È interesse di un critico osservare l’opera partendo dal lato tecnico, da quel supporto materico che origina l’opera, sostrato tangibile e reale su cui, poi, l’autore va a delineare l’immagine. Alessio Tibaldi non sceglie il materiale e il supporto su cui va a definire la sua opera in senso casuale, ma lo pondera in base alla finalità, estetica e contenutistica, che vuole rappresentare. Alessio si forma all’Accademia di Belle Arti di Bergamo e a Brera, Milano, espone in un collettivo di artisti, Gluckstrasse, con diverse opere, così come si sposta a Berlino, parentesi importante per Alessio, che lo segnerà. Alessio tende sempre alla ricerca artistica, mai appagato del punto compositivo raggiunto, della sua poetica e della modalità e forma attraverso cui essa è stata declinata sulla tela o sul foglio, semplicemente, su cui l’artista va a operare. L’autore si evidenzia con un proprio tratto che lo rendono autonomo quanto unico, personale, rivolgendosi al pubblico attraverso poetiche e narrative a lui direttamente rimandabili, riconoscibili nello stile e nel tratto, deciso quanto ispirato e conseguente a una sua visione dell’arte come forma di espressione. Possiamo parlare di un autore che privilegia il disegno, soprattutto a china, attraverso il quale ci porta a scoprire fili umani e introspettivi di un figurativo quasi accennato, metafora e allegoria tangibile ed espressionista di un dolore, di sofferenze, di drammi vissuti, alfabeti che narrano storie all’interno di storie. La contemporaneità e gli stereotipi che attraversano le nostre società si acuiscono, diventano quasi paradossali forme espressive, provocatorie, tali da indurre lo spettatore, tramite la tenuità e quasi l’indefinitezza dei contorni, a confondere le figure, quasi rendendole unite da una rappresentazione osmotica, in cui i soggetti si uniscono in un unico atto, come ne L’ultimo bacio, edonismo evidenziato con disinvoltura in figure che si baciano, esprimendo uno dei sentimenti più profondi e universali dell’umano genere, in questa rassegna di opere di piccole dimensioni, fotogrammi di sogni, visioni oniriche contemplative che ci addentrano nelle pieghe e negli anfratti dell’individuo per, poi, proporsi in una disinibita e disinvolta rappresentazione. Tonalità chiaroscurali, imperfezioni delle linee, lasciate spesso a metà, vuoti e spazi che si aprono e che concedono interstizi dove inoltrarsi, concedendosi e abbandonandosi al sapore del pensiero, al sapore dell’analisi e al sapore dell’interrogarsi sull’umano destino, si avvincendano nelle composizioni artistiche di Alessio. Parlavamo di fotogrammi nella serie esposta allo Spazio Emmaus di Milano nella collettiva “Factory”, tenutasi dal 27 novembre al 9 dicembre, e di narrative che diventano dinamiche e allegorie, vibrazioni intime di accennate linee e forme che si evidenziano attraverso anche la fantasia dello spettatore, un’induzione psicologica visiva che ci porta a decifrare la figura descritta in modo tenue, leggero quanto appannato. La produzione di Alessio Tibaldi si basa maggiormente sul disegno e sulla capacità di utilizzare questa forma d’arte come unico canale di comunicazione, semplice, essenziale ma anche difficile da utilizzare per narrare le complessità dell’animo umano. Parlavamo di paradossi su cui Alessio gioca, esasperando e ironizzando su di essi, immaginando atmosfere e soggetti, ripresi dal reale, ma in visioni quasi magiche, allegorie, metafore di significati diversi e altri, quasi raffigurazioni mitologiche di vizi e malattie, debolezze, qui una certa lettura sarcastica, dell’umana esistenza, nella sua finitudine, limitatezza, e squallida, contrastante, concezione del se come ente potente e infinito: Herbarium opera in cui piante ed erbe sono raffigurate come stampe di inizio diciottesimo secolo attraverso accenti alchemici e dal tratto gotico, fantastiche esteticamente e contenutisticamente, riprodotte in ambienti verosimili. Accediamo, così, in un surrealismo, nuovo oggettivismo possiamo dire, basato su conoscenze quasi scientifiche, letture degli astri, delle fasi lunari, dell’andamento delle maree, ipotesi estetiche che ci addentrano nella conoscenza del rapporto tra l’io e il mondo, la debolezza del primo, l’immensità del secondo. Alessio si sofferma sulle emozioni e sui comportamenti degli individui, così come sulle loro esperienze di vissuto e di esistenze, come nella serie dedicata ai migranti, opere disegnata a misura d’uomo, altezza originale, visioni complete che ci rapiscono, ci rendono da semplici spettatori in soggetti interagenti, chiamandoci in prima persona, inteprellandoci, nell’ap- prezzare e nel provare simpateticamente quella sofferenza che traspare dalle pieghe espressive del viso, dalla consunzione dei corpi, dalla fatica volta alla sopravvivenza: tutto questo con drammatico realismo senza incedere in una retorica del patetico, con semplicità e con una certa capacità introspettiva.
Alessandro Rizzo
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Un pittorialismo fotografico: l’arte di Francesco Ragno tra forme e geometrie. di Alessandro Rizzo L’art brut diventa arte grezza e
flusso di coscienza tempestoso nelle cromaticità visionarie di Marie-Claire Guyot. di Alessandro Rizzo Georg Schrimpf:
da un espressionismo di un nuovo realismo alla dimensione magica di una nuova oggettività. di Alessandro Rizzo L’immateriale nel blu immenso e universale
di Yves Klein. di Alessandro Rizzo Un esempio di architettura integrata: la Fondazione Maeght.
di Alessandro Rizzo |
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