Fiumicino/Parco Leonardo, 23 agosto, esterno notte. Assisto per la prima volta a un concerto energicamente autogestito. Si tratta del Palco a pedali, ideato da Andrea Satta, voce e leader del gruppo I Tête de bois. Poco più di un centia noi di volontari con la loro bicicletta, posta su un cavalletto e collegata a una dinamo, pedalano durante tutta la durata del concerto e così producono l’energia necessaria a mandare avanti lo spettacolo. Ma la passione per la bicicletta è solo uno degli elementi che caratterizzano il gruppo.
Da oltre 20 anni sulla cresta dell’onda, attraverso un processo creativo comune, il gruppo romano lancia il proprio impegno sociale per il lato oscuro del mondo e proclama le sue radici anarchiche con un nuovo cd in omaggio a Léo Ferré. Partiamo dagli inizi, da quel 15 febbraio 1992, quando a Roma, a Campo de’ fiori, un camioncino FIAT 615 NI del ‘56 si avvicina alla statua di Giordano Bruno e da quel palco ambulante la band comincia a suonare al pubblico di passaggio canzoni di Léo Ferré e Georges Brassens, le poesie musicali di Baudelaire. Quel primo concerto durò quarantacinque minuti, finché il gruppo elettrogeno lo ha permesso. Tutto finì con una multa per sosta vietata. Da allora il gruppo ha realizzato oltre migliaia di esibizioni.
Da oltre 20 anni sulla cresta dell’onda, attraverso un processo creativo comune, il gruppo romano lancia il proprio impegno sociale per il lato oscuro del mondo e proclama le sue radici anarchiche con un nuovo cd in omaggio a Léo Ferré. Partiamo dagli inizi, da quel 15 febbraio 1992, quando a Roma, a Campo de’ fiori, un camioncino FIAT 615 NI del ‘56 si avvicina alla statua di Giordano Bruno e da quel palco ambulante la band comincia a suonare al pubblico di passaggio canzoni di Léo Ferré e Georges Brassens, le poesie musicali di Baudelaire. Quel primo concerto durò quarantacinque minuti, finché il gruppo elettrogeno lo ha permesso. Tutto finì con una multa per sosta vietata. Da allora il gruppo ha realizzato oltre migliaia di esibizioni.
Avanti pop alla riscoop
bandiera rock bandiera rock Il nome della band deriva dalla canzone Âge tendre et tête de bois di Gilbert Bécaud. “La passione per la Francia dei poeti ˗ racconta Andrea ˗, mi viene dall’infanzia, da quando mio padre, professore di francese, insieme ai racconti della guerra accanto al fuoco, mi faceva ascoltare Aznavour, Bécaud, ma soprattutto Ferré e Brassens. |
Da grande, messosi al volante di quel vecchio camion, insieme alla band ha suonato e girato l’Italia per due anni con venti tappe, raccogliendo e documentando, attraverso foto e le illustrazioni di Staino, in ordine cronologico, storie dimenticate, di lavoro, di lotte e di ingiustizie.
Un progetto che ha vinto la Targa Tenco 2007 e che adesso è un libro con dvd Avanti Pop, i diari del camioncino (a cura di Timisoara Pinto, ed. il manifesto, pp. 184, € 15,00). Una storia per tutte, quella di Salvatore Poddighe: “Un poeta autodidatta, nato a Sassari nel 1871. Minatore, poi emigrato, si appassionò alle agre di poesia improvvisata. L’opera che gli dà fama, ma anche guai, è appunto Sa mundana commedia, una lunga risposta – 1848 versi – a quella “divina” di Dante che fu scritta dopo il 1917. La denuncia dell’ingiustizia sociale (“Totu dipendet dae sa faccenda/ de non esser comune sa sienda”) e l’attacco alla religione vennero osteggiati dai fascisti e dal vescovo. Alla fine Poddighe s’impiccò.
Un progetto che ha vinto la Targa Tenco 2007 e che adesso è un libro con dvd Avanti Pop, i diari del camioncino (a cura di Timisoara Pinto, ed. il manifesto, pp. 184, € 15,00). Una storia per tutte, quella di Salvatore Poddighe: “Un poeta autodidatta, nato a Sassari nel 1871. Minatore, poi emigrato, si appassionò alle agre di poesia improvvisata. L’opera che gli dà fama, ma anche guai, è appunto Sa mundana commedia, una lunga risposta – 1848 versi – a quella “divina” di Dante che fu scritta dopo il 1917. La denuncia dell’ingiustizia sociale (“Totu dipendet dae sa faccenda/ de non esser comune sa sienda”) e l’attacco alla religione vennero osteggiati dai fascisti e dal vescovo. Alla fine Poddighe s’impiccò.
