Si apre una disputa, per il sottoscritto alquanto superflua, tra chi sostiene la purezza artistica della fotografia analogica e chi sostiene la modernità della fotografia digitale: nella produzione di Roberto Boccali tale dicotomia viene risolta in una composizione che diventa sintesi di tecniche e rende l’’opera finale apprezzabile da ogni punto di vista. “Il passaggio dall’analogico al digitale è stato sofferto - ci confessa Roberto - per questo ho pensato alla possibilità di utilizzare filtri che sappiano emulare le pellicole, ritrovando, cosi, la fotografia di un tempo con alti contrasti e attenzione per i dettagli”.
Quello che affascina maggiormente nella proposta fotografica di Roberto sono la capacità e la sapienza tecniche, lui, l’autore, forte di una formazione che lo vede fin dalla giovanissima età affacciarsi alla fotografia con passione e dedizione, iniziando proprio dalla sua città, Cremona, utilizzando una Kodak EXTRA22, arrivando alla Reflex e aprendo, addirittura, una propria camera oscura a Bologna. La passione per questa arte accompagna Roberto in tutto il proprio percorso formativo e di crescita, diventando totale dedizione, fino a essere assistente di noti autori presso importanti studi fotografici, ottenendo il Terzo Premio della Critica presso l’Internatilnal Art Academy nel 2003. Roberto riesce a mettere la propria competenza a servizio di idee e progetti che lo portano a valorizzare gli elementi colti nel contesto, osservare l’ambiente, ritrarre le persone e i paesaggi, attendendo il momento giusto per realizzare quella situazione da lui stesso anticipata. La produzione “artigianale” di Roberto diventa, così, unica, riconoscibile nell’impatto estetico e nella calibratura attenta della tecnica utilizzata. La produzione di Roberto non vede la fase della post produzione, in cui semplicemente si limita a lavorare sui particolari, dunque semplice e non invasiva: il tutto si fonda su una chiarezza compositiva tale da affidarci a “una ricerca dell’immagine”, in cui si evidenzia una tensione dell’autore al raggiungimento della materia finale di arrivo, di quel punto di equilibrio tra saturazioni, cromie complete e di contrasto, armonie quasi simmetriche tra forme ed elementi inseriti nel contesto generale, paesaggistico e urbano. Roberto gioca molto con il bianco e il nero, riesce con un’abilita tutta propria ad applicare filtri con gradazioni di colore "che ricordano le vecchie pellicole", rendendo il prodotto finale dal sapore più caldo o dal sapore più freddo in base al messaggio che vuole trasmettere, alla sincerità delle sensazioni che vuole indurre. Veniamo alla serie Tasty, esposta presso la Galleria Plauman di Milano fino al 21 maggio, una proposta in divenire eseguita “sull’onda del progetto Street fonger pics”, in cui il trionfo del dettaglio diventa parte strutturale di una composizione unica, univoca e, soprattutto, riconoscibile a livello autorale. Roberto parla della sua produzione come di una fotografia, una successione di immagini di città importanti, ricordiamo Londra, progetto appena completatato, di metropoli o contesti urbani, “da asaggiare, assaporare, da visionare, da stampare”, in visioni che diventano oggetti ed elementi “semplici, genuini, reali” e tali da renderti spettatore che gode di sensazioni e di emozioni in una successione di frame, vere e proprie immagini riproposte in riquadri architettonici, in cornici naturali utili nel donarci il senso dei contrasti cromatici, delle opposizioni tra luci e delle saturazioni di diversa portata, contrasti che diventano armonie compositive di un alfabeto narrativo da assaggiare e cogliere nella sua immediatezza e irripetibilità. Roberto cattura, cosi, “impressioni e colori”, li rende parti essenziali di un linguaggio che ci addentra in una narrazione della città, colta in un determinato periodo, in successioni dinamiche di rappresentazioni della realtà, in una lettura dei personaggi che si fondono con il paesaggio, in cui le cromie diventano anche occasione per lo spettatore di gustare il prodotto finale, riproponibile come semplice stampa in diversi altri contesti, presentato senza nessun tipo di supporto tecnico specifico. Le immagini diventano, cosi, “fresche come verdure di stagione”. Parliamo di poetica nell’arte di Roberto: lui è un ritrattista puro e proprio in virtù di questo “sta cercando di ritrarre una città”, Londra, ora Milano, in futuro prossimo Barcellona, Berlino, Parigi. Roberto ci porta e ci chiama in causa come spettatori in un viaggio nella città, senza che ci siano elementi in cui si possa comprendere immediatamente quale città si tratti: il piacere che deriva, quindi, dalla visione delle opere dell’autore sta nel non considerare come riconducibili le singole inquadrature e gli elementi che sono in esse ripresi, donando alla stessa opera un senso universale. La serie di Roberto ci porta ad apprezzare il contesto narrativo estetico e compositivo solamente alla conclusione del medesimo: la singola fotografia è funzionale alle altre, parte integrante di un contesto generale continuo. Mi sono più volte domandato come avvenga la fase di produzione, i passaggi che anticipano lo scatto e quello in cui valutare il momento per scattare: in questo lasso temporale non è concesso indugio alcuno, errore nella ripresa e nell’equilibrio di tutti i canoni