In un’intera produzione artistica ci possiamo trovare a immergerci nella natura, quasi riportando in auge l’impeto di una poetica che rivive le radici intense quanto imperiture di una filosofia antica che vede nei quattro elementi, acqua, terra, fuoco e aria, la parte fondante di ogni esistenza: parliamo dell’arte di Yesica Salviati che riesce a fare di tutto questo un’apologia in un lavoro che diventa inno alle incontaminate distese, dove a parlarci e comunicarci sono i soggetti di un ambiente non corrotto né alterato. Visioni quasi paradisiache e oniriche di un Eden ci portano a domandarci e a pensare sul benessere interiore, diventando quasi simboli, immaginifici quanto fantastici, di un equilibrio e di una pace intima, base principale per un incontro umano e uno sviluppo sociale fondati sulla comprensione e sulla solidarietà. La natura continua a trasformarsi, ci suggerisce la stessa artista, nasce in Peru a Cusco, frequenta il Liceo Artistico Bruno Munari di Crema (CR), si laurea in beni culturali e in critica artistica, facoltà di lettere, all’Università degli Studi di Milano: ed è proprio per questo, in quel pantarei di Eraclito, in cui ogni cosa si modifica, nulla si distrugge in un eterno divenire, l’autrice ci porta attraverso le sue pennellate, tecnica mista, spesso a olio, scelta che rende luminose e sgargianti quelle tinte cromatiche che rendono armonia e sintesi assoluta di una visione universale e illimitata, e attraverso un trionfo di colori e cromatiche sfumature dalla portata accesa e coinvolgente, nella poliedricità e nella caleidoscopica natura. Le visioni delle opere di Yesica esaltano il nostro senso della vista. La tecnica, spesso, trova nella fase di produzione una strumentale utilizzazione di procedimenti che ci riconducono con la memoria alle transavanguardie internazionali, come il dripping di un Pollock: Yesica non vuole fuoriuscire da un proprio binario poetico, influenzato, lo confessa, da una sua visione dell’arte come terapia, come metodo per esorcizzare e superare i problemi, alienanti e deprimenti, che la quotidianità ci può dare, ma vuole, in una sperimentazione sempre presente e in una propria ricerca artistico ed estetico compositiva mai satura, donarci nuove prospettive per le quali la stessa artista chiede allo spettatore non uno sforzo volto a un’ipotesi di lavoro, ma una semplice e leggera capacità di lettura di quei canoni alfabetici di immagini pure e reali, che ci inoltrano in paesaggi mai affrontati. Il realismo si contamina perfettamente con l’astratto e, oserei dire senza incorrere in presunzioni, in un concettualismo ricco di simboli: simboli che si nutrono di elementi reali, credibili, da noi concepibili ma che ci aprono le porte dell’immaginazione e della fantasia. L’albero è un elemento principale nella produzione di Yesica, la cui fase compositiva, si vede e si percepisce, richiede un’iniziale elaborazione intellettiva ma, soprattutto, intima per, una volta completato questo passaggio, poter operare ascoltando le proprie sensazioni e le proprie emozioni, in una capacità di affiancare cromie che ci sprigionano liriche estetiche, intense quanto vibranti. Yesica ama la terra, in quanto fertilità, madre, in quanto nostra condizione naturale di origine, una ricerca continua della genesi dell’umanità e di se stessa. L’autrice si propone attraverso le proprie tele, che inquadrano e indirizzano il nostro punto di vista e di osservazione, in un rimando, contaminante e contagioso, tra l’esaltazione, quasi biologica e fisica, del ‘materiale terrestre’ e l’esplicazione e la rivelazione, attraverso l’albero e i soggetti verticali proposti nella loro portata totale, di quell’“immateriale celeste”. Si scorge una certa tendenza espressionista nel momento in cui il vigore della trasformazione della natura assicura un dinamismo che proviene dalla lettura e dall’osservazione dell’autrice verso la natura, palesando l’ossessione poetica e l’attrazione che Yesica avverte verso la terra, inno all’infinito, inno all’immortalità, inno al piacere estetico denso di contenuto. Notiamo una certa sacralità nella narrazione della natura da parte di Yesica e un tripudio di colori che diventano quasi ‘note’ dì un’immensa ‘sinfonia’: lo spartito ci porta a vivere l’intensità artistica e visiva di vibrazioni cromatiche in cui tutte le tonalità concorrono a rendere descrittive quelle sensazioni che sprigionano da forme e spazi esteticamente composti e compositi. Il colore diventa quasi luminoso e luminescente, vivace, pieno di energia e vigore, e supporta quella ricomposizione del reale, la natura nella sua essenza primigenia e incondizionata, derivata da una decomposizione dello stesso e da una sua rilettura e rielaborazione. L’opera nella sua fase compositiva vede prevalere come guida delle decise pennellate impresse da Yesica la sensazione e il sentimento della stessa autrice: un astratto che si nutre del vero per addentrarci in un ginepraio composito e complesso di simboli in una visione che si affida alla valenza artistica di un’estetica compositiva originale, propria, unica, irripetibile, autoriale.
Alessandro Rizzo
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Un pittorialismo fotografico: l’arte di Francesco Ragno tra forme e geometrie. di Alessandro Rizzo L’art brut diventa arte grezza e
flusso di coscienza tempestoso nelle cromaticità visionarie di Marie-Claire Guyot. di Alessandro Rizzo Georg Schrimpf:
da un espressionismo di un nuovo realismo alla dimensione magica di una nuova oggettività. di Alessandro Rizzo L’immateriale nel blu immenso e universale
di Yves Klein. di Alessandro Rizzo Un esempio di architettura integrata: la Fondazione Maeght.
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