Siamo saturi di generi e di tendenze culturali pittoriche, forse perché stiamo procedendo verso l’era posteriore a quella post moderna, forse perché di invenzioni e di idee per soggetti e generi ne abbiamo diverse e molte che si pongono e si impongono nella loro integrità a chi oggi va a definirsi come autore, il quale, spesso senza volerlo, si sente soggetto e influenzato da tanto patrimonio letterario artistico, espressione artistica della storia dell’umanità. Chi si inserisce nella nostra contemporaneità non può dirsi scevro dalla contaminazione di un passato che si vede arricchito di esperienze e di linguaggi affermati e diventati pietre miliari della storia dell’arte. Esiste chi, invece, segue un approccio nuovo e rinnovato, riprendendo stili e correnti differenti e varie, tali da creare nuovi percorsi visivi, estetici e contenutistici nella nostra era, aprendosi nel lungo corso della narrazione storica artistica un proprio spazio di autonomia e di autoaffermazione e definendosi, così, attraverso uno stile e un concetto di arte, che possiamo dire progressivo rispetto alle basi da cui, necessariamente, prende nutrimento e base. In questa prospettiva si evidenzia la produzione di Domenico Lombardo, che ha saputo determinare scenari estetici e compositivi mai visti, frutti di una celebrazione sintonica e sintetica tra diverse correnti e culture artistiche del passato. Leggiamo una considerevole produzione che ha visto diverse opere definirsi in un climax ascendente e originato da uno studio sperimentale, molto soggettivo, dell’artista, presente come personalità autoriale all’interno dei suoi lavori: i quadri di Domenico sono, così, definibili come rappresentazioni che riescono subito a identificare l’autore delle medesime, dando origine, pertanto, a uno stile e a un genere propri e riconoscibili. Esiste un figurativismo, molte opere riprendono personaggi di un passato storico dello spettacolo e del cinema, della musica, attraverso la linea poetica dell’autore, ma rivisti in un modo quasi neutro, possiamo dire meccanico e deduttivo, tecnologico e terzo, grazie soprattutto alla tecnica utilizzata, tale da aprirci alfabeti narrativi estetici di nuova dimensione. L’abilità di Domenico consiste nel ricercare nella storia dell’arte quelle forme, quindi pura immagine, strumentali a evidenziare una propria filosofia concettuale compositiva, e contenutistiche, icone di un patrimonio collettivo, di una memoria comune che non può esser cancellata, a cui possiamo consentire una loro designazione e una loro descrizione quali fonti di ispirazione di ipotesi artistiche nuove. Parliamo di ipotesi artistiche nel momento in cui la prodizione di Domenico vede una sua dinamicità, nei contenuti e nelle sperimentazioni adottate all’atto della produzione, tramite l’utilizzo di materiali, imponendoci un percorso mai esauribile ed esaustivo di composizione figurativa nel suo complesso. Il messaggio è quello di interrogarsi sulla dimensione umana perduta di figure ormai inflazionate nelle rappresentazioni moderne, diventate quasi oggetti di mercato, dei volti, quindi dimensione personale e soggettiva irripetibile, di icone del passato: quanto ancora di autenticità umana e di unicità individuale esiste e persiste in queste rappresentazioni figurative e ritrattistiche è la domanda, quell’interrogativo, che possiamo formulare nell’atto di visione dell’opera stessa dell’autore. Domenico concede, così, una lettura nuova, tale da dare un’originalità e una soggettività singolari al volto ripreso, inflazionato e ormai diventato mera espressione figurativa senza sostanza umana, svuotata di concetto e di portata umana, elevandola, così, a messaggio poetico e lirico, fonte di sensazioni, tali da inoltrarci in panorami descrittivi unici e irripetibili.
