Lucy,
Un film di Luc Besson Articolo di Daniel Montigiani
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Secondo un mito nato – pare - all’inizio del Novecento, l’essere umano si limita a sfruttare soltanto il 10% delle proprie capacità cerebrali, lasciando dunque inutilizzato un gigantesco 90%.
Una credenza diffusa e non provata da un punto di vista scientifico, appunto, ed è per questo, forse, che Besson ha deciso di estrarre dal proprio cilindro un personaggio femminile, Lucy (Scarlett Johansson), immaginando che cosa le accadrebbe se le capitasse di provare l’ebbrezza di poter alimentare la potenza del proprio cervello, passando dal 10% al 100%. Lucy è una ragazza qualsiasi, una studentessa che vive a Taiwan. A causa di una sua conoscenza poco raccomandabile, è d’un tratto costretta a consegnare una misteriosa valigetta grigia chiusa a chiave in un lussuoso albergo. Qui viene rapita da dei malavitosi, che decidono di utilizzarla come cavia insieme ad altri per sperimentare una droga a base di granuli blu, capace di aumentare le capacità cerebrali fino al 100%. La protagonista riesce però a sfuggire ai criminali, e, con una mente che passo dopo passo si fa sempre più spaventosamente potente a causa dei granuli ormai sparsi nel suo corpo, si prefigge lo scopo di vendicarsi e di recuperare il resto della droga con l’aiuto di un poliziotto che conosce durante il suo percorso. Nel frattempo, ovviamente, i malavitosi non perdono tempo e si mettono a seguirla. Già ancora prima di raggiungere il culmine della percentuale, le azioni della ragazza sono a dir poco impressionanti: Lucy può sospendere per aria i propri nemici, modificare il corso del traffico, si fa operare senza anestesia riuscendo a non provare alcun dolore, sfoglia a piacere davanti ai propri occhi i secoli passati con la stessa facilità con cui potrebbe cambiare immagini sullo schermo di un ipad col semplice tocco delle dita. Anche la regia di Bresson, come l’organismo della protagonista in preda alla sostanza blu, è perfettamente “drogata”. L’autore di Nikita ci delizia infatti con un uso spiazzante del montaggio parallelo, che collega immagini diverse e distanti fra loro, con inserti che interrompono drastici la narrazione, talvolta riportandoci indietro nel tempo di millenni, fino alla primordialità quasi sacrale dei dinosauri e delle prime scimmie. Tutto questo organizzatissimo e calcolatissimo delirio è diretto con rigore, precisione, e il risultato è, a modo suo, davvero sorprendente, anche se, a momenti, scalfito (ma non troppo) da qualche “principio di baracconata” (l’inseguimento in macchina a Parigi, ad esempio, avrebbe forse potuto evitarlo). Ma ha davvero talento la furbizia di Besson: i cinefili e i più “intellettuali” troveranno interesse nelle citazioni cinematografiche (Malick, 2001 Odissea nello spazio, Inception, Matrix) e nei discorsi che spaziano dalla psicologia alla sociologia, dalla filosofia all’antropologia; mentre “il resto del pubblico” sarà estasiato da un’alta dose di spettacolarità, la quale, però, ha abbastanza classe da non rappresentare un becero esempio di blockbuster. Assolutamente da non sottovalutare, poi, il centro propulsore dell’intera pellicola, Scarlett Johansson: sensualissima ma altera e glaciale, precisissima nella sua vendetta, è un’entità che si affaccia alle cose e alle persone con un erotismo severo, dunque raro e ipnotico. Un po’ come il film. Daniel Montigiani
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