Leggiamo nell’arte di Marco Cefis la sintesi di un figurativo che diventa allegoria, metafora di significanti molto importanti per l’autore, che è anche scultore e illustratore. La serie “Il corpo del sogno” ci porta a scandagliare un linguaggio onirico che si nutre di visioni prelevate da contesti ed elementi del reale per, poi, trascenderli in una cornice metaempirica, surreale, ricca di oggetti e immagini che ci riportano in prospettive di dimensioni altre, visionarie appunto, astratte, interiori quanto subconscie. Ci affascina in Cefis la tecnica utilizzata, uno strumento funzionale a rendere più vivo e incisivo il gioco dei colori, un’estetica che si fa alfabeto cromatico, semplice quanto dinamico. Ogni pennellata, Marco usa subito la tinta nella sua produzione, senza una base preparatoria che vede il disegno come propedeutica facilitazione compositiva, è chiara e decisa, ripetuta in una serialità che diventa ripetizione mai sufficiente di concetti estetici unici quanto identificativi dell’impronta concettuale e sostanziale della poetica narrativa dell’autore. In questa sapienza pittorica di Marco possiamo ammirare come prevalga, fil rouge compositivo, la dimensione estetica dei giochi chiaroscurali, riportati nella loro essenzialità, quasi minimali nel loro riproporsi in forma stilizzata, che possiamo definire come texture.
Questo accorgimento pittorico conduce l’autore a concederci un’armonia di forme e figure che si stagliano in prospettive sempre nuove, non attese, immaginifiche pur partendo da interessanti inganni ottici, come in un dipinto di Carrà o di De Chirico. Nella prima serie della proposta artistica “Il corpo del sogno” sarà una figura femminile che ci condurrà in oniriche dimensioni di un mondo astratto ma non così remoto: un corpo di donne, come guida mistica e mitologica, ci apre l’itinerario del sogno, qui una sfera che ci apre la porta verso dimensioni diverse e alternative, anticipazione di una sperimentazione che trova la capacità di collocare ampi spazi in ambiti molto piccoli e microscopici, per, poi, vederlo concludere con un’altra figura che chiuderà il viaggio spirituale in una posizione che non concederà nessuna altra possibile direzione alla nostra uscita di scena, indicata dalla figura quasi angelicata, inondata da una luce intensa, illuminante. Nell’itinerario impresso nella produzione di Marco vediamo una prevalenza di figure geometriche, la sfera soprattutto, simbolo di gioco e geometria dal sapore ludico, forma che ci stupisce e che si adagia su dei piani dagli infiniti orizzonti. Marco chiama così, in prima persona, lo spettatore senza scadere nel didascalico, ma concedendogli attraverso visioni surreali un ampio margine di immaginazione e di gioco nell’identificare i molteplici significanti che si esprimono attraverso visioni e figure. I tratteggi ci portano, così, come se ritornassimo a un divisionismo rivisitato, a ponderare le modalità infinite di esplicazione della luce che va a coinvolgere, quasi ci fosse una fonte illuminante, tutti gli elementi presenti, accentuando le volumetrie dei medesimi. Si passa, poi, a una tecnica mista, invece, nell’opera dedicata al grande fotografo, matericità viva di un corpo immerso, tinte marine di onde di un blu intenso che vanno a coprire parti del fisico della nuotatrice, movimento e dinamica di una figura accennata e ben descritta nella sua anatomia, viva espressione fotografica. Marco riesce, così, a passare da un iperrealismo a scenari fatti da prospettive di spazi atemporali e non identificabili, universali quanto metaempirici. Sono non luoghi quelli che si aprono nella serie “Il corpo del sogno”: direzioni diverse si delineano, cosi, attraverso un lavoro a tappe, graduale quanto ponderato in ogni suo passaggio compositivo, niente viene lasciato al caso seppure in modo consapevole lui possa dire di affidarsi, a volte, al medesimo, almeno nelle possibilità inattese di ricerca e di sviluppo figurativo artistico che solo esso può garantire. Nelle tele di Marco si vive pienamente quel senso di profondità arricchito dalla forza suggestiva di colori terrigni, a volte sacri e pieni di energia, come il porpora, il viola, per, poi, apportarci in un vortice di magia con contrasti che provengono dall’utilizzo di tinte cromatiche,antagoniste nell’intensità a questi ultimi, quali il giallo o l’arancione. Vediamo in queste scelte una certa idea di movimento, come quella mano della nostra figura angelicata che sembra volerci richiamare in un vortice: i tratti, la serialità delle pennellate definite da strati e strati di lavorazione e di studio da parte dell’autore, si uniscono nel loro spostamento, illusione ottica, punto compositivo dove l’autore ha saputo osare grazie alla sua sapienza dell’utilizzo del colore e delle unità chiaroscurali e, possiamo dire, anche giocare con grande capacità. Non possiamo, infine, non approfondire la neoclassicità dei busti di statue e l’intensità nonché la minuziosa descrizione delle sue incisioni dedicate a un mondo faunistico quasi fantastico, attraverso tonalità che ci riportano nella loro visione la capacità artistica e la valenza espressiva neo pop. Marco Cefis è in esposizione presso lo Spazio Emmaus di Milano da martedì 9 dicembre con una sua personale dal titolo “Il corpo del sogno”. Alessandro Rizzo
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Un pittorialismo fotografico: l’arte di Francesco Ragno tra forme e geometrie. di Alessandro Rizzo L’art brut diventa arte grezza e
flusso di coscienza tempestoso nelle cromaticità visionarie di Marie-Claire Guyot. di Alessandro Rizzo Georg Schrimpf:
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