La tecnica vede Domenico utilizzare elenchi telefonici, scritti e testi cartacei, l’effetto della ruvidezza della carta dona una certa sensazione plastica e di profondità, su cui va a lavorare cancellando nomi e numeri per, poi, definire, alla fine, nella sua interezza l’icona che si nascondeva nella materia originaria: siamo difronte, cosi, a uno svelamento e a un’invenzione, nel senso letterale del termine di ritrovamento, rinvenimento della figura, che l’autore aveva intenzione e che aveva intravisto nella sua rappresentazione al momento precedente la sua creazione, quel frangente molto minimo e delicato esistente tra l’inizio del lavoro e l’ispirazione. Notiamo esserci, forse volutamente, ma senza appesantimento nell’effetto contemplativo dell’opera, una certa dose di dimensione pop artistica, in un’accezione puramente nuova. Possiamo, così, sintetizzare la portata concettuale descrittiva la produzione di Domenico nel termine composito di neopopartistico, nel momento in cui si rinvengono nelle dimensioni estetiche compositive dell’opera l’utilizzo percepibile e, quindi, addossate di una certa plasticità, di materialità plastica, fisicamente reali e tangibili, come le penne impiantate sulla superficie, tali da delineare, in un gioco semplice e minimale di colori e sfumature, attento quanto particolare e minuzioso, la figura dell’icona. Notiamo, invece, una certa eredità da una concezione futuristica, anche con accenni dadaisti, quindi di rottura nei confronti di una classicità artistica, quasi in contrapposizione, quando a essere da elemento su cui lavorare sono elenchi telefonici o scritti testuali da cui, poi, con un pennarello, andare a eliminare quelle parti superflue per, poi, andare a scolpire sulla base scritta la figura rappresentabile, che l’autore aveva in mente di definire e disegnare. Esiste un lavoro di forte scomposizione, quindi ricomposizione, della figura in tante parti che, se unite, quasi fosse un mosaico, vanno a delineare l’immagine nella sua integrità e interezza: in questo procedere possiamo vedere una certa dose di eredità di quello che fu il principio artistico e compositivo dei cubisti, rielaborandolo e apportandolo, in modo aggiornato, in funzione alla realizzazione dell’opera dell’autore. Il figurativo che, così, si elabora in Domenico è qualcosa che va oltre al semplice figurativo classico: si avvale di una dimensione materica, aprendo, in diversi casi, soluzioni visive nuove, che vanno oltre la dimensione puramente figurativa. Si aprono, così, forme e contenuti di nuova natura artistica, concedendoci sensazioni in visioni rinnovate, mai esplorate, decomposizione pura dell’immagine primigenia e rielaborazione della medesima, dando origine a nuovi panorami descrittivi e illusione ottiche piene e dense di spirito estetico e concettuale. Possiamo, così, dire che l’arte di Domenico è semplice nei materiali utilizzati, molti di portata quotidiana e comune, le penne per esempio, ma di complessità nel loro impatto visivo, quasi strumenti che ci addentrano in una dimensione espressionista astratta, poliedrico caleidoscopio di livelli figurativi e immaginari senza precedenti. L’autore vive anche di un certo divisionismo, in una chiave simile al graffitismo, nella sua creazione della figura artistica: i molteplici puntini e le molteplici micro linee ci portano a scandagliare panorami descrittivi interessanti e coinvolgenti, tali da donarci visioni imprevedibili, seppure giustificate nel loro complesso dalla riproposizione diretta e consueta nella sua rappresentazione figurativa di icone a noi note. Non ci si può, come spettatori, fermare al dato visibile di primo impatto, ma occorre assaporare e apprezzare le opere di Domenico attraverso un abbandono alle molteplici moltitudini di effetti ottici, di giochi visivi e visionari, che tratteggiano nella loro complessità e nel loro insieme la figura rappresentata. Non è possibile cristallizzare l’autore in una dimensione e in un genere definito e definibile, pertanto statuibile, essendo lui stesso operatore attraverso l’utilizzo di diversi materiali anche plastico e materici, di opere dalla complessità compositiva tecnica ed estetica: la produzione dell’autore ci porta a considerare Domenico una figura artistica che si pone tra uno scultore che colpisce con la sua inventiva il testo scritto per ricavare, come lo scultore fa attraverso il legno e il marmo, l’immagine a lui nota nella sua portata evocativa di scenari e panorami che appaiono inattesi attraverso una nostra semplice e prima lettura dell’opera, e un artista, complesso e a tuttotondo, che adotta quelle materie utili a ricavare quegli spazi figurativi particolari ed elaborati, che ci conducono verso una dimensione artistica visiva, figurativa, nuova e rinnovata, a pieno titolo, appunto, neopopartistica nell’impatto cromatico e visivo. Alessandro Rizzo
Scrivono in PASSPARnous: k
Aldo Pardi, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Alessandro Rizzo, Fabio Treppiedi, Silverio Zanobetti, Sara Maddalena, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Alessia Messina, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Enrico Pastore, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Francesco Panizzo. |
Fotografia
Un pittorialismo fotografico: l’arte di Francesco Ragno tra forme e geometrie. di Alessandro Rizzo Georg Schrimpf:
da un espressionismo di un nuovo realismo alla dimensione magica di una nuova oggettività. di Alessandro Rizzo L’immateriale nel blu immenso e universale
di Yves Klein. di Alessandro Rizzo Un esempio di architettura integrata: la Fondazione Maeght.
di Alessandro Rizzo |
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