Accondiscendenze spaziali
Testo di Francesco Panizzo
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Belek, Antalya. Sembra l’Italia degli anni Settanta/Ottanta per certi aspetti. Vi si trovano tutti i segni di una ripresa economica mista a investimento dell’ultima ora. Le case e le villette a schiera imbastite in tutta fretta prima dell’inizio della stagione estiva mortificano anche la classe dei meno dediti all’architettura riprendendo il neoclassicismo americano dagli archi ellenici che qualche caricaturista non avrebbe nemmeno osato abbozzare nel suo foglio. Chincaglierie per impiegati di banca in vacanza cadenzata tra torrette tutte uguali, dove ogni costruzione rispetta il vicinato come lo sportello di un’istituzione finanziaria rispetta quello della dirimpettaia concorrente. Carinerie offerte alla vista come estetica di terza mano dove ogni piscina scimmiotta le forme di altre piscine, oltre una rete, che le vorrebbe differenziate dalle altre. Sì, perché ogni gruppo di villette qui ha la propria piscina e spesso il proprio bar. Vi è un aspetto interessante, o meglio dire inquietante in tutto questo speculare sull’edilizia a Belek. Ogni schiera di villette ha accanto a sé una palude non bonificata e circondata ai bordi dai resti degli scavi dovuti alla costruzione delle suddette. Come a dire, non c’è tempo ne interesse a bonificare attorno alle case. Che guadagno ci sarebbe? E le zanzare? Assieme alle paludi sono il contraltare perfetto dato da una natura vera e cruda contro l’artefizio rappresentato dai capitelli in stile neoclassico-americano-turchizzato e dalle piscine termali romane, appalto del nord-est d’Italia. A un finto-bello corrisponde spesso un vero-terrifico. La domanda sorge spontanea: perché il benestante viene a farsi qui le vacanze? Il mare, certo, spesso simile a quello jesolano.. Ma è anche vero che quando mi sveglio la mattina, fra le prime cose imponenti che vedo è il panorama molto piacevole che fa da sfondo ai minareti adiacenti la moschea di Belek, la catena montuosa del sud: i monti del Tauro.
È singolare anche un altro aspetto che riprende le usanze della città. Ogni volta che da un altoparlante inizia il Laden - richiamo islamico alla preghiera -, i locali interrompono ogni forma di musica prodotta, sia un musicista a suonarla dal vivo o emessa dalle casse audio del bar di rito. Due riti diversi qui in Turchia. Quello più mediorientale di pregare Allah e quello più pagano occidentale di pregare il barista perché ti faccia un buon cocktail. A proposito di Dio, mi riconduco così alle bancarelle del mercato di Belek dove il classico pendaglio con l’occhio azzurro, l’occhio di Dio, non vive il chiasso del contrattare della materia poiché non si vede quasi nessuno acquistare questo simbolico pendaglio in vetro e dove il silenzio stempera la caccia safaristica dei turisti tedeschi, inglesi o russi tra le merci taroccate che nessuna autorità controlla e dove sembra davvero di stare a comprare merce buona; è spesso difficile distinguere il contraffatto dall’originale. È come se in Italia ogni negozio (perché il fenomeno di cui vi parlo non accade solo tra le bancarelle del mercato) vendesse prodotti contraffatti e nessuno facesse nulla per evitare il proliferare di questa usanza. Lo Stato e i commercianti, uniti nell’unico intento di “far felici” i turisti, gli rifilano prodotti contraffatti e li illudono che l’aspetto fallocentrico ed edonista del brand sviluppi nell’ignaro straniero quel giusto narcisismo per potergli vendere uno stilista riciclato. E il rapporto con le donne? Anche la dolce relazione è un fake. Ti parlano di matrimonio dopo un’ora di conversazione, sarà che si ricevono certe proposte se si è un soggetto portatore di certi stimoli trasversali che ad altri non capitano ma, a quanto mi dicono gli indigeni maschi pare sia una propensione di default, soprattutto nei confronti degli italiani. Insomma, anche le indigene si fanno soggiogare dai belletti del fake, che non è fuck il quale, invece, è proposto più a culture di altra tipologia, sembrano andare bene i rumeni in questo senso. Gli indigeni maschi, dicevo, dicono