Ci sono molti modi di vivere un festival. Alcuni più comuni, convenzionali. Rassicuranti. Pagare il biglietto, sedersi, godersi lo spettacolo, tornare a casa confortati e soddisfatti per aver assolto ai nostri obblighi culturali. Oppure, mettersi di fronte all’inaspettato, essere curiosi, essere disposti ad affrontare ciò che, inaspettatamente, si pone davanti al nostro sguardo.
Performa Festival apparitene a quest’ultima categoria. Bisogna essere disposti ad accettare la sfida. Nina Willimann vaga per la città con le sue sedie e dove decide di posarle, là, ciò che è quotidiano e comune, improvvisamente diventa un qualcosa da guardare con altri occhi. Più attenti. Più pronti ad afferrare ciò che accade tutti i giorni di fronte a noi. I nostri comuni affari, le abitudini, il camminare indifferenti per la via, tutto diventa performance purché si sia disposti a guardare. Osservare e essere osservati. Il punto zero del teatro. Daniel Hellmann si mette a disposizione, si offre di soddisfare ogni vostro desiderio, privatamente o davanti a un pubblico. La scelta e vostra. Ovviamente dietro un giusto compenso, dopo un’acerrima contrattazione. Bisogno solo aver il coraggio di confrontarsi con i propri desideri. E poi c’è il Gruppo Strasse che trasforma lo spettatore in una sorta di telecamera viaggiante su una macchina diretta verso una esplorazione non condueta del territorio; c’è Ivo Dinchev con il suo P Project che, con inquietante facilità, conduce il pubblico a costruire una performance in cui è esso stesso oggetto e soggetto di tutto ciò che avviene. E c’è il viaggio mistico-alchemico di Francesca Cola con I’ll be your mirror, in cui in gioco non ci sono solo i doppi danzanti sulla scena, ma la questione se la scena sia o meno specchio del reale, o se invece sia solo la tela bianca in cui riversare il proprio immaginario. Lo specchio comunque dirà sempre la verità che ci piaccia o no. E poi ci sono i giovani che portano in scena i lavori concepiti durante le residenze estive ( tra questi segnaliamo Rocco Schira e Francesca Sproccati con Die Citronen che con ironia costruiscono una sorta di performance Fluxus il cui regista è “il” limone). Ma a Performa non ci sono solo le performance. Ci sono anche i concerti, le installazioni artistiche. I territori d’espressione e di visione sono molteplici. I luoghi d’incontro possibile sono innumerevoli. I luoghi da cui si guarda sono dunque plurimi, non convenzionali, appassionanti, scandalosi, scioccanti. Impossibile rimanere indifferenti. Bisogna mettersi in gioco. Bisogna volerlo. Non si deve commettere l’errore di aspettarsi qualcosa di conosciuto. Ma, d’altra parte, l’arte è, o dovrebbe, essere sempre un rischio, una pratica pericolosa con un fine preciso: mettere in discussione la realtà, farci coscienti della sua immensa fragilità e dell’inconsistenza dei nostri giudizi e pregiudizi di fronte alle infinite possibilità che, inaspettate, si offrono alla vita. Performa Festival offre, e bisogna esserne grati, questa possibilità, grazie al lavoro instancabile del direttore artistico Filippo Armati e dei sui pochi collaboratori in un territorio non facile come il Ticino. Certamente è vero che grandi eventi costellano la vita culturale della vicina Svizzera italiana, come il Festival del film di Locarno o le settimane del jazz ad Ascona, ma ciò che viene offerto dal piccolo Performa Festival è uno sguardo provocante e inquieto sul limes del fare artistico. Ciò che si può vedere al Performa Festival appartiene, per buona parte, a quel territorio di confine inconsueto e inquietante che fa sempre un po’ paura al pubblico conservatore. Ci vuole coraggio sia nel proporre uno sguardo diverso sia nell’accettare la sfida che la proposta ci offre. In questo luogo che si crea di comune accordo tra l’occhio dell’artista e quello del pubblico, nasce, si trasforma e si discute il reale così che l’arte performativa ritrova la sua funzione nel contemporaneo. Conversazione con il direttore artistico del Performa Festival Filippo Armati. EP: Filippo qual è il fil rouge nella programmazione di quest’anno? FA: Molti festival usano avere o proporre un tema. Spesso anche i curatori delle arti visive, quando curano delle mostre collettive, presentano un tema. Io scelgo di non scegliere appositamente mai un tema e non c’è mai un filo rosso specifico all’interno della manifestazione. C’è una programmazione mirata e curata in base a scelte coerenti che presentano progetti diversi che possano interessare pubblici con sensibilità diverse, ma non c’è assolutamente una tematica o un titolo che racchiude tutta la manifestazione. Detto questo bisogna dire che è sempre più difficile fare una programmazione multidisciplinare per questo l’anno scorso abbiamo invitato un curatore per le arti visive, a cui quest’anno abbiamo aggiunto un curatore per la parte musicale. EP: Come spettatore del Performa Festival devo dire comunque che