Il teatro è arte viva per eccellenza. Eppure si premia un morto. Partirei da qui. Il Premio a Lehman Trilogy, ultimo lavoro di Luca Ronconi è un insulto al teatro vivente. Come diceva Carmelo Bene: ”I morti son morti”, dargli un premio, pur alla carriera, è inutile e dannoso, serve solo ai parrucconi che vogliono incensare idee sorpassate, che han fatto il loro tempo e che dovrebbero con buona pace di tutti tramontare, e al massimo ispirare nuove ricerche. Ai vivi bisogna permettere di far teatro, di ricercare teatro, nuove strade, nuovi linguaggi, trasformare un’arte che in Italia è moribonda in qualcosa di vivo e attuale. Ma la ricerca è ovunque ostacolata, impedita. Si fa finta di sostenerla con la presa in giro delle residenze, come se una settimana qua e una là possano essere base per una ricerca vera. Non c’è distribuzione, si vive nel mondo degli scambi, tu vieni da me io vengo da te. Non ci si apre all’estero, latitano le coproduzioni internazionali. I festival hanno visione limitata a un anno con l’altro, quando la maggior parte dei festival europei può ragionare su archi di quattro o cinque anni. Come si fa a lavorare se i soldi son deliberati dopo che hai fatto il festival? Come si può fare una programmazione seria se non si sa mai se l’anno in corso sarà l’ultimo oppure no? È per questo che si dan premi ai cadaveri eccellenti! Perché ai vivi viene tolta l’aria. Siamo nel paese delle commemorazioni. Si vive di passato, e lo diceva già Marinetti e in cent’anni e più dalle sue invettive si è preso gusto all’omaggio al sepolcro. E che si tratti di un’edizione necrofila, quella degli ultimi Ubu lo si intuisce anche dall’accorata arringa di Popolizio al ritiro del premio come migliore attore proprio in Lehman Trilogy: il teatro di parola non è morto, è la nuova avanguardia. Già far difesa del moribondo indica che le speranze sono al lumicino, ma la frase è ambigua. Potrebbe andar bene per tutte le stagioni, dipende da cosa si intende in sottofondo. Il sospetto è che ancora una volta si incensino le tombe e i cimiteri. Il teatro di parola che piace tanto agli Stabili e agli abbonati, quello che è servito per chi non legge, sussidiario della lettura. Usare la parola a teatro certo che non è cosa morta. Popolizio sottolinea l’ovvio come M. de Lapalisse. È il modo in cui si usa la parola negli stabili italiani e in questi premietti Ubu che è morto, o almeno dovrebbe esserlo. Ma d’altra parte questi premi ormai sono nient’altro che sottolineatura dell’ovvio, del già accettato, di quel che sarà accettato senza un battito di ciglia. E così si premia Romeo Castellucci, come se ce ne fosse bisogno. E soprattutto si premia un morto!
Altra indicazione che i parrucconi che decidono questi premietti tanto simili al telegatto siano inadatti al contemporaneo, è che la danza ne è esclusa, unica arte viva in Italia a segnalare qualche rinnovo, qualche talento che andrebbe valorizzato e protetto. Ma, dice Massimo Marino sul Corriere della Sera blog, “i giurati dell’Ubu guardano poco la danza”. Questo di per sé già indica l’inammissibile incompetenza di tali giurati. Oggi distinguere con rigide barriere le Live Arts, è sintomo di incomprensione del mondo in cui si vive e delle tendenze in atto in Europa e nel mondo. Si vivacchia quindi su vecchi schemi consueti, mica da turbarci troppo e dire che in fondo in Italia le cose si stanno mettendo male per chi la ricerca la vuole affrontare davvero. Ma và! Premiamo l’ovvio, battiamoci le mani, mentiamo dicendo che tutto è vivo, che in fondo basta la salute, perché preoccuparci. E anche quando si premiano i giovani lo si fa scegliendo bene quelli che più si avvicinano alla tradizione, quelli che son rivoluzionari fino a un certo punto, che danno un po’ di tinta fresca ai locali polverosi del Teatro Stabile. Garantiamo nuove leve alla politica che salvaguardia l’abbonato come animale in via di estinzione. Una sorta di WWF dunque questi premi Ubu, che visto che sono intitolati alla marionetta di Jarry chi li organizza dovrebbe almeno ricordarsi le sue parole profetiche:”Non avremo distrutto tutto se non distruggeremo anche le rovine”. Smettiamola dunque con questi Oscar del teatro povero di idee. Passiamo oltre le passerelle che divertono solo chi le organizza e gli enti che donano soldi a condizione che. Diamo finalmente spazio alla ricerca, cerchiamola, sosteniamola se vogliamo un paese vivo e non un cimitero di morti visitato da moribondi che si fan forza a vicenda dicendosi che tutto va bene e domani è un altro giorno. Ma queste sono solo illusioni. Enrico Pastore
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