Il regno d’inverno – Winter Sleep
Un film di Nuri Bilge Ceylan Palma d’Oro al Festival di Cannes 2014. Articolo di Daniel Montigiani
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Una porzione di terra grigiastra e scura attraversata da dei fumi bianchi: sembra una visione da pellicola di fantascienza “psicologica” come Solaris o Stalker di Tarkovskij, ma si tratta invece della prima inquadratura di Winter sleep – Il regno di inverno, nuovo film di Ceylan, piuttosto intriso di realtà nonostante la naturale potenza evocativa di questa porzione di paesaggio dell’Anatolia.
Aydin è un (ex) attore ormai maturo che vive in un piccolo, isolato hotel di sua proprietà in un villaggio dell’Anatolia con la giovane moglie Nihal, sempre più fredda e distante. La coppia è stata da poco raggiunta dalla sorella dell’uomo, Neyla, che sta cercando di combattere il dolore per il suo recente divorzio. La noia e la routine letteralmente incastonate in questa zona “fuori dal mondo” li farà prepotentemente scivolare in una dimensione di pura incomunicabilità, fino all’arrivo della neve che coprirà tutto. La vastità dello spazio di questo pezzo dell’Anatolia, con il suo silenzio e il suo aspetto che sa di pura, peculiare libertà, sembra riuscire a stimolare la potenza lancinante, rischiosa della riflessione, del ricordo e dell’immaginazione. I personaggi, infatti, emotivamente e psicologicamente stanchi, ma con un’energia lacerante che non sente mai il vero bisogno di riposare, si soffocano di parole e di discorsi che, spesso, non servono a risolvere o a sciogliere tensioni, bensì nutrono il caos, tengono salda la linfa delle nevrosi, di un rancoroso non detto, rendono impossibile il tentativo di incontrarsi su un terreno comune. I loro volti, come vivi ritratti di ascendenza bergmaniana, anche nelle inquadrature più brevi, fanno sempre in tempo ad essere dolorosamente, fastidiosamente intensi, difficili da dimenticare. Nonostante la durata non indifferente del film – più di tre ore - Il regno d’inverno gode di un’evidente compattezza priva di vere “smagliature”, data essenzialmente dal continuo, saldo intersecarsi di ambiente, corpi dei protagonisti e le loro psicologie che non ne hanno mai abbastanza di sfumature. Qualche dubbio, però, rimane. Ad esempio: perché Ceylan, avendo a disposizione un paesaggio così maestoso e desolante, non lo ha sfruttato davvero come (ulteriore) mezzo di espressione dei sentimenti dei tre? Perché, nel corso dei lunghi dialoghi, non ha optato più volte per il piano-sequenza, anziché falciare continuamente le scene con (banali?) campo/controcampo? E ancora, perché non ha reso più fertile la storia con un maggior numero di inquadrature ricche di mistero (il volto bianco del cavallo che emerge di notte) e di grottesco e disperazione (il protagonista che, in campo medio, indossa una maschera teatrale nel proprio studio)? Alla luce di ciò, il film del regista turco, alla fine, sembra forse più “soltanto” un compito certamente ben svolto, a suo modo anche perfetto, ma privo di veri, particolari scossoni di bellezza e ricchezza visiva. Daniel Montigiani
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Aldo Pardi, Claudia Landolfi, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Alessandro Rizzo, Fabio Treppiedi, Silverio Zanobetti, Sara Maddalena, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Alessia Messina, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Enrico Pastore, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Francesco Panizzo.
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