Abbiamo intervistato la fotografa, nonché artista, Simona Sottocornola, scoprendo una poetica e una capacità compositiva ed estetica che palesa una forte dose di osservazione, di curiosità e di capacità di esplorare la natura, principale soggetto delle serie dell’autrice.
Simona, come nasce la tua passione per la fotografia? Sono un’osservatrice accanita, sono curiosa, mi piace esplorare e rimanere a contatto con la natura, guardarmi intorno. Inizialmente per me fotografare era un modo materiale di immortalare momenti particolari della mia vita, eventi e situazioni piacevoli. Ho iniziato con lo scatto “selvaggio”, con la nascita del mio primo nipotino Mirko, che è stato il mio primo fotomodello ancora prima di venire al mondo … quando fotografavo la panciona di mia cognata. Con il passare del tempo e anche con l’evolversi delle macchine fotografiche, mi sono avvicinata in modo più professionale alla fotografia, la svolta potrei farla coincidere con l’acquisto della mia prima digitale, che mi ha spinto a imparare, a migliorarmi e a buttarmi in questo meraviglioso mondo dell’arte visiva … scrivendo con la luce. I tuoi soggetti come li selezioni e come avverti essere soggetti ideali da immortalare? Mi reputo una persona istintiva, almeno per quel che concerne la sfera fotografica, e amo le cose belle per gli occhi e belle per il cuore, non seguo schemi prestabiliti nella scelta dei soggetti da immortalare. A quale corrente fotografica ti rifai, se si può parlare di corrente fotografica? Mi piace la fotografia che parla, che racconta, la fotografia che va oltre la foto stessa, che ti fa rimanere senza fiato e che ti fa volare con la fantasia. Prediligo e preferisco gli scatti in bianco e nero, una visione a colori della mia realtà, ma non disprezzo assolutamente le foto a colori, soprattutto per immortalare paesaggi o gli spettacoli che la natura ci offre. Sto imparando e soprattutto sto cercando di sperimentare per arrivare ad avere uno stile tutto mio. Ti posso dire quelli che sono alcuni dei miei fotografi preferiti contemporanei e non … qualche nome? Salgado, Cartier Bresson, Misha Gordin, Francesca Woodman, Weston, Vivian Maier. Quali sono le tue opere più rappresentative? Non saprei dirti quali sono le mie opere rappresentative, ma potrei sicuramente dirti quali sono le immagini che sono per me di notevole impatto emotivo e legate a fasi particolari della mia vita. Questa è l’immagine di lancio del mio primo libro Una sedia per aspettare che ha aperto per me una fase della mia vita artistica completamente nuova e inesplorata. Questa foto riporta in parte quello che potrei definire il mio stile. Camminare immersa nella natura per me è un’azione di totale rigenerazione mentale e fonte di ispirazione per i miei scatti . La tecnica che usi: che rapporto hai nella fase compositiva con l’obiettivo? Come ti ho risposto in una tua domanda precedente, sono generalmente istintiva, specie se si tratta di foto che scatto alla natura. Alcuni miei scatti, invece, rappresentano particolari scelti volutamente e inseriti in un determinato contesto, il mio intento è quello di trasmettere a chi osserva i miei scatti quello che provo io quando faccio click. Mi piace dare un titolo alla foto, e portare chi la osserva nella mia dimensione. A volte trascuro la tecnica, non sto a guardare che obbiettivo è montato sulla mia reflex, scatto … scatto scatto. Le foto perfette non mi piacciono sono le imperfezioni a fare la differenza e rendere la foto stessa unica. A quali lavori ti stai dedicando: parliamo delle prossime mostre, esposizioni? Attualmente ho in progetto mostre fotografiche, date ancora da definire. Le esposizioni saranno a Corbetta e a Mornico Losana, a Vigevano e a Pavia. Dal 3 ottobre 2015 fino al 7 di novembre 2015 scorsi, presso il Castello di Rossena (RE), è stata allestita un’esposizione delle mie fotografie denominata Camminando con le ombre. In occasione dell’apertura e della chiusura della mostra stessa, oltre alla visualizzazione delle mie foto, ho potuto presentare il mio libro Una sedia per aspettare, libro contenente 24 scatti e 24 poesie. La presentazione è supportata dalla giornalista Marinella Zetti, con Martina Donà, che ha letto alcune poesie inframezzate dalla musica della violinista e compositrice Barbara Rubin, e dalla pianista Veronica Fasanelli le quali hanno suonato alcuni brani del loro repertorio (cd Operauno). La presentazione è stata un estratto di un progetto al femminile che da tempo porto avanti con la violinista e con la pianista. Recentemente abbiamo realizzato in concerto delle proiezioni di mie fotografie, commentate dalla loro musica suonata dal vivo, e abbiamo già in programma diverse date nel 2016 . La fase di postproduzione è presente? Si nelle mie foto la post produzione è presente. Trovo sia la parte più delicata nell’iter fotografico che segue lo scatto. Va eseguita con cura senza lasciare niente al caso, fare attenzione a quali particolari dare risalto e a che viraggi eseguire per ottenere nel migliore dei modi l’effetto desiderato. Cosa vuoi esprimere attraverso i tuoi soggetti? Il mio obbiettivo è quello di riprodurre e trasmettere le emozioni che ho provato mentre scattavo. Che differenza c’è, temporale, concettuale, tra la fase di ispirazione e lo scatto: avviene naturalmente o esiste una ponderazione del momento e del soggetto da fotografare? A volte lo spazio temporale tra ispirazione e scatto è pari a zero, ci sono scenari che non permettono alla mente di fermarsi a pensare se scattare o meno … si scatta e poi si valuta. Di solito ho sempre con me la macchina fotografica, o il cellulare, e, abitando in campagna, ogni giorno lo scenario è diverso … mutevole come il tempo e le stagioni, ed è impossibile resistere a certi capolavori che solo la natura ci offre. Quando esco, invece, nei miei giri esplorativi, mi piace, a volte, costruire lo scenario dello scatto, che sia posizionando un fiore in una fessura di una finestra, che sia semplicemente spostando una sedia mezza rotta in un contesto abbandonato. Ho fatto anche diversi servizi fotografici, e mi diverto molto. Gioco con la persona oggetto del servizio e odio le pose plastiche, mi piace la naturalezza, la spontaneità e cogliere quell’attimo non aspettato o non impostato. Alessandro Rizzo
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flusso di coscienza tempestoso nelle cromaticità visionarie di Marie-Claire Guyot. di Alessandro Rizzo Georg Schrimpf:
da un espressionismo di un nuovo realismo alla dimensione magica di una nuova oggettività. di Alessandro Rizzo L’immateriale nel blu immenso e universale
di Yves Klein. di Alessandro Rizzo Un esempio di architettura integrata: la Fondazione Maeght.
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