Una semplice idea non può soddisfare l’impeto creativo di un’intera produzione fotografica nella sua portata: Marco Barnabino non si ferma a elaborare, attendendo il giusto momento, un’ipotesi di lavoro per, poi, scattare, tempo opportuno giunto, la fotografia. Marco Barnabino è un fotografo di professione, docente per operatori del settore marketing e comunicazione aziendale, ed esprime attraverso l’immagine visiva dell’obiettivo un’intera gamma di concetti e di simboli con l’intento di dare all’opera integrale un’accezione contenutistica densa di significanti che si ergono dal dato estetico, l’impatto puro, per elevarlo a una narrazione. Vediamo come in "Realtà sospese" il semplice scatto, la semplice ripresa, il gioco di forme realmente presenti nello scenario che si apre naturalmente e semplicemente nel quadro ottico di ripresa, diventa parte strutturale di un pittorialismo vivo e pulsante, tale da donarci l’idea di una sospensione, di un’attesa, di un’anticipazione di movimento, prossimo e venturo, che si coniuga con il moto dell’animo, dello spirito e dell’esperienza. Si nota nella produzione di Marco un connubio unico e universale tra la parte pratica, la prassi esecutiva, la matericità iperreale degli elementi dello scenario, con la parte intima di una lettura interiore che si esplica attraverso alfabeti visionari, seppure siano fondati su oggetti che sono tutto, fuorché fantasie create attraverso artifici, la produzione come unico strumento di lavoro, assenza totale della fase della post produzione. Marco osa, se per osare si può intendere creazione e azione, con le luci, i colori, le tinte, nella loro portata totale, assoluta e completa, tali da occupare integralmente con una saturazione calibrata che sa rendere pieni gli effetti cromatici, le ondulazioni vibranti delle luci, la loro capacità di dettagliare i contorni di profili e lineamenti, utili a darci una visione chiara, precisa e diretta, senza vie di fuga, se non quelle ipotizzate dall’idea concettuale che l’autore ha voluto imprimere all’opera. Ci affascina particolarmente Realtà sospese, in esposizione alla Galleria Plaumann di Milano fino il 21 maggio, in cui una sfera eleva una ballerina con uno sfondo notturno dove si distingue una torre medioevale, senso di verticalità impresso in un riquadro in cui possiamo notare diversi orientamenti, centralità di un’immagine che ci dona il senso di leggerezza e di leggiadria, espansione di spazi contenuti in una visione precisa e dettagliata. La notte, il buio che essa porta si scontra e si confronta con il resto dell’opera, dotato di dinamismo e di trionfo di tonalità luminose, di cromature lucenti, palcoscenico di un’ipotesi di liberazione e di movimento. Possiamo apprezzare il nudo artistico nel momento in cui esso diventa strumento narrativo di miti epici che ci inducono ad apprezzare l’incontro inscindibile tra un attualismo fotografico e un antico contenutistico: la traduzione di tutto questo vede la ripresa, ricca di un sapiente lavoro e di uno studio approfondito sul significato recondito, quello del mito, appunto, di una tradizione scritta e orale che fu e che ha caratterizzato i costumi di tanta parte dell’umanità, di immagini di corpi immersi nella natura, un panismo che si evidenzia nell’equilibrio degli oggetti e degli elementi che costituiscono l’opera nella propria portata, un’amalgama armoniosa di colori e di tonalità chiaroscurali che ci inoltrano in una scena quasi fantastica ma, allo stesso tempo, reale, verisimile, convincente, funzionale a darci il senso del mito e la portata epica della figura, riprendente un soggetto divino, una deità di un passato remoto, un’immagine sacra di una tradizione. Il ritrattismo non può scindersi dal paesaggismo, cosi come non si può scindere il momento dell’idea dell’opera con quello della sua esecuzione: la complessità diventa narrazione di semplici rappresentazioni, dove la luce diventa dinamica centrale e imprescindibile di una serie di fotogrammi che