi provenienti da altri paesi, confrontarsi, discutere, conoscersi e magari far nascere nuove collaborazioni. A volte succedeva che dopo tre o quattro anni alcuni artisti tornavano con dei lavori nati come risultati di questi incontri e discussioni. Questo era molto gratificante per noi perché ci dimostrava la necessità di creare link e offrire opportunità di conoscenza e collaborazione. Con il tempo il festival si è evoluto, il nostro pubblico è cresciuto con noi, si era evoluto e ci chiedeva di far crescere il festival in altre direzioni invitando artisti più affermati e importanti. C’era la necessità di aprirsi verso nuovi orizzonti artistici. In un primo tempo iniziammo a espandere il festival verso la danza poi, gradualmente, Mladi Levi divenne un festival internazionale aperto a tutte le forme di performing arts. Questa è stata un’evoluzione naturale in quanto sempre più i confini tra le arti si fanno labili, non c’è più una netta distinzione tra i generi. Il festival si svolge tra la metà e la fine di agosto che è un momento ideale in quanto a Ljubljana la gente è appena tornata dalle vacanze, la stagione culturale non è ancora iniziata e c’è voglia di incontrarsi, di rivedersi e il festival è una buona occasione, è un contenitore ideale che offre contenuti e possibilità di incontro. EP: So che all’attività del festival si sono affiancate altri tipi di attività, ce ne vuoi parlare? MJ: Con il tempo a obbiettivi artistici di alto profilo come la selezione di lavori che proponiamo durante il festival, si è affiancata un’attività più diretta verso la comunità. Non si tratta di progetti a scopo sociale quanto più di progetti che attraverso l’arte evidenzino i cambiamenti nella società e creino spazi e luoghi che possano essere condivisi con la comunità che ci circonda. Circa 10 anni fa abbiamo acquisito una vecchia centrale elettrica al centro della città e l’abbiamo trasformata in un teatro. Ci siamo trasferiti dalla periferia al centro e ci siamo chiesti come potessimo condurre la nostra attività artistica senza che la gente ci considerasse degli alieni venuti dallo spazio. Abbiamo pensato che non potevamo semplicemente mandare una mail e dire: “Ciao siamo qua, vieni a vedere i nostri spettacoli”, ma che dovevamo fare qualcosa di più, che avviasse una vera conoscenza con le persone, che andasse più in profondità attraverso un processo di lungo periodo. Così siamo usciti dall’ufficio e abbiamo cercato di capire quali fossero i problemi intorno a noi e in che modo i processi artistici potessero coinvolgere la comunità per risolverli. Nelle vicinanze abbiamo trovato una costruzione abbandonata e abbiamo iniziato a pensare in che modo potessimo agire su di essa. Così è nato il progetto di Urban Gardening, che ha coinvolto non solo artisti e architetti ma l’intera comunità e che ora da 5 anni si autosostiene e, diciamo, cammina con le sue gambe, portato avanti dalla comunità. Lo stesso processo è avvenuto con un parco completamente abbandonato che insieme alla comunità abbiamo completamente pulito e restituito all’uso attraverso processi artistici e sociali insieme. Questa è una pratica che spinge la gente a reclamare gli spazi inutilizzati a usarli e farli suoi, e l’arte con i suoi processi stimola questa forma di riappropriazione in quanto fornisce un punto di vista diverso. EP: Queste pratiche di riqualificazione urbana hanno però l’effetto che la comunità conosca la vostra attività e sia portata a frequentare i vostri spazi e il vostro festival. MJ: Sì, certamente. Il fatto di condividere i problemi di una comunità, di affrontarli e risolverli insieme in concerto fa sì certamente che si formi un pubblico che si affeziona e segue il festival. Questi progetti sono una forma di incontro a un livello più semplice ma che conduce ad approfondire una conoscenza. Anche perché in una città piccola come Ljubljana il pubblico è un fattore importante. A Ljubljana c’è molta offerta culturale, succedono e avvengono moltissime cose, e il pubblico in un certo senso è sempre quello. C’è uno zoccolo duro che partecipa a tutti gli eventi culturali. Questo fa sì che si debba lavorare di concerto con le altre istituzioni culturali della città per lavorare a un calendario che eviti, per quanto possibile, le sovrapposizioni e eviti la spartizione del pubblico. Gli sloveni sono circa due milioni in tutta la nazione, 350000 nella sola Ljubljana. Come si può immaginare il pubblico che partecipa agli eventi culturali non è la maggior parte, nonostante la vita culturale in città sia molto ricca, quindi questa attività di programmazione condivisa è fondamentale per non parcellizzare il pubblico. EP: Tutta questa attività culturale in che modo viene supportata? Tramite i soli fondi del Ministero della Cultura e dalla città di Ljubljana, o esistono anche fondazioni, o supporti da parte di privati? MJ: In Slovenia le associazioni culturali senza fine di lucro sono completamente sovvenzionate da denaro pubblico. Il supporto principale viene dal Ministero della cultura a cui è possibile fare domanda di sovvenzione che se concessa, per le istituzioni più grandi come Mladi Levi, si applica per un periodo di quattro anni. All’inizio della nostra attività chiedevamo sovvenzioni anno per anno, ma con il crescere del festival siamo riusciti a ottenere quello per quattro. Questo è una vera fortuna perché permette una programmazione su lungo periodo. Certo i soldi sembrano sempre pochi e non bastano mai, ma questa situazione permette una certa tranquillità di programmazione. Inoltre come festival siamo coinvolti in molti progetti europei, anche se non è semplice per niente ottenere i fondi comunitari. Penso comunque che la Slovenia sia molto brava ad ottenere fondi europei. Un’altra forma di sovvenzione viene dal Dipartimento della Cultura della città di Ljubljana. Anche in questo caso sono fondi che coprono un periodo dai tre ai quattro anni, per le istituzioni più grandi, di uno o due anni per quelle più piccole. Otteniamo fondi anche attraverso le Ambasciate straniere per progetti di risvolto internazionale che coinvolgono i loro paesi. Non si parla di grosse cifre, qualcosa dai 500€ ai 2000€ ma sono comunque importanti. È molto difficile ottenere sovvenzioni dai privati. Molto spesso questi si limitano alla concessione di beni e sevizi in kind. Enrico Pastore
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