La guerra è all’origine dell’Occidente come civiltà. L’Iliade e l’ira di Achille. Nella guerra e nel suo racconto si scopre il genoma dell’Occidente quasi quanto nell’amore e nel delitto. È il nostro fondamento. Ma se nell’Iliade agli eroi si affiancano gli dei che partecipano alla battaglia, intervengono sugli esiti, difendono i loro protetti, nella Prima Guerra Mondiale raccontata da Baliani, ci sono solo gli uomini, abbandonati, mercificati, annullati. Non ci sono più gli uomini d’arme. C’è solo la carne da cannone, l’anonima fanteria, i numeri mostruosi dei caduti. Il racconto è toccante, e non può esserlo altrimenti. La strage inutile fu chiamata, come se ci fossero mai state guerre utili. Eppure nonostante la commozione che indubbiamente il racconto e le immagini evocano, la sensazione di qualcosa di sbagliato mi attanaglia. Troppe parole a descrivere ciò che non era riuscito nemmeno ai più grandi poeti (Rebora, Ungaretti Celine e Marinetti in primis).
Eppure l’inizio mi aveva fatto ben sperare. Sulle note dell’ouverture de la Traviata ecco apparire un soldato da un buco in terra che si muove tra gli spasmi e ripetutamente cerca di affondare la baionetta. Così a scatti. E questo soldato sporco di fango mi aveva fatto apparire per un momento quei soldati manichini di Kantor, che si muovono sulla scena, incapaci di parola, inabili al movimento, che cadono e si rialzano in quel loro continuo non riuscire a morire. Ma l’immagine com’è apparsa subito scompare e ritorna l’attore che dice e racconta e interpreta e finge di provare per farci provare. Solo la musica e la scena a volte riescono laddove l’attore manca (e non perché non sia un bravo attore, anzi! È che sono le premesse a mancare). Le maschere antigas, che sfilano in una teoria sullo schermo. Mostri creati da un immaginario malato, disumanizzante, atto a togliere identità al soldato. Ma c’è anche il potere antico della maschera che si eleva sull’agone del grande mattatoio. E i suoni, anch’essi disumani, di metalli che stridono, di cose strascicate, urtanti come di gesso sula lavagna. Suono e immagini riescono un po’ a far intravedere una possibile via per raccontare senza essere per forza così dominati dal dire, dalla parola enunciante. Il corpo dovrebbe raccontare, il corpo che in guerra come nella vita subisce e patisce. Non la parola, perché l’orrore non si può raccontare con le parole. Esse mancano come nell’amore. Ma è all’origine che le premesse sono sbagliate. Intendere ancora che il teatro e l’arte in generale sia una forma di comunicazione. Non si comprende che l’opacità dell’arte è la sua forza in grado di poter scavallare gli anni che la vedono nascere. L’opacità che racchiude l’opera d’arte è quella che gli conferisce potenza perché in quella nebbia ci si può perdere e scoprire così ognuno la propria strada, il proprio vedere e sentire. L’univoco non conduce a nulla se non al proprio obbiettivo. L’opaco apre piani e spazi impensati conduce in luoghi sconosciuti. Fin dalla prima battuta tutto invece a chiaro, limpido. Si parla dell’orrore della guerra, del soldato abbandonato nel fango della trincea. E a me pubblico non resta scampo devo affrontare questo viaggio. Non ho possibilità di fare esperienza. È di questi ultimi giorni l’uscita nelle sale del film Fury. La guerra in questo caso è la seconda, altrettanto orribile come ogni altra. Ma c’è una scena in cui si scatenano forze indicibili che raccontano ciò che il teatro dovrebbe raccontare al di là delle parole. Due soldati americani sono in casa di due donne tedesche. Il più giovane ha fatto all’amore con la donna più giovane, tra i due si è costruita un’intesa che va al di là della lingua. Il capitano della squadra osserva, lascia fare mentre accudisce a se stesso. Improvvisamente irrompono gli altri tre membri della squadra. Si siedono a tavola, sono ubriachi, vogliono mangiare e vorrebbero approfittare della donna giovane. Il pranzo incomincia, ma la tensione che trasuda è fortissima. Violenza, stupro, odio, tutto sospeso: aleggia come un mostro sulla tavola. Si accumula e non si scarica come nere nuvole temporalesche. Tutto è in bilico mentre mangiano quelle uova. Il capitano nel silenzio regge le fila di quelle forze e cerca di pilotarle verso uno scarico inoffensivo. Le parole raccontano altro, storie di guerra, battute grasse, perfino una preghiera. Le immagini sono in un altro versante: fanno affiorare le forze devastanti dell’animo umano. Due campi che procedono paralleli ma funzionali all’emersione di ciò che non si può raccontare perché indicibile. Ecco in cosa manca questo spettacolo di Baliani, al di là della sua indubbia bravura come attore. Non racconta l’indicibile perché usa le parole in maniera massiccia. Non va oltre al dire. Il suo corpo non va oltre al mostrare degli stati di paura e orrore simulati. Non riesce mai, se non all’inizio, a essere guerra come i soldati manichini di Kantor. Essere e non fingere. L’inganno del teatro è già stato smascherato, non ci crede più nessuno. È ora di essere sulle scene, lasciando da parte la finzione così tanto evocata in queste Colline Torinesi. Enrico Pastore
Scrivono in PASSPARnous:
Aldo Pardi, Gianluigi Mangiapane, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Alessandro Rizzo, Fabio Treppiedi, Silverio Zanobetti, Sara Maddalena, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Alessia Messina, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Enrico Pastore, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Francesco Panizzo. |
Un teatro
occupato da una x: il carisma ossessivo della follia importante di Antonio Rezza. di Daniel Montigiani 1952:
un anno chiave nella produzione teatromusicale di John Cage di Enrico Pastore Un grande particolare
A Novi Cad con il Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards di Francesco Panizzo SEMPLICI
RICOSTRUZIONI? Beatrice Baruffini in W (PROVA DI RESISTENZA) di Sara Maddalena e Francesco Panizzo Intervista a
Claudio Ascoli nella Libera Repubblica delle Arti di S. Salvi - Firenze di Francesco Panizzo Incontri verticali
con Jurij Alschitz di Mariella Soldo Sottrazioni -
Conferenza in commemorazione di Carmelo Bene al Caffè Letteraio Le Murate di Psychodream Theater |
LE ALTRE SEZIONI di PASSPARnous:
|
Sezione
Revue Cinema diretta da Daniel Montigiani Sezione
Trickster diretta da Alessandro Rizzo Sezione
Reportages diretta da Davide Faraon |
Sezione
Psychodream Review diretta da Enrico Pastore e Francesco Panizzo Sezione
Apparizioni diretta da Francesco Panizzo Sezione
Archivio diretta dalla redazione di PASSPARnous |
Sezione
Musikanten diretta da Roberto Zanata Sezione
Witz diretta da Sara Maddalena Sezione
Eventi diretta dalla redazione di PASSPARnous |
|
Vuoi diventare pubblicista presso la nostra rivista?
sottoscrivi il bando. Accedi al link dall’immagine sottostante.
sottoscrivi il bando. Accedi al link dall’immagine sottostante.
Psychodream Theater - © 2012 Tutti i
diritti riservati