Meglio volere nulla che non volere affatto
sullo spettacolo Nietzsche tra Dioniso e Apollo di Irma Immacolata Palazzo e Cosimo Cinieri Articolo di Rossana De Masi
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Meglio volere il nulla che non volere affatto. Non è assolutamente necessario, prendere partito per me: al contrario, come dinanzi ad un frutto strano, con un’ironica opposizione, di gran lunga più intelligente e neppure desiderata, una dose di curiosità, mi sembra un partito nei miei riguardi.1
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Irma Immacolata Palazzo, firma la drammaturgia e la regia di uno spettacolo di teatralizzazione della poesia eseguito il 27 ottobre di quest’anno, presso il Teatro Palladium di Roma. Al termine dello stesso, ci si ritrova di fronte al dilemma se occorra cercare, con l’aiuto di Nietzsche, di calarsi nella contraddizione e di lavorare da dentro il paradosso. Un dubbio s’insinua, molte opere di Nietzsche sono miniere ancora in gran parte silenti e inutilizzate, di cartelli che indicano sentieri che con la loro ricchezza possono ancora orientarci. Magari, proprio cominciando dal sipario che si chiude e che lascia allo spettatore la possibilità di sollevarlo sul problema del non essere mai fino in fondo capaci di capire quel battito di vita, vissuta nel silente e profondo io, che per quanto stravolta, tuttavia si manifesta.
A colpire fin dall’inizio è senz’altro il titolo dello spettacolo, Nietzsche tra Dioniso e Apollo, poiché rimanda, da un lato, alla chiara opposizione tra spirito apollineo (ovvero quella componente razionale e razionalizzante dell’individuo) e spirito dionisiaco (ovvero l’impulso alla vita, alla volontà di potenza presente nell’uomo); dall’altro, rimanda altresì all’assunzione di un significato più profondo, qualora esprime una modalità di relazione con la realtà, che secondo Nietzsche, squarcerebbe il velo di Maya, annullerebbe il principio individuationis e proporrebbe una modalità di relazione con la realtà non-mediata e quindi diretta. Durante lo spettacolo, tra l’alternarsi di musica e di danza, densi versi sparsi, decantati dall’attore Cosimo Cinieri e dal filosofo-performer Lucio Saviani, accompagnati al piano dal Maestro Domenico Virgili, mentre la danzatrice orientale Salua, accompagnata dalle note dell’artista Giuseppe Frana, prodotte dagli strumenti a plettro orientali, vengono lanciati allo spettatore a mo’ di sassi in mare dai quali si dipaneranno cerchi concentrici di riflessione che rimandano alle celebri frasi nietzscheane: “Bisogna avere un caos dentro di sé, per generare una stella danzante”, “E coloro che furono visti danzare vennero giudicati pazzi da quelli che non potevano sentire la musica”. Per Nietzsche la “normalità è una malattia”, qualcuno lo definisce un panantropologo: ovvero uno studioso dell’uomo a tutto campo, il cui interesse elettivo, è la malattia dell’uomo, identificabile con la tendenza, propria della coscienza individuale e collettiva, alla mistificazione, ovvero alla fuga dalla verità. Nel saggio silenzio delle opere di pittura, di scultura, dei testi scritti, dei testi narrati, recitati e danzati, probabilmente è sempre ciò a cui si aspira: a trovare riparo alla fuga dalla libera verità, che percorre, attraversa, invade con la sua fluttuante energia. Giunge a noi. La sua eco, più ridondante che mai, dona un ricordo. Dell’inizio. Di pensieri riflessi e di riflessioni pensate e ripensate, che rimandano a una voce, la sua, quella che lascia impressa su carta e che dal di dentro crea le sue opere non stando loro frontalmente ma lateralmente, ovvero accanto e dunque le attraversa, attraversa le sue opere percorrendole e, accompagnandole, nel mentre nascono. Un uomo che si lascia incantare dallo sguardo dell’intelligenza delle cose, per questo è possibile pensare alle sue opere come a delle immagin(i)-azioni. Soprattutto perché tra le sue opere e la sua scrittura si può scoprire un’assonanza armonica e ritmica, nel senso che suonano lo stesso tempo, con lo stesso ritmo. Parole prese in prestito dal linguaggio musicale non a caso ma, perché in esse si scorge e se ne percepiscono delle musicalità, echi di note in lontananza che creano segni di stile e segnali da decifrare, da individuare, per poi s-velarle, dalla loro segreta e silente appartenenza a quell’unica e irripetibile “musica, linguaggio dei segni degli affetti”, ma anche a quel ritrarsi, affrancandosi da esse per immergervisi dopo, con uno sguardo nuovo, non più sulle e delle cose ma dal se stesso delle cose. Perché alla fine è probabile che le cose/oggetti che ci circondano non siano poi così tanto e davvero inanimate/i pur non essendo costituiti della stessa materia di ciò che è animato. Taluni oggetti possono magari avere un’anima inanimata ma animante, che anima, nel senso che anima nel mentre la si può scorgere a partire dall’oggetto/opera, produzione artistica, che sta comunicando e trasmettendo, mediante sensibilissimi ricettori, la rappresentazione viva, visiva, visibile, e in questo senso inanimatamente animata ma animante, di ciò che chi l’ha prodotta avvertiva nel mentre la stava realizzando. A tal proposito non si può non andare alla definizione di S.V. Benet, secondo cui “i libri non sono umani eppure rimangono vivi”, che ben si adatta a tutte le opere geniali.
Note:
1 Lettera a Carl Fuchs, 29/7/1888, in A. Verrecchia, La catastrofe di Nietzsche a Torino, Einaudi 1978, p.93. 2 F.Nietzsche, L’uomo solo con se stesso da Umano,troppo umano. COSIMO CINIERI in NIETZSCHE, TRA DIONISO E APOLLO
di Palazzo-Saviani TEATRO PALLADIUM – Martedì 27 ottobre 2015 Con LUCIO SAVIANI, filosofo-performer DOMENICO VIRGILI, orchestrazione e pianoforte GIUSEPPE FRANA, strumenti a plettro orientali, SALUA, danza Drammaturgia e Regia: IRMA IMMACOLATA PALAZZO Organizzazione - Inventaeventi srl Scrivono in PASSPARnous:
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