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Chi è realmente
disposto ad ascoltare e accettare che un’unica risposta non ci sia,
senza chiede- re ‘troppe’ spiegazioni? L’interrogarsi sta nella natura
dell’umanità. Personalmente mi piace pensare al cinema come una
suggestione ipnotica, un rituale che viene da tempi remoti e ha cambiato
modi e forma nel tempo. L’immagine, assieme al suono, è l’agire della sostanza filmica.
Qual è lo stile-documentario? Non esiste un unico modo di indagare il reale. Il cinema dispiega così tutte le sue possibilità, mescolando immagini reali in un racconto filmico. Lo sguardo risulta talvolta più scientifico, altre volte la realtà è colta nella sua poesia.
A encomio di questo festival e visto l’editoriale di questo mese, ho deciso di parlarvi di Swahi- li Tales, un film di Alessandro Baltera e di La nuit remue, di Bijan Anquetil.
Qual è lo stile-documentario? Non esiste un unico modo di indagare il reale. Il cinema dispiega così tutte le sue possibilità, mescolando immagini reali in un racconto filmico. Lo sguardo risulta talvolta più scientifico, altre volte la realtà è colta nella sua poesia.
A encomio di questo festival e visto l’editoriale di questo mese, ho deciso di parlarvi di Swahi- li Tales, un film di Alessandro Baltera e di La nuit remue, di Bijan Anquetil.
Swahili Tales, Alessandro Baltera e Matteo Tortone, Italia, 2012, 36’.
Girato in Tanzania, nel cuore dell’Africa, il film è un viaggio piacevolmente disorientativo in luoghi difficili e mis- teriosi. Il medio metraggio, risulta dall’accostamento di tre corti: sui lavoratori nelle miniere d’oro quasi esaurite, su un villaggio di pescatori che verrà presto sgomberato, infine sul sincretismo religioso fatto di sciamanesimo e stregoneria in stretta relazione agli evangelici, che lavorano in antitesi alla religione tradizionale. Il film parte dalla realtà per raccontare qualcosa di più, è girato tutto in un b/n che gioca sui contrasti e la luminosità. La miniera d’oro racchiude in sé il nero delle profondità e la lucentezza del metallo prezioso, l’episodio sui pescatori è girato di notte e i riflessi dell’acqua giocano con l’iridescenza dei pesci. Luce e ombra sono proiettate dai registi anche sugli avvenimenti, infatti si nota spesso una discrepanza fra le immagini e le storie che vogliono raccontare. Le storie sono divise in capitoli, introdotte da un breve resoconto scritto o da un sottotitolo e così, quello che non è fatto vedere, rimane un racconto invisibile. Un insolito procedimento narrativo, o meglio non- narrativo: è proprio l’affermazione che l’essenza del cinema sta nella riproduzione della realtà e non nel raccontare delle storie, compito che si addice più alla letteratura o al racconto verbale, dai quali scaturisce l’immaginazione, il crearsi delle immagini. Il cinema, diversamente, filma immagini precise, in un determinato tempo e spazio, catturandole istante dopo istante.
La nuit remue, Bijan Anquetil, Francia, 2012, 45’.
La macchina da presa filma parte dell’incontro notturno avuto dal regista con due immigrati afgani, facendo da tramite nel racconto del loro viaggio fino in Francia. I due protagonisti si trovano nelle zone d’ombra intorno alle cit- tà, in un campo vicino i ponti di Parigi, davanti a un fuoco. Il racconto di vita vissuta è evocato intorno al falò, come in un rituale e i loro ricordi riprendono vita solo nel regno dell’invisibile. Le immagini sono molto scure e si vede poco, è un modo particolare di vedere la notte, diverso da quello dei normali cittadini; il regista ha voluto così far riferimento a qualcosa che appartiene più all’ascolto che alla vista. Le uniche immagini che raccontano, anche queste per niente nitide, sono quelle che provengono dai loro telefoni cellulari, i quali racchiudono un mondo di ricordi, fatto di musica, video e foto. L’importanza documentaria di queste immagini rubate è data dal fatto che, oltre a provenire da un sup- porto diverso dalla macchina da presa, sono fatte da chi sta vivendo le situazioni e non le osserva soltanto. La scelta della disposizione nel film di queste immagini, cerca di raccontare geogra-ficamente il loro viaggio dall’Afghanistan all’Europa, ma gli amici dichiarano di essersi persi nel tempo, che non si ferma e consuma. I due personaggi sembrano vivere in uno stato tra la veglia e il sonno, tra il presente e il passato mentre parlano fra loro, attraverso racconti aneddotici e frammentari, intervallati da humor e silenzi. Il racconto diventa quasi quello di un mondo interiore, anche perché il regista ha evitato di fare domande dirette e ha lasciato loro il modo più spontaneo di esprimersi.
