L’architettura ha un proprio sviluppo autonomo, una base scientifica e di calcolo e una capacità richiesta di progettazione e di studio economico delle risorse: l’obiettivo è quello di unire la funzionalità della costruzione con l’impatto estetico, che deve concepire un’armonia delle forme e degli spazi. In questo iato strutturale che determina la complessità di tale arte si può, benissimo, affermare che intenderla come puro studio e semplice progettazione, abilità richieste, ovviamente, a chi la pratica, e come mero calcolo di spazi e di interazione tra essi, non sia sufficiente per dare lettura della completezza di tale ambito. È ormai cosa nota alla letteratura artistica e architettonica che grandi autori del presente, moderni o contemporanei, ma anche più remoti, se solo pensiamo alle città ideali disegnate e progettate da autori completi quanto complessi nell’era umanistica o rinascimentale, abbiano saputo elevarsi a definizione di artisti in quanto nella loro proposta creativa l’architettura diventava luogo sinergico, in cui l’aspetto elaborativo si univa a quello progettuale delle dimensioni urbane: contaminazione rilevante, questa, che chiama in causa diverse materie, non solo sociologiche, antropologiche e strutturali, ma anche visive e pittoriche, visioni urbanistiche senza pari. In Brasile, Maceio, nel Nordest del grande paese latino americano, si afferma e vive Verinha Gama, possiamo dire esempio contemporaneo, questo il suo riferimento elaborativo quanto sperimentale e di ricerca, di questa contaminazione tra estetica, rappresentazione puramente estatica e contemplativa di una metropoli, di uno spazio urbano, di un concetto di sviluppo di città “ideale” che apprende nell’idealismo la portata universale della propria dimensione, la caratteristica di sostenibilità in ogni sfaccettatura e da ogni punto di vista, poliedrico, di osservazione: in questa dimensione cresce e accresce la sapienza estetico compositiva di Verinha, individuando una propria dinamica e pulsante vivacità in una produzione in cui confluisce la funzione di essere artefice, demiurgo che plasma la kora, di un’idea, magari utopica, ma ricca di poetica, di città, evoluzione basata sulla centralità della persona, sulla vivibilità come principio di allocamento equilibrato delle risorse disponibili, ma anche capacità estetica visiva e compositiva della struttura complessiva, che diventa visione artistica in tutti i sensi.
In Verinha si afferma un utilizzo sapiente e consapevole, ma anche conseguenza di ispirazione interiore, espressione di una poetica fatta propria ed esposta attraverso l’impeto, non può mancare, e la ricerca, è molto caleidoscopica, del materico tanto da rendere convincente quel gioco prospettico quasi concettuale e fatto di immagini, urbane, impresse, oggettive quanto tangibili, essendo parti integranti dei nostri percorsi esistenziali quotidiani, messaggio non troppo recondito e abbastanza palese del rapporto, difficile e non così equilibrato, tra l’io e il contesto in cui esso vive, si sviluppa, soprattutto se si considera il processo, molto attuale, non sempre promosso con armonia, tra inurbazione e urbanizzazione e l’estensione delle aree abitative concentrate. Verinha sconfina, anche se il termine ipotizzerebbe una sutura e un limite tra architettura e arte visiva compositiva, nella concezione estetica, e visionaria, dell’opera, tanto da vedere non contenibile la propria espressione concettuale e tanto da invadere, con destrezza e determinazione, la rappresentazione in tutta la propria portata generale e universale, corroborando l’impatto delle visioni che ci propone attraverso magistrali citazioni artistiche, concepite dietro un’elaborazione precedente la fase compositiva e tale da suggerirci grande sapienza descrittiva, con un’alta ispirazione visionaria e una forte dimensione rappresentativa del reale e dell’interazione tra spazi e forme, tale da aprirci dimensioni e prospettive panoramiche inattese, ulteriori rispetto al dato sensibilmente apparente, quasi surreali e immaginifiche nella loro portata e sostanza. La complessità compositiva in Verinha risulta, così, raffinata, delicata e leggera, seppure fermo e deciso ne sia il tratto, quella espressività incontenibile e indomabile che trova nell’impulso creativo la propria strada comunicativa e che, allo stesso momento, viene equilibrata e adagiata, tradotta in linguaggi e sintassi visive, alfabeti immaginifici quanto reali, offrendoci elementi valutativi e opzionali di introspezione che vanno oltre la dimensione puramente materiale. Verinha opera secondo una propria ottica, quel punto di vista, richiamando e attirando l’attenzione dello spettatore, e che la rende rigeneratrice della visione urbana, riproponendola e ripensandola, in un’opera complessa, anche per gli elementi e i supporti tecnici utilizzati, che risultano essere vari e funzionali al messaggio e al concetto che esteticamente nel suo impatto l’autrice vuole imprimere, ricchi di un fondamento interiore e poetico, lirico quasi, di grande spessore, contemplabile e apprezzabile. Due dimensioni si presentano nella generalità dell’opera nella sua visione universale e totale: quella estetica compositva e quella scultorea, plastica attraverso un riutilizzo, una nuova vita data e concessa a oggetti di uso quotidiano, accezione quasi dadaista nella sua valenza storica, nuove finalità che vedono costruirsi e che ci garantiscono linguaggi e sintassi che ci portano a inoltrarci in un’esperienza unica e coinvolgente, un incontro sintetico tra la stessa tecnica utilizzata e la portata lirica del concetto dell’opera. La dinamica e il movimento come impeto e come struttura sono elementi che ci confermano la naturalezza e la spontaneità di significati intrinseci quanto reconditi che toccano il concetto esistenziale dell’individuo che, come spettatore, non può sentirsi risparmiato da una chiamata in causa in prima persona, dovuta soprattutto a quel vigore estetico e interpretativo di un reale, riletto, ridimensionato, ripensato e rivisitato, decomposto e composto, scomposto e rielaborato in una concezione lirica di grande rilievo. Alessandro Rizzo
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Un pittorialismo fotografico: l’arte di Francesco Ragno tra forme e geometrie. di Alessandro Rizzo L’art brut diventa arte grezza e
flusso di coscienza tempestoso nelle cromaticità visionarie di Marie-Claire Guyot. di Alessandro Rizzo Georg Schrimpf:
da un espressionismo di un nuovo realismo alla dimensione magica di una nuova oggettività. di Alessandro Rizzo L’immateriale nel blu immenso e universale
di Yves Klein. di Alessandro Rizzo Un esempio di architettura integrata: la Fondazione Maeght.
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