una sorta di filo rosso che lega l’offerta da te proposta io l’ho comunque scorta. La maggior parte delle performance avevano la tendenza a rendere attivo lo spettatore, a impedirgli dolcemente di essere degli spettatori convenzionali che borghesemente pagano il biglietto, si siedono e osservano passivamente ciò che avviene davanti a loro. In questo direi c’è una forte intenzione da parte tua come direttore artistico. FA: Assolutamente sì! Cerco in questo di proporre degli spettacoli che possano intercettare un pubblico diverso e possano offrire un’esperienza di spettacolo diverso. Per esempio nel caso di Ivo Dimchev pensavo, un po’ ingenuamente me ne sono reso conto data l’affluenza di pubblico, che la sua fosse una performance divertente, interattiva e molto intelligente con un’apparenza un po’ frivola e leggerina e che dietro questo apparato, in cui lui paga il pubblico per fare qualcosa, si nasconda qualcosa di più profondo che il pubblico potesse afferrare con semplicità. Ecco nel proporre una performance come P Project mi sono reso conto che se per me risultava affascinante questa nuova forma di interazione, a molto pubblico questo spaventa perché esce dal consueto rapporto attore/spettatore. Forse era un po’ troppo aggressiva. A volte non considero che certe cose che risultano acquisite in certi spazi e in certi contesti culturali non sono così per il pubblico del Ticino. EP: Sicuramente il tema del pubblico è importante per qualificare anche lo sforzo da te intrapreso di agire in un territorio culturalmente difficile. La scelta di proporre queste forme, anche un po’ estreme, bisogna dirlo, di interattività, a un pubblico abituato a un confronto tradizionale con la scena è assolutamente ammirevole da questo punto di vista. FA: Se prima ho detto che il Performa Festival non ha un tema, devo ora precisare che invece ha lo stesso tema tutti gli anni: coinvolgere. Artisti diversi e pubblici diversi. Fare un proposta culturale multidisciplinare in coerenza con la contemporaneità. A tutte le contemporaneità perché molte sono le linee estetiche e di pensiero artistico che attraversano il contemporaneo. Coinvolgere. Coinvolgere il pubblico di modo che la cultura diventi sempre di più un ingrediente normale nella quotidianità delle persone e che non sia un qualcosa che possono permettersi solo certe categorie di persone. La cultura secondo me deve potersi rivolgere potenzialmente a qualsiasi individuo al di là dell’estrazione sociale e culturale. Per questo il Performa Festival ha sempre avuto come parola chiave la creatività, che non ha limiti di genere ed è presente in qualsiasi ambito lavorativo. La creatività non è una prerogativa soltanto dell’arte. Per questo io vivo, sviluppo e cerco di strutturare il festival con queste linee guida: coinvolgimento del pubblico e creatività. EP: Nella programmazione erano inseriti anche dei lavori prodotti direttamente dal Performa Festival all’interno di un progetto europeo transfrontaliero. Io ritengo sia molto intelligente da parte dei festival di arti performative di seguire le orme di quelli cinematografici nel farsi motori di produzione e non limitarsi ad essere semplici vetrine del contemporaneo. Anzi oserei dire che bisognerebbe fare uno step successivo e creare all’interno dei festival anche dei veri e propri industry office, portando quindi anche i buyers, in modo da agevolare anche la distribuzione dei lavori presentati. Vorrei quindi che mi parlassi dell’aspetto produttivo del Performa Festival FA: Sì, quest’anno siamo riusciti ad avere due prime assolute al Performa Festival. Un progetto di ricerca in forma ancora embrionale ma presentato in anteprima da Francesca Cola dal titolo I’ll Be your mirror, e Drive in del Gruppo Strasse, che in realtà è una prima adattata in quanto è un progetto site specific. Questi due lavori fanno parte di un progetto trans-nazionale promosso da Pro Helvezia in collaborazione tra il Ticino, i Grigioni, il Vallese, Lombardia e Piemonte (progetto Trans - un network sulle performing arts tra Svizzera e Italia – all’interno del programma ViaVai ndr.). All’interno di questo progetto abbiamo promosso il lavoro di artisti italiani che abbiamo proposto qui al Performa festival, in seguito ci saranno degli artisti svizzeri presentati all’interno del Festival UOVO di Milano nel marzo 2015. Grazie a questo progetto transfrontaliero abbiamo avuto la fortuna di presentare questi lavori al Performa. Inoltre c’è Full Service di Daniel Hellmann, di cui siamo coproduttori la cui prima è stata in questi giorni al Performa festival. Da ultimo ricordo che verrà anche presentato di Ledwina Costantini e Camilla Parini un esito di ricerca abbastanza avanzato sebbene non definitivo. Possiamo quindi essere soddisfatti e fieri di riuscire a produrre dei lavori e a sostenere gli artisti anche nell’ambito produttivo. Enrico Pastore
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