L’epilogo del film sembra tanto improvvisato quanto poetico: avviene al mattino presto, lungo la riva del fiume, dove i due si lavano il viso e, usando nuovamente i loro telefoni, fanno foto ai propri volti sorridenti in mezzo ai fiori.
Girato in Tanzania, nel cuore dell’Africa, il film è un viaggio piacevolmente disorientativo in luoghi difficili e mis- teriosi. Il medio metraggio, risulta dall’accostamento di tre corti: sui lavoratori nelle miniere d’oro quasi esaurite, su un villaggio di pescatori che verrà presto sgomberato, infine sul sincretismo religioso fatto di sciamanesimo e stregoneria in stretta relazione agli evangelici, che lavorano in antitesi alla religione tradizionale. Il film parte dalla realtà per raccontare qualcosa di più, è girato tutto in un b/n che gioca sui contrasti e la luminosità. La miniera d’oro racchiude in sé il nero delle profondità e la lucentezza del metallo prezioso, l’episodio sui pescatori è girato di notte e i riflessi dell’acqua giocano con l’iridescenza dei pesci. Luce e ombra sono proiettate dai registi anche sugli avvenimenti, infatti si nota spesso una discrepanza fra le immagini e le storie che vogliono raccontare. Le storie sono divise in capitoli, introdotte da un breve resoconto scritto o da un sottotitolo e così, quello che non è fatto vedere, rimane un racconto invisibile. Un insolito procedimento narrativo, o meglio non- narrativo: è proprio l’affermazione che l’essenza del cinema sta nella riproduzione della realtà e non nel raccontare delle storie, compito che si addice più alla letteratura o al racconto verbale, dai quali scaturisce l’immaginazione, il crearsi delle immagini. Il cinema, diversamente, filma immagini precise, in un determinato tempo e spazio, catturandole istante dopo istante.
La nuit remue, Bijan Anquetil, Francia, 2012, 45’.
La macchina da presa filma parte dell’incontro notturno avuto dal regista con due immigrati afgani, facendo da tramite nel racconto del loro viaggio fino in Francia. I due protagonisti si trovano nelle zone d’ombra intorno alle cit- tà, in un campo vicino i ponti di Parigi, davanti a un fuoco. Il racconto di vita vissuta è evocato intorno al falò, come in un rituale e i loro ricordi riprendono vita solo nel regno dell’invisibile. Le immagini sono molto scure e si vede poco, è un modo particolare di vedere la notte, diverso da quello dei normali cittadini; il regista ha voluto così far riferimento a qualcosa che appartiene più all’ascolto che alla vista. Le uniche immagini che raccontano, anche queste per niente nitide, sono quelle che provengono dai loro telefoni cellulari, i quali racchiudono un mondo di ricordi, fatto di musica, video e foto. L’importanza documentaria di queste immagini rubate è data dal fatto che, oltre a provenire da un sup- porto diverso dalla macchina da presa, sono fatte da chi sta vivendo le situazioni e non le osserva soltanto. La scelta della disposizione nel film di queste immagini, cerca di raccontare geogra-ficamente il loro viaggio dall’Afghanistan all’Europa, ma gli amici dichiarano di essersi persi nel tempo, che non si ferma e consuma. I due personaggi sembrano vivere in uno stato tra la veglia e il sonno, tra il presente e il passato mentre parlano fra loro, attraverso racconti aneddotici e frammentari, intervallati da humor e silenzi. Il racconto diventa quasi quello di un mondo interiore, anche perché il regista ha evitato di fare domande dirette e ha lasciato loro il modo più spontaneo di esprimersi.
L’epilogo del film sembra tanto improvvisato quanto poetico: avviene al mattino presto, lungo la riva del fiume, dove i due si lavano il viso e, usando nuovamente i loro telefoni, fanno foto ai propri volti sorridenti in mezzo ai fiori.
Alessia Messina
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