che tale comportamento è tipico della donna turca. Sedotta da aspettative astratte istiga l’uomo al matrimonio fino a quando, con tale copertura morale, può eludere la gelosia del maschio indigeno e assicurarsi il piacere psicofisico, garantendosi l’emulazione della perpetuazione della specie. “Soddisfatto” questo bisogno primordiale e raggirata la regola del buon costume annacquato da birre ben nascoste in sacchetti di plastica neri, una sorta di burca per l’alcool dove, al posto degli occhi scoperti resta solo l’occhio dell’imboccatura da cui trincare, scartano il masculo estrogeno per cercarne un altro di stesse proporzioni semantiche. A dirla in breve sono passionalissime sotto le coperte, completamente fredde fuori e spesso incapaci di piegare le suddette per una questione di emancipazione che le ha obbligate ad allontanare la pratica domestica dell’ordine (la madre otodossa e capace) in favore di una occidentalizzazione sopraggiungente disorganizzata e priva di connotati compassionevoli (revisione capitalistica del nostro boom economico, ancora un fake). Così mi dicono. Ma osservando dall’esterno posso intravvedere una verità di base, se non altro per le offerte di matrimonio ricevute e la consapevolezza che l’ordine in certe abitazioni gestite da ragazze turche lascia un po’ a desiderare (non facciamo di tutta l’erba un fascio). Insomma, se la donna è l’essere più sensibile del pianeta, è anche il primo a introiettare e a manifestare le peculiarità di un territorio, in primis perché è incubatrice naturale di un seme culturale e poi perché la sua irrazionalità divina la porta a manifestare tale seme senza dover troppo pensare alle conseguenze: o questo, almeno, impara e proietta dalla patriarcalità o meno di un luogo.. I masculi sono grandi lavoratori, conosciuti così anche in Romania, ma soprattutto in Germania dove l’emigrazione turca ha dato più riscontri sotto questo punto di vista. Nazionalmente hanno ancora molto da imparare sulla concezione capitalistica occidentale e questo li salva (o forse no) dallo sfacelo che l’occidente sta attraversando in pieno, altresì dovrebbero liberarsi da questo che li rende agli occhi degli occidentali un miscuglio tra permalosità, invidia e gelosia; in breve, come mi racconta un amico turco, sono P.I.G.: Permalosi, Invidiosi e Gelosi. Pig, faccio notare all’amico, non è proprio il massimo dell’autostima essendo questo paese sostenuto da non mangiatori di carne di maiale, ma basta a farsi una risata, che questa, qui a Belek, non viene rifiutata mai, o quasi.. In realtà, continua lui, la carne di maiale si può trovare sottobanco anche se pericoloso; “devo stupirmi?” Rincalzo.. Non guardate più di un secondo la donna di un turco o una turca in generale di fronte a turchi masculi, potrebbe risvegliarsi in loro l’occidente. D’altro canto, invece, i cani e i gatti sono randagi, il che mi ricorda certi racconti sull’India, ahimè non ancora visitata, sull’assenza di proprietà privata riscontrabile anche negli animali che, randagi, difficilmente dicono “mio” a qualcosa; raramente abbaiano ai passanti per fargli capire di non attaccare il terreno su cui posano le quattro zampe, nulla più. Fatto strano, invece, abbaiano alle macchine stile suv che affrontano il loro quieto vivere più che ai passanti, forse sentono il lezzo della nuova era che avanza in questo miscuglio di realtà che è Belek, dove il passato si integra con un presente che sposa petrolio a suon di laden e vecchie e grasse donne vendono tradizionali gözleme (piadina turca) di fronte a bar coi surgelati a più basso costo. Oltre l’ombelico del mondo
Francesco Panizzo Home Plate 15/06/14 |
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Scrivono in PASSPARnous: k
Aldo Pardi, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Alessandro Rizzo, Fabio Treppiedi, Silverio Zanobetti, Sara Maddalena, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Alessia Messina, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Enrico Pastore, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Francesco Panizzo.
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