Brevi considerazioni su Uovo Festival di Milano
Articolo di Enrico Pastore
Articolo di Enrico Pastore
Che
cos’è un festival? Qual è la loro funzione? Sono domande oziose?
Forse... In verità ogni volta che partecipo a un festival e faccio
esperienza delle varie anime e idee che li animano, mi pongo le
stesse domande. Sono vetrine? Sono volani del mercato culturale? Sono
sostegno e protezione per il lavoro di ricerca dei giovani autori?
Sono luoghi deputati allo scambio di idee e di conoscenza tra
artisti, pubblico e operatori? Probabilmente sono tutte queste cose
insieme, e la gradazione, il melange
di queste componenti creano la cuveé
che dona sapore all’esperienza di un festival. È difficile
definire cosa sia un festival. A volte la parola diventa paravento
dietro cui sorgono mondi in continua metamorfosi e in perenne
ridefinizione.
Uovo festival a Milano è una di quelle manifestazioni che hanno fatto sorgere in me con più frequenza e urgenza le domande suddette. Innanzitutto Uovo è festival dedicato alle performing arts in generale, anche se nel programma di quest’anno, la preponderanza della danza è piuttosto evidente a scapito di performance e teatro. Un luogo ibrido quindi, un contenitore trasparente dove varie mescole artistiche vengono a fondersi creando di anno in anno sfaccettature diverse. Proteine e agglomerati d’arti in fusione, in scambio, in dolce opposizione, a volte in collaborazione, più presto accostate, coesistenti, quasi mai simbiotiche. Uovo è anche produzione: tramite il progetto TRANS, una collaborazione transfrontaliera tra Performa Festival, cui abbiamo partecipato nell’ottobre scorso, e Uovo Festival. Due artisti italiani erano stati prodotti in Svizzera, Francesca Cola e Gruppo Strasse, e due artisti svizzeri, Massimo Furlan e Martin Schick, prodotti in Italia. Un intelligente progetto di sostegno alla produzione che permette uno scambio tra due paesi confinanti che si conoscono poco e collaborano meno di quanto si potrebbe. Da ultimo, ma non infimo aspetto, Uovo è vetrina. I lavori e le opere messi in mostra, presentati al pubblico. Il luogo della mostra è il Teatro Franco Parenti, teatro moderno, poliedrico e polifunzionale, sublimemente neutro tanto da poter ospitare ogni genere di lavoro. Le sue sale e salette, l’immenso foyer, i corridoi sospesi, lo fanno luogo ideale per ospitare il contemporaneo, quindi un luogo giusto per ospitare un festival: i vari artisti invitati hanno la possibilità di declinare il proprio lavoro negli spazi più ospitali e accoglienti al loro intento. Se devo segnalare un’assenza è rispetto a momenti di scambio e incontro tra pubblico e artisti, tra critica e performer. Q&A, tavole rotonde, o semplici momenti di possibile incontro e riflessione. Si è organizzato un pranzo dove poter incontrare gli artisti, ma era un momento isolato, estemporaneo. Se i festival sono un luogo di transito di idee e fermenti, ciò avviene soprattutto grazie a momenti di questo tipo che onestamente sono un po’ mancati. Due parole sul tema di quest’anno: il confine, la frontiera. Dopo la Biennale Musica torna in un festival il tema del bordo, laddove le cose vengono a contatto e fatalmente si mescolano. Confine tra le arti, confine tra le discipline. Tema interessante ma un po’ datato. Il Novecento ha ampiamente frantumato ogni possibile confine tra le discipline. La stessa parola Performance è ibrida e ambigua a sufficienza per ospitare generi e pratiche diverse e distanti. Non vi sono più confini da violare tra i generi. Happenings, Fluxus, Postmoderno, Post human, Superflat, tutte tendenze in cui il melange è stata parola d’ordine, le rivoluzioni si sono susseguite alle rivoluzioni, e come la sabbia del deserto, continuamente rimescolata dal vento, si conforma a un orizzonte omogeneo, così questi sconfinamenti sono talmente continui da risultare consueti e comuni. Le frontiere da esplorare nei linguaggi sono altrove: riformulare le necessità e le funzioni del fare live arts, rimodulare il rapporto pubblico/artista ormai consuetudinario e rassicurante per entrambi, riconsiderare il rapporto con il mondo e i suoi fenomeni, ripensare alle strutture produttive e distributive. L’impressione è che gli artisti tendano ad atteggiamenti un po’ burgeois: importanti in quanto artisti, fondamentali perché operatori d’arte e pensiero, esigenti d’attenzione perché motori di cultura, Non troppo consci invece della fragilità della loro condizione, di quanto fine sia il confine tra artisti e artigiani, tra scopritori del nuovo e mestieranti. La ricerca in arte prevede scomodità e ribellione ai codici comportamentali, un essere in prima linea sul fronte del pensiero critico nei confronti di una società e di se stessi, invece ho avuto l’impressione che la selezione proposta si crogiolasse un po’ troppo nell’autocompiacimento e nel tradizionale d’avangarde. Eugenio Barba titolava un suo famoso scritto: Teatro, solitudine, mestiere, rivolta. Parole d’ordine di un’altra generazione. Questo non è detto che sia colpa di una direzione artistica di un festival. I festival mostrano quello che c’è. Può darsi che questa spinta in avanti in questo momento storico non ci sia. I festival registrano e presentano solo lo stato delle cose. Mi sarebbe piaciuto un po’ più di coraggio nel pescare nel limen del poco conosciuto, del poco istituzionale, di ciò che avviene nelle catacombe, nelle corti dei miracoli della cultura