Qualcuno ideava una città ideale, soprattutto in tanta arte quattrocentesca e umanistica, dando un risvolto decisivo alla decadenza, civile e sociale, che imperversava il vivere quotidiano in tutte le sue forme: esisteva un sogno inestimabile di riscatto e di rinascita, il Rinascimento ne fu esempio sommo attraverso le arti, e questo portò a epoche auree e di rinnovamento senza pari. Andrea Bellettato vive un presente che ha radici sociali, culturali, civili ed economiche in un passato prossimo: e come ogni artista contemporaneo che si rispetti nella propria autonomia compositiva e ideale, Andrea ricerca la giusta tecnica per meglio significare un degrado, civico ed estetico, che la sua città, Milano, vive da qualche anno a questa parte. Le sue tele sono letteralmente invase da materiale di riciclo e di riutilizzo che disegnano, forte lui stesso di una formazione pittorica, panorami inattesi ed evocativi, nella loro suggestione, la decadenza di una città: una città che potrebbe essere qualsiasi, se vista nel significante poetico e universale dell’opera, ma che ci riconduce a Milano, luogo dove l’autore è nato, dove si è formato, dove ha lavorato e lavora, direttore creativo in agenzie di comunicazione, dove ha potuto, e può, percepire fisicamente e visivamente il declino e lo sfregio, Disfregiativi l’ultima personale tenuta a Emotions of the World gallery pop up a Lodi, che l’umanità e la società, tra opulenza e sfrenata esigenza morbosa di progresso, hanno dettato e impresso. Un collage si erge come costante tecnica e supporto e ci porta a evidenziare un percorso narrativo intenso quanto esplicito nella sua portata, inquadrando una produzione che non vuole accondiscendere né essere accomodante, ma schietta e immediata nella propria portata concettuale. I forti contenuti si vivono nelle interruzioni degli elementi presenti sulla tela, cosi come sui contorni e i perimetri marcati, sulla scelta di cromie materiche opache e cupe, quasi notturne: come crepuscolare possiamo intendere la tensione poetica che si cela dietro all’ideazione dell’opera nel suo impatto generale.
Il materico, quindi, diventa visione palpabile e tangibile, si può toccare e viverla, di un insieme pittorico ed estetico, tale da darci una realtà verace, tradotta in un linguaggio privo di retorica, sincero, schietto, grezzo nella forma l’autore non vuole ingannare l’occhio dell’osservatore tramite dorati orpelli artificiosi e devianti, ma denso di un contenuto sostanziale pregno di significante. Tecnica e supporto, si sottolienava, diventano i protagonisti compositivi dei quadri di Andrea Bellettato: il linguaggio vuole rompere con un passato di arte accondiscendente e accomodante, per affacciarsi a una contemplazione che non lascia margini al compromesso e all’edulcorazione fittizia. In questo frangente non possiamo dire che la produzione di Bellettato sia priva di immaginazione: l’immaginazione si avverte nel momento in cui l’autore conduce lo spettatore a osservare l’opera nella sua totalità, nella sua interezza, nella sua completezza, per dare allo stesso uno sguardo di riflessione e di evocazione su quella città, in cui Andrea ha vissuto esperienze tali da avvertirla come “sfregiata”, esteticamente, civilmente, culturalmente, ambientalmente e socialmente. È un arte di impegno, almeno ne è il suo effetto, ma non è solamente tale se si considera chi l’ha realizzata: l’autore ha solamente avvertito la necessità insopprimibile di esprimere un proprio sentimento, una propria afflizione, una propria emozione negativa, lui si definisce misantropo, nel vedere il progressivo decadimento della propria città. La misantropia crea poesia e lirica, lo sappiamo, e Andrea è riuscito a fare calibrare i materiali, diversi, ad assemblarli e a farli interagire in modo da darci idea di questa decadenza senza termine, fotografando attraverso l’alfabeto materico il presente che è derivazione di un passato: un passato che rimane vivido nello studio, accurato, e nella ricerca, copiosa, compositiva quanto poetica su cui l’artista ha lavorato. Il disincanto di un preromanticismo artistico viene trasposto nella rividezza e nella grossolanità della materia approntata con armonia e consapevolezza sulla tela: esiste sempre imperturbabile la presenza di un agognato mondo ideale, di una città ideale che si ricava attraverso una lettura in positivo della serie proposta da Andrea: le prospettive e i panorami che le tele dell’autore ci donano sono tali da addentrarci in una serie di simboli ricchi di messaggi e di narrazione di messaggi, in un vortice di significanti che diventano, nella loro portata di impegno civico estetico, sgorganti dalla materia pulsante e viva, quasi espressività di un umanesimo rinnovato e rielaborato. In questo si assapora ancor di più l’autorevolezza autorale di Andrea, rendendo l’artista riconoscibile e unico, originale quanto autonomo per la sua sincerità ideale, per la determinazione e la sicurezza compositive. Alessandro Rizzo
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