Stefano Antozzi nasce come artista, in quanto fin dalla tenera età vede nell’arte l’unico strumento attraverso cui poter esprimersi. Frequenta il Liceo Artistico Caravaggio, a Milano, per, poi, iniziare gli studi all’Accademia di Belle Arti di Brera, dove consegue il diploma di scenografo. Scenografia e arte visiva sono due componenti che caratterizzeranno in modo continuativo l’altra passione e attività che Stefano affronta, quella della pittura. La tecnica, è occasione di dirlo, diventa quasi conseguente a questa formazione per l’autore: ama identificarsi e utilizzare materiali vari, la tecnica mista, tale da renderli quasi materici e per poter dare loro quella spazialità utile e funzionale a dare risalto. La produzione artistica di Stefano Antozzi, quindi, non può essere scissa dalla sua attività di scenografo, dove vede una sua ampia partecipazione all’Accademia Aperta e all’Esposizione Mozart al Teatro Lirico, così come all’Esposizione di bozzetti di scenografia al Teatro Franco Parenti. Stefano preparerà, poi, la mostra personale Frammenti di scena, dove sono collocati diversi elementi scenografici da lui prodotti, così come l’allestimento della scenografia dell’opera La lettera anonima di Donizetti, Teatro Litta Milano, collaborando con allievi costumisti e allievi di canto del Conservatorio di Milano. In tutta questa esperienza si inserisce, quasi completando la figura artistica dell’autore, cercando di apportare nell’arte visiva quel supporto che veniva dalla proposta scenografica, un contesto che materializza una narrazione, dandole spazio, non solo fisico, ma anche temporale. In questa produzione troviamo diversi soggetti e stili differenti, tanto da apportarci verso correnti artistiche di varia portata: apprezziamo, così, il mistico e lo spirituale che si concentrano su tinte e su andamenti cromatici che ci coinvolgono in una contemplazione, dando materica plasticità e volume a un figurativismo in cui, come in ogni rappresentazione spirituale, si accennano quelle tinte di oro e di argento, tali da donare all’opera una certa sacralità. Dal sacro al profano, possiamo dire, in Why non erotique, dove si percepisce una narrazione molto reale, molto chiara e immortalante una situazione fortemente trasgressiva, in cui l’occhio dell’autore nell’adagiare la tinta sulla tela ha garantito un prevalere del suo punto di vista, della finalità comunicazionale dell’opera, della sua funzione altamente fisica e feticista, colorando di blu scuro le parti più portanti e gli elementi più strutturali che concedono al quadro, nel suo insieme, quella trasposizione erotica, appunto, sensuale, di impatto quasi violento e forte, in cui si interpella il senso di assoggettamento per il piacere quasi edonistico. Il grigio garantisce nelle sue sfumature una certa capacità descrittiva dell’autore, assicurando quasi un disegno che contorna i soggetti e delinea le linee delle parti del corpo interessate dalla visione. L’architettura ritorna, quasi memoria di una formazione artistica scenografica, nella cura del particolare di capitelli, in cui spiccano, quasi innalzandosi nella propria monumentalita, le colonne tinte di un verde ramato e che si profilano come spiccanti sul resto dell’opera, dando quell’impressione di altezza e verticalità di un interno sontuoso di un tempio, di una chiesa, come anche di un palcoscenico teatrale. Procediamo, infine, con il glamour che si fa strada nella produzione di Stefano Antozzi, forte della conoscenza che egli ha nell’ambito del mondo artistico della moda, dove spesso lavora, anche qui, come scenografo: l’elemento coreografico costeggia una serie che vede nel vestito, nei suoi particolari, nelle pieghe che donano e definiscono al medesimo una certa eleganza e visibilità di chi lo indossa, non passando inosservato. Si procede alla celebrazione, quasi riproposizione dello stile e del contenuto, di Tamara de Lempicka, la nota artista statunitense dove viene rivista e rivisitata nel figurativo femminile del quadro omonimo nella rotondità e, allo stesso tempo, quasi fumettistica armonia del corpo di donna, adagiato e sdraiato: in questo si assapora una certa tendenza neopopartistica in cui è il solo figurativo, il corpo nella sua interezza, a essere rilevante e rilevato nel contesto della tela, intorno nulla esiste se non un fondo scuro, utile a fare emergere la figura. Infine non possiamo tralasciare nella produzione di Stefano Antozzi l’autoritratto, che ci conduce e ci anticipa una lunga serie di ritratti, di tradizionale impronta impressionista e figurativa, ma rivisti in un’ottica autonoma, sia nell’uso tecnico dei colori, sia nell’espressività, che presentano i soggetti ripresi, interessante e vivace può dirsi a proposito la serie dedicata a ritratti di famiglia, quasi visione neorealista e iperrealista di stampo americano: in questa opera vediamo un figurativo che ci porta a scorgere i lati frammentati del ritratto stesso, del viso dell’autore, graffiato, si può benissimo procedere con la mente al ricordo di Pollock, e interrotti da linee e squarci, tali da aprire contorni esplorativi interiori dalla forte intensità e vibrazione emotiva.
Alessandro Rizzo
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