Si possono trovare formule nuove e innovative, soprattutto tecniche e materiche, tali da dare messaggi che possano essere visti e recepiti, esteticamente e contenutisticamente, come dirompenti e originali in un’epoca che necessita di reinventarsi e riproporsi a livello concettuale e artistico, periodo di saturazioni inventive. Erika Trojer, artista alto-atesina, inizierà come modella a Milano e lavorerà per diversi anni nel mondo della fashion art per, poi, diventare un’artigiana dell’arte nel senso quasi letterale del termine, utilizzando il riuso: strategia compositiva, questa, che innova la contemporaneità, dandone uno sguardo prospettico mai esplorato, mai affrontato, mai considerato, mai espresso. Veniamo a impattare, così, con visioni sempre nuove, inattese, inavvertite, non scontate, non banali. Erika porta con se il senso del design, dell’armonia visiva, ponendolo alla base delle sue composizioni in un percorso complesso quanto eclettico nella ricerca sempre mai soddisfatta della tecnica, dei supporti e giocando con i materiali, sempre più disparati, che ritrova in luoghi quotidiani e civili e che li ripropone nell’obiettivo di una loro funzionalità nuova, diversa, altra, superandone i limiti, attraverso i quali il materiale stesso è stato concepito e utilizzato dalla collettività. tutto questo processo dona uno spessore estetico all’oggetto scartato dalla società e lo eleva a un’espressività basilare e fondamentale nella costruzione, produzione, di un’opera nel suo complesso. Vediamo nelle opere e nelle installazioni di Erika, quasi inni alla plasticità, dinamica e una certa sensazione di velocità e di scatto, tanto da riportare alla mente, nell’espressività e nella concezione poetica dell’opera, alcune visioni futuristiche, tributo al movimento attraverso uno studio, particolare e puntuale, del fisico in azione. Non possiamo che notare questa somiglianza con installazioni di un Balla, pur avendo l’opera stessa una propria forte autonomia, in quell’uomo in corsa, installazione, scultura nel senso letterale del termine, fatta da un assemblaggio di materiali che danno una certa essenzialità delle forme, che si esplicano in linee che si intrecciano matericamente, plasticamente tangibili, fili ramati che si ergono in senso orizzontale, intrecciandosi, rimandi simbolici a un’immagine anatomica, muscoli contriti e tesi, una figura che promana nella sua essenza e nella sua semplicità, tale da donarci una sensazione di osservazione dell’evolversi di una certa fisicità che diventa forma d’arte, espressione viva di una interazione con lo spazio e con l’ambiente in cui è inserita. Erika procede, così, a elaborare e comporre opere d’arte dalle forme e dalle dimensioni sempre diverse e varie. I supporti su cui Erika va a operare sono differenti, funzionali a dare un’estetica concettuale incisiva quanto penetrante, un significante ricco di dinamiche astratte che partono da materiali tangibili e concreti per, poi, procedere in contesti e prospettive mai figurate, mai considerate, in un’attenzione molto puntuale sulle linee e sui contorni delle opere, delle installazioni, delle moderne statue. Il riutilizzo diventa quasi nuova epifania, rinascita, di un materiale finito, in quanto limitato, e in una sua conversione in qualcosa che sappia esprimere messaggi artistico poetici e interiori. Una magia si consuma, così, nell’atto della creazione, nell’atto dell’ispirazione, di quel momento appena precedente alla realizzazione di un’opera: il pensiero diventa espressività di emozioni e sentimenti intimi, di una ricerca del bello e dell’armonia evocativa e suggestiva, riprendendo alfabeti che solo il carattere minimale della materia nella sua natura ci porta a delineare tramite figure stilizzate, accennate in una loro longilinea esplicazione verticale. La materia, magari oggetto di comune e quotidiano utilizzo, privato della sua valenza estetica e artistica, diventa, così, inattesa lettera di un alfabeto visivo rinnovato e rigenerato, garantendo forme a visioni poetiche mai raggiunte e tali da renderci interpreti di moti interiori e vivi. Erika gioca con le tonalità cromatiche, mettendo insieme materiali di riutilizzo, lattine, cartucce, fili e disponendoli in modo tale da aprire scenari pittorici, intersecazioni funzionali a definire onde e modulazioni chiaroscurali mai esplorate e nuove nella loro portata e impatto. La produzione artistica di Erika vede nella sperimentazione tecnica la base fondante della sua poesia narrativa: una formazione che ci rende chiara la volontà, naturale e spontanea, che, senza scadimenti e pretesti ideologici, definisce nel rispetto della terra, della vita e di quel principio del tutto scorre, tutto si trasforma e nulla si distrugge, una filosofia estetica compositiva. La memoria si fa portatrice di nuove narrazioni, messaggi collettivi di un immaginario spesso distratto e poco attento nell’ascoltare la dinamica che promana da dei tappi di bottiglie, da degli occhiali da sole, da dei rocchetti gettati via da una frenetica società dei tempi contemporanei: si rende viva, così, un’elevazione del riciclo a forma di espressione artistica e visiva, lontana da quella serialità meccanica, quanto industriale, verso cui ci conduce il consumerismo alienante delle necessità inventate, quasi indotte. La produzione artistica di Erika, che ripercorre l’antica tradizione artistica dell’arazzo come visione artistica di un pittorialismo su tessuto, palpabile e apprezzabile direttamente e non solo attraverso la vista ma anche attraverso il tatto, si inoltra nel disegno di interni, in una leggerezza consistente di lampade, dove eleganza e funzionalismo si incontrano in un’inscindibile visione. Gli assemblaggi forgiano, come kora, nuova materia che risorge da una vecchia materia, in potenza espressione ricca di estetica, in realtà privata dalla sua valenza poetica, e da un elemento che sembrava destinato all’oblio e alla dimenticanza, diventato, così, tassello di un’opera d’arte, dall’intensità creativa e immaginifica di un’autrice, sicura nello stile, chiara nella sua portata compositiva, forte di una consapevolezza di una rinnovata versione dell’arte e delle sue forme. Ho avuto il piacere di apprezzare le opere di Erika Trojer in una collettiva tenutasi alla Galleria Plaumann di Milano, dal titolo suggestivo quanto espressivo “Derive, espressione dell’Es” a cura di Lucio Fortes.
Alessandro Rizzo
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Un pittorialismo fotografico: l’arte di Francesco Ragno tra forme e geometrie. di Alessandro Rizzo L’art brut diventa arte grezza e
flusso di coscienza tempestoso nelle cromaticità visionarie di Marie-Claire Guyot. di Alessandro Rizzo Georg Schrimpf:
da un espressionismo di un nuovo realismo alla dimensione magica di una nuova oggettività. di Alessandro Rizzo L’immateriale nel blu immenso e universale
di Yves Klein. di Alessandro Rizzo Un esempio di architettura integrata: la Fondazione Maeght.
di Alessandro Rizzo |
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