tecnici compositivi, pena inevitabilmente la perdita di quell’immagine ideata e concepita, che non potrà mai più ripresentarsi. Nella produzione di Roberto si percepisce, in questo processo, uno studio approfondito di tutti i dettagli, per rimanere coerenti con quanto dicevamo: lui, ritrattista, ha sempre cercato di studiare i propri modelli in base ai loro movimenti, cercando di capire, poi, quale lato preferibile, quale prospettiva convincente, quale profilo garantisse un migliore effetto con la complicità della luce e dell’esposizione chiaroscurale. Succede una simile situazione e procedimento anche per le città: Roberto gira con la macchina fotografica, attende di vedere quali zone potrebbero meglio essere preferibili, l’esposizione di luce migliore per operare, attraverso un’accurata selezione delle aperture di diaframma, spesso ampia per dare maggiore centralità al dettaglio su cui accentrare l’attenzione dello spettatore, non tutti gli elementi devono essere necessariamente a fuoco, strategia compositiva che ci dona il senso di immedesimarci nella visione e nel punto di vista dell’autore e del soggetto ripreso, immerso nel contesto urbano e paesaggistico. Ci sorprende e ci cattura la fotografia in cui notiamo in primo piano la schiena di un passeggero, sulla banchina in attesa del suo treno, in una stazione della metropolitana mentre osserva e guarda una gigante pubblicità di un panino: in questo sta la capacita di Roberto di andare a lavorare sull’istante, elemento che concede un lato artistico a qualcosa che potrebbe anche essere inteso come business. It’s just a jump, titolo dell’opera, ci pone la domanda se l’operazione eseguita da Roberto sia business, data la neutralità della stessa rappresentazione che, se accompagnata da un brand, potrebbe apparire un semplice, seppure intrigante, spot. Ma tale non è in quanto risulta nell’opera essenziale il punto di osservazione, i vari punti di osservazione in cui l’autore va a rappresentare la situazione, non interagendo con il contesto, non alterando la portata del contesto che si presenta, e viene immortalata dall’abile e pronto scatto dell’autore, in modo inevitabile e inopponibile, conseguenziale, senza alcun artificio, caratteristica, questa, che si presta a un prodotto pubblicitario: chi osserva, qui il lato poetico e creativo, l’opera si chiederà che cosa stia pensando il soggetto in attesa del proprio treno. Il punto di vista si incentra su questo elemento: una doppia soggettiva in cui l’autore “si dimentica che sta guardando il soggetto ripreso, fondendosi con l’immagine”, con il risultato di indurre lo spettatore a immaginare “quel che sta guardando” lo stesso soggetto ripreso. In questo gioco di immaginazione e immedesimazione si trova “la magia della fotografia”, il suo “gusto” e, oserei dire, anche quell’ironico gioco che da essa origina. Roberto attende, così, il soggetto al momento giusto, postandosi, anticipandone le reazioni, prevedendole con un’attenta sensibilità nella lettura delle dinamiche esistenti tra persona e paesaggio, l’ambiente in cui si inserisce. Esiste una parte pubblicitaria nelle fotografie di Roberto: parte con cui, attraverso composizioni in cui armonicamente si incontrano situazioni e momenti unici e irripetibili, imperdibili, l’autore lavora, avendo l’abilità di saper incastrare il tutto in un insieme strutturale e dinamico. Non solo la luce risulta essere elemento fondante nella produzione di Roberto, ma anche il saper equilibrare il bianco e il nero, la capacità di creare una “composiIone di volumi centrali” in una fotografia che origina “dalla curiosità di esplorare oltre che dalla necessità di immortalare”: assaggiamo la portata tutta infinita della produzione di Roberto, dal momento in cui apprezzarla nella sua portata si calibra lungo il tempo e non immediatamente. L’attesa diventa parte strutturale del modo di procedere di Roberto per creare opere che siano “documenti” profuturo. Importante e piacevole risulta notare la portata artistica di qualsiasi ripresa, anche quella effettuata a livello puramente cronachistico, possiamo dire: non si tratta di reportage ma, bensi, di un punto di vista dell’autore che diventa “occhio sul mondo”, ritraendo contesti, irripetibili, ed elementi, immancabili e unici nel loro proporsi nell’equilibrio di un determinato istante, andando a lavorare sulle profondità, sulle aperture di diaframma, sui tempi di esposizione, spesso lunghi, per donare movimento all’immagine complessiva, ponendosi vicino all’elemento da riprendere, breve distanza nella ripresa complessiva. Ironica quanto quasi surreale si evidenzia nell’opera in cui viene ripreso un ragazzo che attraversa il marciapiedi quasi seguito da un’ombra che sembra volerlo avvolgerlo, inglobarlo: la fantasia diventa parte strutturale di un alfabeto visivo ed estetico in cui la tecnica si rende funzionale alla realizzazione dell’effetto finale. Roberto nasce nella tecnica, lo si avverte, “riprendendo gli oggetti e rendendoli belli, intriganti, piacevoli, suggestivi”, anche se semplici, anche se considerati non attraenti, ma, qualora vengano posti nel contesto utile al momento giusto nella composizione quasi pittorica dell’immagine nel suo insieme, elevabili come oggetti di alto interesse visivo. Alessandro Rizzo
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