Vi sono cose che nella loro semplicità, forse perfino ovvietà, fanno affiorare dal terreno questioni molto complesse. In fondo le cose ultime sono là, a portata di mano, basta sintonizzare un poco il nostro grado di consapevolezza appena al di sopra dello zero, appena si sgombera il campo dalle frivole gabbie del pensiero quotidiano. Dov’è il teatro? Cos’è il teatro? Basta posizionare delle sedie, focalizzare lo sguardo, ed ecco che qualcosa, seppur embrionale, informe, microcellulare, emerge dalla superficie delle cose. È lo sguardo che genera la performance, che attiva la superficie delle cose, le persone, gli accadimenti. Il semplice atto di mettere delle sedie in un luogo e guardare crea pubblico e performance. Tutto non previsto. Al di là del grado estetico, al di là perfino di ogni giudizio, perché non c’è intenzione di fare nulla se non guardare. In fondo, si sa, l’atto di osservare modifica la realtà. È una legge fisica. Ma riportare ogni tanto il fare e il pensare teatro ad un grado zero, permette di ricalibrare l’agire performativo più complesso. È questo che fanno Nina Willimann e Paulina Alemparte Guerrero al Performa Festival. Portano sulla testa alcune sedie in giro per le città del Ticino, scelgono un punto di vista, posizionano la platea e comodamente diventano pubblico creando la possibilità di un grado zero del teatro. L’occhio che guarda crea una tabula rasa, una cornice bianca dove l’evento accade sotto una luce diversa, distaccata dal flusso ordinario diventando, per il breve istante in cui passa davanti agli occhi, straordinario. Ma l’azione più importante è quella di pulizia dello sguardo. L’occhio che guarda un po’ appannato la realtà quotidiana, nell’atto di sedersi in questa improvvisata platea, si ripulisce, si schiarisce, ridiventa attento. Quando il pubblico casuale condivideva le sedie con le due performers diventava, per il solo atto di osservare, più conscio della realtà, così come il passante, per il solo fatto di essere osservato, mutava il suo atteggiamento. Questo grado zero è come una forma meditativa che ogni performer dovrebbe fare. Riportarsi allo zero assoluto, riconsiderare il fondamento del teatro e così riscoprirne una funzione. Una sorta di formattazione. Per poi ricominciare a costruire. Intervista a Nina Willimann e Paulina Alemparte Guerrero EP: Come è nato Prêt-à-s’asseoir? Qual’era il risultato che volevate ottenere? NW: Il progetto è nato dopo che siamo state invitate ad un festival di teatro di strada e ci siamo chieste: “Cosa possiamo fare?” in fondo era già pieno di gente che faceva qualcosa, di performer, e così abbiamo pensato che in fondo quello che manca è un pubblico. L’idea è quindi quella di fare una performance, dove i performers sono il pubblico, un pubblico perfetto, molto attento, aperto, che ascolta e guarda tutto, senza filtri, E poi le sedie, alcune vuote, che sono un invito alla gente a condividere questa situazione iniziale, un invito a divenire pubblico e osservare ciò che avviene. Questa è l’idea di base. EP: Lo sguardo è l’oggetto e il soggetto del vostro lavoro? NW: Penso che sia attraverso lo sguardo dello spettatore che uno spettacolo diviene spettacolo. È l’azione di forza dello sguardo che trasforma le cose in uno spettacolo. È una cosa un po’ violenta di andare da qualche parte e guardare. PAG: è l’atto di rendere la realtà spettacolare. Quello che succede è reale ma davanti a questo mondo di sedie la realtà quotidiana e ordinaria diviene spettacolare. NW: Però non è un atto di critica a ciò che si guarda. È solo l’atto di guardare. Ma c’è anche un altro aspetto. Nelle nostre piéce abbiamo sempre cercato di rendere attivo lo spettatore, che in qualche forma si attivi e non subisca lo spettacolo. PAG: Sì, abbiamo sempre cercato di mettere in discussione lo status di spettatore. Lo scopo della nostra compagnia non è solamente e semplicemente quello di mostrare qualche cosa. Penso che lo scopo della persona che guarda vada un po’ più lontano della sera di uno spettacolo. Lo spettatore è un elemento drammaturgico importante. È lui che pone tutte le questioni, è lui che riempie tutti gli spazi vuoti, le mancanze che noi possiamo avere. Il lavoro con questa compagnia mi ha fatto andare un po’ oltre il semplice mostrare qualche cosa. I punti di fuga sono aperti e lo spettatore può inserirsi dove vuole, percorrere tutte le strade. Enrico Pastore
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