Luca Zangheri tra classico e ricerca sperimentale informale Articolo di Alessandro Rizzo Esiste quasi un’attesa nella produzione di Luca Zangheri: un’attesa che ci porta a farci addentrare in quella scelta cromatica, il nero, che si eleva a forma plastica e volumetrica, tangibile e scolpita, tale da donare quel senso di negazione e, allo stesso tempo, affermazione della luce, della luminosità e di una certa illuminazione. |
Luca Zangheri nasce a Pesaro nel 1981 e si forma presso l’Accademia d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano: uno direbbe tutt’altro campo disciplinare. In realtà è proprio questo percorso formativo che permette a Luca di conoscere in modo diretto, avvertito sulla propria persona, provato e sentito sul proprio corpo, la dinamica anatomica del fisico, i movimenti e le tensioni muscolari che ci inducono a descrivere, in modo dettagliato e puntuale, i tratti della figura rappresentata e del soggetto ripreso. Una visione seriale se si intende per serialità la tipologia dell’immagine e della rappresentazione, essendo le figure simili, non riconoscibili in una loro individualità, uniformi nelle forme e nelle linee che vanno a definirne i corpi: questo percorso produzionale artistico ci rende, attraverso l’impeto estetico e compositivo dell’autore, il sapore contenutistico e reale, forte e incisivo, tangibile quanto pulsante, della poetica, del messaggio e del concetto che si evidenzia, in modo non così celato, quasi immediato ed evidenziato con delicatezza e gradualità, attraverso le cromie, sono due, nero e bianco, e attraverso il vigore e la portata della struttura materica della scultura stessa.
Luca usa materiali di riciclo, elementi e oggetti che vengono, così, assemblati, donando agli stessi un nuovo corso di vita, una nuova funzione, qui tutta artistica descrittiva, attraverso delle proprie e vere legature, dei grumi di intrecci di materia che diventano sostanza essenziale per delineare una prospettiva interiore, una sensazione che oltrepassa il dato fruibile attraverso i sensi, il tatto e la vista, per accedere nei meandri di quelle spirali che diventano nella scultura fili veri e propri, espressioni dirette di legami esistenziali e vitali, intimi e interiori. Perché parlare di legami, a tal punto da rappresentarli in modo tangibile? Descrivere il significato di questo presupposto tanto visivo quanto sostanziale risulta importante per addentrarci nella poetica, franca e altrettanto complessiva, di Luca: l’autore registra in ogni propria composizione scultorea un significante vivo della condizione esistenziale dell’essere umano nella sua generalità, universalità, qui il perché della serialità delle sculture e delle forme espresse in esse. I legami sono nient’altro, non occorrendo fare, in questo caso, un’analisi ipertestuale dell’opera, essendo il significato stesso dell’opera trasparente e sinceramente rappresentato, che catene che ci stringono in gabbie in cui l’individuo risulta essere costretto, senza soluzioni alternative, nelle proprie vicissitudini esistenziali e quotidiane: sono quei lacci e lacciuoli che interpretano in modo trasparente e intenso quel condizionamento costrittivo, evidenziato o interpretabile in diversi contesti, in uno spazio claustrofobico distante dal reale oggettivo in cui il soggetto stesso si trova inserito. È una distanza siderale intima e psicologica quella espressa nelle sculture di Luca tra l’io come soggetto, che tende, senza riuscirci, ora a svincolarsi e a scindere quella prigione, ora ad accettare, consapevolmente o inconsapevolmente, quella stessa situazione esistenziale come l’unica possibile, senza accogliere altra scelta liberatoria, convinto che quella condizione sia quella realmente accettabile come naturale, seppure priva di emancipazione. I legami si evidenziano in ogni rappresentazione di Luca: si intravedono anche in situazioni erotiche e sensuali in cui il rapporto tra le due figure interessate diventa il canonico, stereotipato e stereotipante, rapporto tra dominante e dominato, possibile fonte di un cambiamento tra i ruoli, repentino e inatteso, inavvertito e imprevedibile, non calcolabile, ma, comunque, rientrante in una dinamica predefinita. Luca lascia attraverso la propria produzione grande libertà di immedesimazione e di lettura delle varie situazioni in cui si declina il nostro concetto esistenziale e le nostre esperienze: senza monito e senza pretese propedeutiche educative, l’autore rappresenta con decisione la situazione di subordinazione, di assenza quasi claustrofobica di liberazione e di emancipazione, di impotenza, dovuta alla finitudine dell’essere, nel districarsi dagli impedimenti verso una propria e autodeterminata affermazione di se. Il bianco si libra in una scultura, in una sola scultura presente all’interno di una produzione artistica di Luca, fine di un percorso espositivo in una bipersonale, In nero, allestita presso Zoia Gallery a Milano, fino all’8 dicembre, curata da Nuccio Rotolo ed Erika Lacava. La scultura bianca si rivela in questo contesto in tutto il suo significato significante, ossia percezione di una tensione verso l’emancipazione, una finzione di emancipazione in una posa che, seppure sia gioiosa e scherzosa, quasi un gioco, nella sua portata, una ruota disegnata da due corpi che si tengono uniti per le mani e per le caviglie, sprigiona ancora, pur nella riacquisizione della lucentezza e dello sprigionamento di tutte le cromie attraverso il bianco, una condizione esistenziale circolare, senza soluzione di continuità: un legame che si autoalimenta in una spirale vorticosa e avvolgente, irrefrenabile, eterna, ripetitiva e inscindibile. L’opera bianca si differenzia, pur rimanendo comunque parte integrante e strutturale, all’interno di una serie che si fonda cromaticamente sul nero, un’oscurità intensa ottenuta con quella vernice scura che va a calibrarsi su una superficie prima chiara per essere, poi, coperta dall’autore nella fase compositiva con una patina sempre più fitta e tale da dare, anche nella fase esecutiva dell’opera, di creazione e di definizione della stessa, il senso intrinseco e, allo stesso tempo, materico di negazione dei colori, di assorbimento della luce, di buia visione che lascia intendere immagini concettuali altre, ulteriori e intime, di certo introspettive, prodotte dalla nostra immaginazione e lettura intima. Come sottolinea la curatrice dell’esposizione, Erica Lacava, notiamo esserci nelle sculture di Luca Zangheri, varie nelle dimensioni, una dose di classicità, le pose e la definizione delle linee e delle forme quasi ripercorrono una letteratura artistica antica, equilibrate e armoniose, contrastando con una caratteristica quasi anticlassica, dovuta a una rappresentazione, interiore, di disagio, di non armonia, di lacerazione, di necessità emancipatoria, di conflittualità e di squilibrio. La scultura e l’arte plastica sono sempre state una passione e una dediazione per l’artista: la rievocazione di un lavoro che, prima, in modo semplice, nella propria infanzia, veniva condotto attraverso il das o il pongo, ha visto, gradualmente accrescere in Luca la percezione di un concetto, di una poetica, di un messaggio che ha dovuto essere, poi, liberato attraverso forme plastiche e scultoree, andando a giocare con fili e intrecci di materiale vario, unendo l’estetica nella sua armonia anatomica e formale con una sperimentazione densa di ricerca, tale da dare ampio margine di composizione estetica e di elaborazione delle forme e delle figure che vengono delineate. Alessandro Rizzo
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da un espressionismo di un nuovo realismo alla dimensione magica di una nuova oggettività. di Alessandro Rizzo L’immateriale nel blu immenso e universale
di Yves Klein. di Alessandro Rizzo Un esempio di architettura integrata: la Fondazione Maeght.
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