Apparizioni rubrica diretta da Francesco Panizzo
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Nel saggio sulle Affinità elettive di Goethe, Walter Benjamin distingue tra il contenuto reale o ‘cosale’ (Sachgehalt), e il contenuto di verità (Wahrheitsgehalt) del romanzo. Il primo non indica tanto la trama, il plot, quanto piuttosto l’elemento mitico e mortifero dell’opera, l’angoscia che ser- peggia nella vicenda dei quattro protagonisti (Edoardo, Ottilia, Carlotta e il Capitano); a sua volta, il contenuto di verità del romanzo é il suo nucleo profondo, segnalato e così salvato, attraverso la critica del contenuto reale.
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Operazione estrema questa cosa che Benjamin intraprende scrivendo il saggio in questione. In altre parole, esiste un rinvio sagittale alla verità, posta al di là dell’opera. Una verità che è necessario comunicare ai fruitori, perché essa si rivolge proprio a loro, li interpella, e spera nella differenza temporale che si dischiude (si è dischiusa o si dischiuderà) tra la scrittura e la lettura.
In questo senso, come ha ben visto Derrida, ogni opera letteraria ha sempre qualcosa di postumo, di differito: isolandosi nel gesto, o nella pretesa singolarità dello stile (quindi tagliando via la propria vita abituale, quantomeno prendendo le distanze da sé) chi scrive (non molto diversamente da chi pensa) fa il morto, si sottrae alla vita rivol- gendosi a un pubblico invisibile, o meglio sente la morte dentro di sé a tal punto, da non potersene liberare se non chiamando a raccolta le fantasmatiche vite dei posteri. Con la precisione chirurgica di uno sguardo abituato a posarsi sulle vite degli altri, Emmanuel Carrère firma l’anatomia delle “interiora” di Limonov, eroe eponimo, il voyou, la canaglia, l’individuo dai costumi abietti che vive per lo più sulla strada. Affermando l’idea di una “altra Russia” senza Putin, Eduard Limonov (pseudonimo di Eduard Savenko; Limonov rimanda a limonka, che significa bomba a mano) è il poeta lirico della violenza rivoluzionaria e della distruzione dell’attuale sistema politico russo.
In questo senso, come ha ben visto Derrida, ogni opera letteraria ha sempre qualcosa di postumo, di differito: isolandosi nel gesto, o nella pretesa singolarità dello stile (quindi tagliando via la propria vita abituale, quantomeno prendendo le distanze da sé) chi scrive (non molto diversamente da chi pensa) fa il morto, si sottrae alla vita rivol- gendosi a un pubblico invisibile, o meglio sente la morte dentro di sé a tal punto, da non potersene liberare se non chiamando a raccolta le fantasmatiche vite dei posteri. Con la precisione chirurgica di uno sguardo abituato a posarsi sulle vite degli altri, Emmanuel Carrère firma l’anatomia delle “interiora” di Limonov, eroe eponimo, il voyou, la canaglia, l’individuo dai costumi abietti che vive per lo più sulla strada. Affermando l’idea di una “altra Russia” senza Putin, Eduard Limonov (pseudonimo di Eduard Savenko; Limonov rimanda a limonka, che significa bomba a mano) è il poeta lirico della violenza rivoluzionaria e della distruzione dell’attuale sistema politico russo.
In epoca sovietica, refrattario e dissidente; dal 1974, esule antioccidentalista negli Stati Uniti dove lavora come mag- giordomo di un miliardario; negli anni Ottanta scrittore maudit a Parigi; negli anni Novanta, a fianco dei četnici serbi, Arkan e Karadžić, nella guerra in Bosnia; tornato in Russia, lo scrittore teppista ha fondato il Partito Nazional-Bolscevico e il giornale “Limonka”.
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Limonov, sulla scorta di D’Annunzio, Mussolini, Pasolini ed Evola si considera l’avventuriero che prova piacere a rovistare nelle “interiora della storia”. Fruga, alla maniera dei mendicanti, nei rifiuti, negli scarti della storia con un’unica certezza: nel proprio futuro Limonov vede nel proprio futuro sia la possibilità di ricevere un Nobel quanto una pallottola in fronte dei nemici.
Nella sua opera letteraria, Limonov ha posto al centro il proprio io debordante che ingloba anche la realtà circostante frantumandola in frammenti illogici e deliranti: il suo romanzo di esordio, infatti, è una sorta di dichiarazione di poetica ed è intitolato Sono io, Edička (1976, pubblicato in Italia nel 1985 con il titolo Il poeta russo preferisce i grandi negri). Josif Brodskij, che lesse il dattiloscritto del romanzo che circolava a New York come un samizdat, ha paragonato Limonov a Svidrigailov, il personaggio più perverso e negativo di Delitto e castigo di Dostoevskij, un uomo dalla sensualità depravata che non pone ostacoli alla libidine e alla violenza.
