La ricerca diventa alimento per una produzione artistica: si è sempre portati a dire, ed è vero come fosse quasi una sentenza definitiva, che quando cessa quella tensione sperimentale che caratterizza un autore, termina il percorso immaginativo visivo di quest’ultimo. Pamela Jica Mezea ha voluto e vuole continuare, invece, a sperimentare, in quanto ha segnato attraverso la sua attuale, già copiosa, produzione un itinerario foriero di nuove esplorazioni, sia tecniche, sia visive, sia estetiche. Pamela nasce a Milano, frequenta le Belle Arti, dove si diploma, si laurea in Storia e Filologia: la formazione accende un’illuminazione nella poetica di Pamela tanto da donarle e offrirle gli strumenti, tutti, per procedere verso un’elaborazione completa e complessa, ripresa a più gradi e livelli dalle sue opere, diverse serie in un’unica grande serie, Ars Arcana. La filologia, lo studio delle fonti letterarie, l’analisi dei miti che hanno scritto l’epica sono soggetti che ritornano incessantemente nelle tele di Pamela: sono rivisitazioni di prospettive di un reale, proiettate in dimensioni oniriche e fantastiche, ricalcando la valenza attuale e il significato odierno di un mito che ha interessato storie e letterature, poemi e poesie, racconti e musiche di libri e scritti antichi. Lo studio dell’arte nella sua accezione puramente antologica e storica ha portato, poi e in aggiunta, Pamela a una dimensione consapevole degli afflati stilistici possibili, tanto da renderne sicura l’esecuzione, il momento di definizione della pennellata, del disegno, che anticipa l’apposizione della tinta, quasi sempre a olio, della rifinitura di quei contorni, evanescenti, in quanto sfumano nella loro portata perimetrale, ma allo stesso momento chiari e leggeri, tanto da sobbalzare ai nostri occhi in visioni di forme dinamiche e vibranti di fisicità, ricche di perfezioni anatomiche. I ritratti, questi sono, assumono, cosi, una valenza narrativa simbolica, neoclassica e universale nella loro portata, nel momento in cui le cromie che vengono decise, selezionate e accuratamente ponderate da una direzione lirica e poetica ideale dell’autrice, si affacciano col proprio splendore, col proprio vigore, con la propria forza, con il proprio impeto uscendo, quasi, dalla dimensione della tela, avvolgendoci, coinvolgendoci, possiamo dire affascinandoci nella loro lucentezza. Luci e ombre, sfumature e pennellate vivaci si intervallano nelle opere di Pamela, tanto da definire caleidoscopi visivi di ottiche mai appurate, mai certificate, senza precedenti nella loro sostanziale essenza: quindi stupefacenti. L’estetica si fa narrazione nella complessità di una tecnica che rende riconoscibile Pamela come autrice: un’autrice che lascia, senza apparire invasiva ma solo chiara e trasparente nell’intenzione compositiva, la capacità di far raccontare il mito e il simbolo alle immagini e alle forme che si stagliano su corpi dalla bellezza sopraffina, quella canonica di richiami neoclassici che ci portano verso fondamenti eterni e atemporali della bellezza stessa nella sua portata valoriale, etica. Le narrazioni epiche si ripercorrono e si rielaborano prendendo, ecco che la filologia fa il suo operato nella conoscenza dell’artista, spunto e ispirazione dalle intensità dello scritto, leggende romantiche e preromantiche, come per esempio le novelle e le favole di Edgard Poe, che hanno un sapore gotico e misterioso, e i poemi e le composizioni liriche di Sir Malory. I miti si ripercorrono e si rielaborano prendendo anche spunto dall’arte, tanta, caravaggesca, raffaelita e preraffaelita, assaporandone con determinazione e stupore estatico le visioni di un Rossetti, di un Burne Jones, di un Edward Hughes. Si rivivono soprattutto gli stili che connotano e hanno connotato questa corrente celebre, ispirata con varie e chiare citazioni all’arte mediovale e a quella rinascimentale, da cui prende alimento, affidando alle tele una purezza senza precedenti nei tratti pittorici, garantendo paesaggi favolosi e fiabeschi, improbabili seppur evochino elementi del reale, approdando verso texture delicate, leggere quanto evanescenti, fatte di una centralità quasi plastica della figura, tanto da rendere essa stessa luminosa, elaborata, articolata, particolareggiata nelle forme e nei movimenti, credibile nel proprio impatto estetico, anatomico e visivo. Pamela non sprofonda in uno stucchevole e ripetitivo formalismo di maniera, ma giova in modo intelligente e armonico di gran parte della letteratura artistica, evolvendo in una sperimentazione ideale e in una tecnica che la rende, appunto, autrice complessa nella sua portata. Pamela usa una tecnica a olio, quel supporto che richiede tempo nella fase elaborativa e compositiva, ma si muove e contamina la propria produzione usando il disegno, l’illustrazione, digital art e digital painting, tali da rendere armoniose le immagini che vanno a definirsi, passando dall’acquerello all’olio, all’acrilico, con destrezza e consapevolezza, cercando di rendere ancor più incisivo il senso di mistero e di affascinante simbolismo immaginario, calibrando prospettive diverse, donando agli sguardi estatici delle immagini il fascino di corpi che tendono a essere disegnati tramite le valenze chiaroscurali, come insegna tanta parte dei preraffaeliti: fasci muscolari, come in Ade, che si tendono e protendono offrendosi come visione mistica e invitante verso lo spettatore, di cui si apprezza la plasticità monumentale di una perfezione fisica statuaria, dall’espressione accattivante e sensuale. Atemporalità universale e aspazialità ci rendono visione di sguardi e di paesaggi irreali e mitologici, fiabeschi e onirici, salvaguardando quel flusso penetrativo che i caldi colori, contrastanti con tonalità più fredde dello sfondo, solamente possono accennare con incisività in un contesto che da antico si fa nuovo, rinnovato, lettura di un’altra realtà inattesa e stupefacente, remota quanto prossima alla nostra contemporaneità.
Alessandro Rizzo
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