Il paesaggio diventa luogo di memoria e di narrazione sociali in una ricerca fotografica protesa alla documentazione, alla testimonianza del tempo: Francesco Stelitano si afferma in questo solco attraverso opere che descrivono città e ambienti reali, fonti di elaborazione creativa e di impegno descrittivo culturale.
Nelle fotografie di Stelitano non manca il lato estetico, funzionale, questa volta, a dare risalto al contenuto che l’autore vuole esprimere, proporre, definire: lo spettatore viene chiamato in causa come parte integrante di ciò che viene palesato attraverso lo scatto, soggetto nel soggetto, seppur non tangibilmente presente, definendone le connessioni umane, sociali e intellettive, ponendogli domande e questioni, formulando ipotesi e probabilità. Le serie inaugurate da Stelitano non ci soddisfano dal punto di vista della saturazione della risposta all’interrogazione che ci portano a delineare attraverso la visione semplice, diretta, non frammentata, non surrealista, fondata su un realismo chiaro, trasparente, immediato, inequivocabile, permeabile. Non occorre uno sforzo interpretativo metatestuale per accedere alla comprensione della lettura della produzione di Stelitano, cosi come non è necessario uno sguardo particolarmente attento per recepire ciò che l’autore richiede, ossia soffermarsi davanti all’immagine e formulare questioni a cui, non necessariamente, si debbano dare risposte e soluzioni. L’immediatezza dello scatto, però, non può essere sottovalutata, ma richiede di essere affrontata per leggerne il contenuto in esso espresso con cura, ossessione, possiamo dire, attenzione e puntualità dall’autore. Francesco nasce e si forma presso l’Accademia di Belle Arti di Carrara, sezione dedicata alle arti multimediali, mentre nel 2009 completa gli studi in fotografia documentaria, con un ottimo successo didattico, presso il London College of Communication: lungo il periodo di questo percorso vediamo Stelitano avvicinarsi a due figure notevoli e celeberrime per la fotografia di reportage, ossia Walker Evans e Robert Frank. In questo frangente si completa la proposta artistica dell’autore, tanto da vedere le proprie produzioni ricche di fonti di citazione in un contesto di originalità autorale, artista autonomo, senza velleità e pretese di supremazia, ma con una forte dose di consapevolezza che lo rende coerente e determinato nell’esprimere la propria poetica e la propria idea di arte, di fotografia, di testimonianza estetica del reale del tempo presente e trascorso. Parliamo di tempo in quanto nella fotografia di Stelitano possiamo assaporare una visione che oltrepassa il dato contestuale e contingente, immergendoci in un percorso che richiama la memoria e ci pone questioni sul futuro, sul progressivo sviluppo prossimo, magari già presente in nuce, dell’umanità: l’artista conosce bene, e le interpreta, le dinamiche relazionali esistenti e sussistenti tra uomo e ambiente circostante, rilevando le conseguenze che il primo apporta sul secondo tramite le proprie azioni. Le citazioni nell’opera di Stelitano diventano, cosi, solamente rafforzamenti tecnici e poetici utili a dare rilevanza alla dimensione estetica e compositiva: Walker Evans e Robert Frank. Di Evans si rivede la portata sociale della produzione artistica, la documentazione fotografica dell’espressione umana correlata al contesto, la forte consapevolezza del momento narrato, la crudezza e l’immediatezza dei paesaggi nella loro definizione non filtrata, nella loro veridicità e autenticità, utile strumento di indagine della storia di un luogo, di un paese, di un borgo, di una metropoli, di uno spazio. Sempre di Evans troviamo nella produzione di Stelitano una certa dedizione alle architetture, ai giochi di forme e di spazi, di contrapposizione tra spazi vuoti e spazi pieni, che connotano una dimensione urbana, metropolitana ma non riconoscibile nella propria portata, diventando alfabeto comunicativo universale. In questo frangente gioca una parte rilevante la capacità di selezionare i soggetti e di dare una centralità agli stessi, attraverso inquadrature stabili, statiche possiamo dire, ma che rinvengono una certa dinamica, seppure solamente per il gusto estetico sostanziale del messaggio che viene apportato. In questo Stelitano differisce nella propria produzione dal reportage comune e consueto: non vi è passività di chi scatta la fotografia, ma una propria attiva presenza, una propria e prevalente regia di elementi e di oggetti, che diventano parti integranti di un percorso narrativo fotografico di grande portata e respiro. Ogni scatto in Stelitano propone il senso profondo e intrinseco della cultura storica di un paesaggio, di un luogo, di una comunità: in Evans, fatto proprio dall’autore, si possono trovare alcune connessioni con Frank, soprattutto per la forza documentaristica tesimoniale dell’opera. Non possiamo tralasciare la tecnica perseguita da Stelitano, decisa e sicura, ferma e determinata tanto quanto la poetica intrinseca e la ricerca che si palesano lungo la definizione della sua produzione fotografica: obiettivo stabile e fisso, tonalità ora attenuate ora accentuate, cromie calibrate con illuminazione ed esposizione alla luce e di una certa tonalità tale da rendere caldi i colori, tempo di esposizione non prolungato, apertura di diaframma ben delineata e in modo da donare elevata centralità del paesaggio o