sommersa e poco salvata. Da ultimo segnalo un’interessante luogo d’incubazione di giovani talenti: il gruppo DIDstudio di Ariella Vidach. Un luogo alla Fabbrica del Vapore in cui Ariella concede spazio e visibilità a giovani coreografi valenti, senza mettere pressione, educando a crescere, a confrontarsi, perfino a sbagliare, e poi pensare e ripensare i propri lavori per presentarli poi a un pubblico selezionato. Un luogo di protezione per la ricerca in quella fase critica e fragile della gioventù, quando ancora non sì è formato un vero proprio stile e un gusto personale. Vi è vera necessità di luoghi e condizioni simili. Brava Ariella: troppo spesso i giovani artisti crescono da soli senza un reale confronto con i maestri. Intervista a Martina Pozzo project manager di Uovo Festival EP: Il tema di quest’anno è il confine, la frontiera. Come avete declinato questo concetto nella selezione di lavori in programma? MP: Il tema del confine possiamo dire che nasce un po’ con Uovo, nel senso di sconfinamento delle e tra le varie discipline. Fin dall’origine si è prediletto il lavoro di artisti che si muovono in quella zona di confine tra le varie arti senza riconoscersi rigidamente in una di queste. Possiamo dire quindi che si parla di sconfinamento di generi, di linguaggi aspetti che sono la cartina da tornasole del contemporaneo. Nella selezione vengono presentati artisti che lavorano in modo molto diverso e trattano il tema del confine in maniere molto distinte e dissimili. Per esempio il lavoro di Ramona Nagabszynska tratta il tema del confine mettendosi in relazione con il lavoro di Trisha Brown Accumulation, confrontandosi con questo lavoro e riproponendone un remix facendo uso anche di mezzi tecnologici. Invece il video dell’artista svizzero Massimo Furlan tratta il tema del confine emerge in maniera un po’ più esplicita. Sia Furlan che Martin Schick, sono due artisti che sono stati coinvolti nel festival all’interno di un progetto promosso da Pro Helvetia, il progetto ViaVai, di scambio transnazionale tra Italia e Svizzera, e che aveva tra i suoi obbiettivi quello di mettere in relazione gli artisti dei due paesi lungo questo asse transfrontaliero sui temi del confine, dell’italianità ecc. Invece il lavoro di Cristina Rizzo che chiude il festival che prevede la presenza in scena della coreografa stessa e di una giovane danzatrice Annamaria Aimone e insieme a loro ci sarà la presenza di Palm Wine, che eseguirà le musiche in scena, e poi il lavoro stesso sfumerà, sconfinerà e si trasformerà in un vero e proprio dj set. Questi sono solo alcuni esempi di come gli artisti e il loro lavoro si sono inseriti in questo fil rouge del confine. EP: Qual è, seppur ne hanno una, la funzione dei festival oggi? Quale potrebbero averne? Sono vetrine? Sono luogo di incontro di artisti e di poetiche? Cosa sono? MP: Uovo sì sempre voluto discostare dalla definizione di festival vetrina, e questo l’abbiamo fatto nel corso degli anni portando avanti un discorso di sostegno alle giovani compagnie italiane. Uovo ha in sé una doppia natura: l’apertura verso l’internazionale, facendo venire qui a Milano in anteprima nazionale alcuni artisti importanti della scena europea, e nello stesso tempo assumersi un ruolo di sostegno nei confronti di giovani compagnie che nel corso degli anni sono state affiancate da Uovo. Silvia Costa che quest’anno è in programma con una nuova creazione potrebbe essere proprio un esempio del ruolo di Uovo. Questo viene fatto proprio al fine di non far esaurire l’azione di Uovo solo nelle giornate del festival, non far dissolvere la sua azione solo ed esclusivamente in una vetrina. Inoltre, ci tengo a sottolinearlo, l’azione di Uovo accompagna questi artisti nel corso degli anni, incontrandoli nuovamente a distanza di tempo. EP: Alcuni festival del cinema hanno negli ultimi anni definito una propria funzione, quella di affiancare alla immancabile vetrina, delle piattaforme in cui giovani registi, produttori e buyers, si possano incontrare e produrre realizzare nuovi lavori. Pensi che i festival di arti performative possano assumersi una funzione simile, soprattutto per quanto riguarda la distribuzione che in Italia è praticamente assente? MP: Uovo da poco è entrato a far parte di un progetto, che si chiama Dna - punti coreografici, di cui fanno parte RomaEuropa Dna festival, Gender Bender di Bologna. Bassano del Grappa, La compagnia Virgilio Sieni e altri. Il progetto prevede una call dedicata ai giovani artisti con meno di due anni di esperienza. Ognuna di queste realtà ha pubblicato sul proprio sito una piattaforma che è condivisa in cui si invitano appunto i giovani artisti a mandare le loro proposte di progetto, che saranno vagliate attraverso una serie di selezioni, e il vincitore avrà la possibilità di veder prodotto il proprio lavoro. Ecco vedi dunque come anche Uovo si muova naturalmente in una direzione di rete che sostenga la produzione dei giovani artisti. Enrico Pastore
Scrivono in PASSPARnous:
Aldo Pardi, Gianluigi Mangiapane, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Alessandro Rizzo, Fabio Treppiedi, Silverio Zanobetti, Sara Maddalena, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Alessia Messina, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Enrico Pastore, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Francesco Panizzo. |
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