La buca
Un film di Daniele Ciprì Articolo di Daniel Montigiani
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In Dov’è la libertà?, uno dei film meno conosciuti e più atipici di Roberto Rossellini, Salvatore Lojacono (Totò) esce di carcere dopo aver scontato una pena per aver ucciso un amico. Alla fine, di fronte a pessimi esempi di “umanità” e a una quotidianità per lui insostenibile, preferisce tornare fra le sbarre. Una sensazione così forte deve sicuramente provarla nelle prime scene anche il protagonista de La buca, un povero innocente (Rocco Papaleo) uscito di galera dopo ventisette anni, ingiustamente accusato di rapina a mano armata e omicidio, alle prese inizialmente con una realtà gretta e ostile che sembra fargli proprio venir voglia di rimettersi “comodo” in carcere. Il disgraziato, “bonariamente” respinto dalla sua famiglia, rimane infatti senza nessun posto dove andare, con la sola compagnia di un (delizioso) cane che ha cominciato a seguirlo fedelmente.
Ma il maldestro incontro col bislacco avvocato truffatore (Sergio Castellitto), nel bene e nel male, gli cambia la vita: l’approfittatore, avendo subodorato un risarcimento milionario, decide di aiutare l’uomo a dimostrare la sua innocenza facendogli raccontare l’autentica versione dei fatti. Saputa la notizia, la famiglia, come da copione, pregustando il sapore di qualche quattrino, diventa gentile e premurosa verso il parente fino a poco tempo prima snobbato e considerato un assassino. L’”incrocio” di questi due uomini estremamente diversi fra loro – uno eccessivo e necessariamente sopra le righe, l’altro così dimesso da sembrare fatto di un materiale tutt’altro che umano, à la Buster Keaton – genera una certa quantità di grottesco che riempie tutta la pellicola. Ma ne La buca, seconda avventura cinematografica in solitario di Ciprì dopo anni di memorabili collaborazioni con Maresco, il grottesco è volutamente stemperato rispetto al suo passato artistico, soprattutto se si pensa ad eccessi sconvolgenti come Totò che visse due volte o Lo zio di Brooklyn. È un grottesco buffo, più leggero, grazie anche all’ambientazione quasi da fiaba, una città senza nome dall’aspetto gradevolmente astratto. Ciprì si ispira, ovviamente a modo suo, a Chaplin e alla sophisticated comedy americana, accusando non più tramite uno scandalo quasi atrofizzante come era solito fare insieme a Maresco, ma con un tocco dall’incedere sospeso, che fa stridere il lercio, impeccabilmente presente, “soltanto” in maniera sottile. L’opera, però, soprattutto se paragonata all’ottimo esordio di È stato il figlio, lascia piuttosto a desiderare: com’è possibile, ad esempio, che un ottimo enfant terrible dell’umanità distorta come Ciprì crei personaggi fortemente strampalati, ma privi di vera vita e consistenza? E ancora: perché non sfruttare minimamente un’attrice come Valeria Bruni Tedeschi (la barista che vive di fronte alla casa dell’avvocato), lasciandola in giro per il film senza un minimo di anima e spessore? La narrazione, inoltre, nel suo rievocare momenti della rapina e dell’omicidio in cui il protagonista era finito per trovarsi quasi trent’anni prima, vorrebbe essere rocambolesca, ma incespica, (si) affatica e fa perdere il filo. Rimangono senza dubbio tracce del virtuosismo esemplare dell’occhio di Ciprì – rintracciabili in alcune sequenze che fanno riemergere il passato dell’uomo -, ma è proprio il registro scelto per questa pellicola ad essere un po’ stonato. Che il regista palermitano debba tornare gioiosamente a sguazzare in un grottesco più “spinto” per raggiungere di nuovo alti livelli? Daniel Montigiani
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Aldo Pardi, Claudia Landolfi, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Alessandro Rizzo, Fabio Treppiedi, Silverio Zanobetti, Sara Maddalena, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Alessia Messina, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Enrico Pastore, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Francesco Panizzo.
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