del soggetto ripreso, adeguata calibrazione delle ombre e delle dimensioni chiaroscurali, che, infine, ci porta ad apprezzare forme inattese e figure inaspettate, inavvertite, creabili attraverso interazioni di immagini di architetture urbane. Diversi sono i progetti che si avvicendano nella produzione di Stelitano, come diversi gli approcci tecnici compositivi ed estetici contenutistici che si assommano lungo l’esperienza di un autore in continua tensione, convinto della finalità da perseguire comunicativamente come la propria espressione artistica: la comunicazione è una parte fondamentale nella formazione dell’artista, e informare attraverso la sintassi e il linguaggio visivi dello scatto diventa una base di partenza, un fondamento, un punto irrinunciabile da cui partire per un’opera che interroghi senza dare riscontro etico o moralistico, propedeutico o educativo. Nella fotografia di Stelitano possiamo apprezzare la memoria storica, il tempo che passa e che distrugge perché porta prassi ed esistenze quotidiane a essere superate da nuovi canali di diffusione e di comunicazione sociale, il logoramento fisico di vie di trasporto che vengono abbandonate di fatto, moto irrefrenabile degli anni che si succedono, per essere, poi, sostituite da altre forme e altre pratiche di una contemporaneità spesso ignora della conoscenza della storia del luogo di cui fa parte. In una collettiva, The third Island allestita presso la Triennale di Milano, curatela di Antonio Ottomanelli, troviamo fotografie che narrano, dai toni caldi e molto coinvolgenti, descrittivi quanto paesaggistici, della terra di Calabria: una via, sotto il sole e una temperatura molto elevata, le tonalità delle luci e delle cromie rendono tale aspetto, è abbandonata da sostrati nuovi di un paesaggio contemporaneo che supera la memoria storica, quella strada ormai non più praticata di congiunzione e comunicazione tra paesi, rendendo, cosi, la fotografia notevole contributo per il ricordo, per dare spazio alla riflessione sulle radici personali e collettive. Non possiamo trascendere dalla serie Invisible City, in cui in modo più esplicito esiste una connessione tra moderne architetture e strumenti elettronici di alta tecnologia, sintesi e sintonie di alfabeti visivi in una commistione di forme e di immagini, di figure e di geometrie, esaltazione della modernità in una calibratura delicata dei toni e del contrasto tra luci e ombre, tanto da aprire strade a nuove chiavi prospettiche, interpretative e visive. In Pack Age, invece, il dadaismo si fa strada con pienezza e in modo seriale, attingendo dal mondo del commercio e rendendo etichette di prodotti soggetti dalla forte valenza suggestiva ed estetica. In Walls torna la poetica a essere protagonista principale di una serie dedicata al senso di infinito in un’immaginifica proiezione del se oltre il confine, quel muro che divide a metà l’opera, quella lontananza eseguita con la definizione delle prospettive fotografiche che rende quasi senza limite lo spazio oltre il confine, confine fisico, tangibile, confine e limite personale, allegoria esistenziale. Simmetrie perfette che si stagliano lungo la ripresa dell’obiettivo, donando una certa armonia estetica compositiva all’opera, equilibri di forme e di soggetti, interessando quei tanti volti umani, persone e passanti, su cui si va a calibrare la luce donando una risoluzione completa di un’esposizione ben curata e ponderata si succedono come elementi artistici descrittivi, ricchi di lirica e di contenuto, nella serie Sao Paulo in plain sight. La memoria e il ricordo personali uniti alla ricerca artistica diventano parti narrative della serie Against the day: un laboratorio di sperimentazione, di continua tensione creativa che trova un riferimento personale forte e che caratterizza un richiamo e una partecipazione coinvolgente dello spettatore, dando e donando chiavi di lettura sempre aperte e nuove dimensioni interpretative, specchi visivi in cui materializzare la propria dimensione umana oltre che visiva. L’uomo si contestualizza, un dialogo e un confronto che creano brecce di grande espressività fotografica, nella dimensione urbana e metropolitana in City of London: in questo si sviluppa tutta la dimensione sociale e culturale di una raffinata ricerca artistica dell’autore, che si mette con lo scatto in prima persona partecipe di uno sviluppo di un linguaggio di alta incisività comunicativa, punto di incontro, lo si percepisce anche dal lavoro di produzione, quasi totale, delle sue serie, tra un’opera documentativa eccezionale e una valutazione interpretativa molto poetica e intima, che si eleva a messaggio di patrimonio collettivo, del reale in tutte le sue sfaccettature complesse, nelle sue contraddizioni, nel suo essere finito. Alessandro Rizzo
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Un pittorialismo fotografico: l’arte di Francesco Ragno tra forme e geometrie. di Alessandro Rizzo L’art brut diventa arte grezza e
flusso di coscienza tempestoso nelle cromaticità visionarie di Marie-Claire Guyot. di Alessandro Rizzo Georg Schrimpf:
da un espressionismo di un nuovo realismo alla dimensione magica di una nuova oggettività. di Alessandro Rizzo L’immateriale nel blu immenso e universale
di Yves Klein. di Alessandro Rizzo Un esempio di architettura integrata: la Fondazione Maeght.
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