ripropongono visioni quasi filmiche di spazi e luoghi, trovati e rinvenuti dall’autore, celebrati attraverso la magia e la suggestione dei soggetti immersi. Non possiamo dire che le figure riprese siano scevre da pose, ma tali pose non ci danno idea dell’artificio posticcio ma, bensi, diventano strumenti attraverso cui il messagggio si fa parola, attraverso la forza evocativa e suggestiva dell’immagine e della rappresentazione, attraverso una lirica che diventa elevazione di sensi e di emozioni che originano dalla calibratura, chiara e ferma, dei tempi di esposizione e delle inquadrature, delle aperture di diaframma e dei contrasti luminescenti quanto cromatici che si stagliano, descrivendoli, sugli elementi naturali e immersi nella rappresentazione. L’opera diventa totale nella produzione di Marco, anzi non conosce neppure limiti, spaziando in una riproposizione della propria centralità, l’epicentro del mito, del ritratto, del figurativo che diventa parte essenziale di una progressiva elaborazione narrativa. Esiste un’immedesimazione imprescindibile, inscindibile, insuperabile tra soggetto e attore, tra autore e soggetto ripreso: un canale unico e un continuum tali da donarci quel senso metafisico metaempirico e metareale, attraverso cui la storia diventa mito, attraverso cui il significato diventa significato, attraverso cui le parti costitutive della fotografie, estetiche compositive originali quanto autorali, diventano contenuti. Il fotografo diventa il narratore di visioni che si succedono e divengono un progressivo climax ascendente senza invadere il punto di vista dell’osservatore, ma chiamandolo con semplicità e naturalezza a diventare complice, parte interattiva di una narrazione tutta estetica. Si percepisce, come alcuni critici scrivono, una certa funzione ellittica dell’opera, quasi una circolarità senza fughe, un ritorno della forza evocativa e suggestiva dell’immagine, un vortice da cui non si può scappare, indugiando la nostra visione, qui la richiesta di ipotesi di lavoro e collaborazione da parte dello spettatore, in una dinamica di colori e di tinte, forti, piene, sature, complete. Ritorna Eva, la donna, l’origine dell’umanità, il capro espiatorio delle colpe e delle ipocrisie del genere umano, la procreatrice, generatrice di vita: in questa serie Marco ci affiderà la sapienza ritrattistica condivisa attraverso la lettura del corpo, le sue forme anatomiche che ci inoltrano, come, poi, farà con Rivelazioni, in una comprensione dei contrasti tra luce e ombra, tra spazi pieni e spazi vuoti, risaltando, come in un disegno, i contorni accennati della figura, che diventa essenziale e unica, totalizzante quanto universale, in una rappresentazione che vive di quel grigiore di certe macchine fotografiche, purezza di una produzione non contaminata da artifici altri e ultronei, di sfumature che diventano, esse stesse, elementi attraverso cui leggere i risalti, gli spazi, la serie di campi visivi paralleli in una condivisione unica della superficie e delle superfici.
Alessandro Rizzo
Scrivono in PASSPARnous: k
Aldo Pardi, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Alessandro Rizzo, Fabio Treppiedi, Silverio Zanobetti, Sara Maddalena, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Alessia Messina, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Enrico Pastore, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Francesco Panizzo. |
Fotografia
Un pittorialismo fotografico: l’arte di Francesco Ragno tra forme e geometrie. di Alessandro Rizzo L’art brut diventa arte grezza e
flusso di coscienza tempestoso nelle cromaticità visionarie di Marie-Claire Guyot. di Alessandro Rizzo Georg Schrimpf:
da un espressionismo di un nuovo realismo alla dimensione magica di una nuova oggettività. di Alessandro Rizzo L’immateriale nel blu immenso e universale
di Yves Klein. di Alessandro Rizzo Un esempio di architettura integrata: la Fondazione Maeght.
di Alessandro Rizzo |
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