In ambito politico, i nemici principali di Limonov sono Dugin e Putin. Nel 1994 Limonov ha fondato insieme a Dugin il Partito Nazional-Bolscevico, un melange di radicalismo di destra e di sinistra, “condito con misticismo e avanguardia”. All’epoca della comune militanza nel Partito Nazional-Bolscevico, Limonov ha considerato Dugin come una sorta di dottor Goebbels, l’uomo di pensiero capace di indicare una strategia per la presa del potere in Russia. Nelle sue fumisterie mistico-avanguardiste, Dugin, che si considera il più grande filosofo della seconda metà del XX secolo, mostra venerazione sia per il fascismo, sia per il comunismo e accoglie nel suo pantheon Lenin, Mussolini, Hitler, Majakovskij, Evola, Mishima, Jünger. Tra i personaggi venerati da Dugin c’è anche il barone Urgern von Sternberg, un aristocratico let- tone violentemente antibolscevico che nel 1918 si era insediato in Mongolia e coltivava il sogno di far rivivere il gran- de impero mongolo. Ispirandosi in parte al barone Urgern von Sternberg e alla sua idea di creare un grande Stato eurasiatico, Dugin ha lasciato i nazional-bolscevichi e ha fondato il partito eurasista sostenitore di Putin.
Limonov, invece, ha aderito insieme all’ex campione mondiale di scacchi Kasparov all’ete-roclita coalizione Altra Russia e considera Putin il suo nemico giurato da abbattere con una rivoluzione. Limonov definisce Putin un padre “estraneo e malvagio”, “un burocrate triste, solo e sterile”, che ha come modello estetico e politico l’autocrazia della Russia zarista.
Nella sua opera letteraria, Limonov ha posto al centro il proprio io debordante che ingloba anche la realtà circostante frantumandola in frammenti illogici e deliranti: il suo romanzo di esordio, infatti, è una sorta di dichiarazione di poetica ed è intitolato Sono io, Edička (1976, pubblicato in Italia nel 1985 con il titolo Il poeta russo preferisce i grandi negri). Josif Brodskij, che lesse il dattiloscritto del romanzo che circolava a New York come un samizdat, ha paragonato Limonov a Svidrigailov, il personaggio più perverso e negativo di Delitto e castigo di Dostoevskij, un uomo dalla sensualità depravata che non pone ostacoli alla libidine e alla violenza.
In ambito politico, i nemici principali di Limonov sono Dugin e Putin. Nel 1994 Limonov ha fondato insieme a Dugin il Partito Nazional-Bolscevico, un melange di radicalismo di destra e di sinistra, “condito con misticismo e avanguardia”. All’epoca della comune militanza nel Partito Nazional-Bolscevico, Limonov ha considerato Dugin come una sorta di dottor Goebbels, l’uomo di pensiero capace di indicare una strategia per la presa del potere in Russia. Nelle sue fumisterie mistico-avanguardiste, Dugin, che si considera il più grande filosofo della seconda metà del XX secolo, mostra venerazione sia per il fascismo, sia per il comunismo e accoglie nel suo pantheon Lenin, Mussolini, Hitler, Majakovskij, Evola, Mishima, Jünger. Tra i personaggi venerati da Dugin c’è anche il barone Urgern von Sternberg, un aristocratico let- tone violentemente antibolscevico che nel 1918 si era insediato in Mongolia e coltivava il sogno di far rivivere il gran- de impero mongolo. Ispirandosi in parte al barone Urgern von Sternberg e alla sua idea di creare un grande Stato eurasiatico, Dugin ha lasciato i nazional-bolscevichi e ha fondato il partito eurasista sostenitore di Putin.
Limonov, invece, ha aderito insieme all’ex campione mondiale di scacchi Kasparov all’ete-roclita coalizione Altra Russia e considera Putin il suo nemico giurato da abbattere con una rivoluzione. Limonov definisce Putin un padre “estraneo e malvagio”, “un burocrate triste, solo e sterile”, che ha come modello estetico e politico l’autocrazia della Russia zarista.
Carrère, Io sono vivo e voi siete morti (1993), una biografia di Philip Dick e soprattutto l’autoritratto di una confessione ne L’adversaire, traccia il ritratto di un artista eresiarca cantore della violenza e della dissolutezza totale, che gioca la propria eternità in una vita che appare come un interminabile viaggio in un oltretomba mondano popolato di spettri. Tuttavia la biografia di Limonov non si riduce a un esercizio di ammirazione: non è il ritratto di uno scrittore teppista, uno stucchevole santo maledetto e martire refrattario alla legge e alle convenzioni, piuttosto è quello di un aedo dell’epica del fallimento e della distruzione.
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Dalla vita avventurosa di Limonov si può trarre la narrazione della storia non ufficiale ma eccentrica e scellerata della Russia e dell’Occidente, dalla guerra fredda all’ascesa di Putin. I paradossi terminali del tardo totalitarismo sovietico e del “bordello” postcomunista, oscillante tra la transizione criminalizzata all’economia di mercato e la guerra civile, non possono essere disgiunti dalla rivoluzione nazional-bolscevica. Quest’ultima, con la sua nostalgia del bolscevismo originario, appare allo scrittore francese come un’ulteriore espressione dell’epica del fallimento.
Limonov dovrà rinunciare alla presa del potere e, come un novello Rudin, l’uomo superfluo del romanzo di Turgenev, sarà costretto a morire per una causa non sua.
L’odiata democrazia.
Limonov dovrà rinunciare alla presa del potere e, come un novello Rudin, l’uomo superfluo del romanzo di Turgenev, sarà costretto a morire per una causa non sua.
L’odiata democrazia.
Viviana Vacca
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