Andrea Satta, chapeau!
Nessuno l’ha mai visto senza un copricapo in testa, che fosse un berretto di lana fermato da occhiali da saldatore, un berretto o un semplice cappuccio. Lo riconosci subito, e non solo da questo particolare. Andrea Satta appartiene a quella stirpe di poeti che conosce l’arte raffinata di coinvolgere il pubblico, sulla base di un saggio senso civico, della salvaguardia del bene comune, dell’attenzione per la salute e l’animo della gente. Non poteva che diventare pediatra una sensibilità abituata a uno scambio interattivo quotidiano con cuccioli d’uomo di trentaquattro nazionalità diverse, la maggior par te delle quali di etnie con seri problemi d’inserimento sociale. Quell’immediatezza a conquistarsi le simpatie del pubblico è sicu- ramente anche frutto dei suoi piccoli pazienti. |
Durante il concerto l’ho visto invitare sul palco un ragazzo e una ragazza e messi a giocare sui ritmi di una delle sue canzoni, avviando una sorta di gara stile vecchio “Musichiere”.
La sfida consisteva nell’interpretare a gesti un passaggio della canzone, fino alla richiesta – impensabile – di “esprimere” un aggettivo o, perfino, una proposizione. Il pubblico tutto, parte del quale continuava a pedalare per consentire alla band di suonare, restava coinvolto e divertito in questa sfida. È nella leggerezza, infatti, di un microcosmo poetico senza trucchi, che si muove la bacchetta magica del mago Andrea. Tutto ciò è decisamente affascinante. Ci troviamo davanti a una specie nuova di cantastorie, legato a una sonorità impegnata catturata giorno per giorno nei luoghi oscuri della quotidianità. Li troviamo a esibirsi nelle fabbriche abbandonate, in interventi estemporanei su tram, scale mobili delle metro, stazioni ferroviarie, centri sociali, teatri, per fino al festival di Sanremo. Non c’è contraddizione – dice Andrea in un’intervista –, se ogni tanto facciamo qualche incursione nel sistema degli show è per avere quel minimo di nome che ti consente di andare in periferia a trovare qualcuno/a con cui parlare perché ti ha già sentito nominare.
Interazione, condivisione e seduzione
Credo di poter individuare le componenti alchemiche grazie alle quali i Têtes de Bois – da oltre vent’anni sulle barricate – mantengono inalterati la luce e lo spirito delle loro canzoni, alla base della loro formazione politica, poetica e intellettuale. In primis una forte interazione all’interno di tutti gli elementi del gruppo, aperti al dialogo e pronti a suggerire varianti su ogni stimolo compositivo. Poi, una disponibilità a tutto tondo ad allargare, e quindi a condividere, il messaggio sociale con altri compagni d’avventura, con l’inevitabile, lenta sedimentazione di un pathos collettivo. Nel 2007 li troviamo infatti sul palco dell’Ariston con Paolo Rossi nell’arrangiamento di un inedito di Rino Gaetano In Italia si sta male, oppure con Daniele Silvestri, che traduce e interpreta uno dei testi di Léo Ferré Non si può essere seri a diciassette anni, e poi Moni Ovadia, il Banco”/Francesco Di Giacomo, Nada, Marco Paolini, Ascanio Celestini, Paola Turci, Gino Paoli, Mauro Pagani, Arnoldo Foà, solo per citarne alcuni. È attraverso l’interazione e la condivisione del lavoro dunque che questi chansonnier contemporanei colpiscono, attirano e seducono un pubblico vasto ed eterogeneo.
La sfida consisteva nell’interpretare a gesti un passaggio della canzone, fino alla richiesta – impensabile – di “esprimere” un aggettivo o, perfino, una proposizione. Il pubblico tutto, parte del quale continuava a pedalare per consentire alla band di suonare, restava coinvolto e divertito in questa sfida. È nella leggerezza, infatti, di un microcosmo poetico senza trucchi, che si muove la bacchetta magica del mago Andrea. Tutto ciò è decisamente affascinante. Ci troviamo davanti a una specie nuova di cantastorie, legato a una sonorità impegnata catturata giorno per giorno nei luoghi oscuri della quotidianità. Li troviamo a esibirsi nelle fabbriche abbandonate, in interventi estemporanei su tram, scale mobili delle metro, stazioni ferroviarie, centri sociali, teatri, per fino al festival di Sanremo. Non c’è contraddizione – dice Andrea in un’intervista –, se ogni tanto facciamo qualche incursione nel sistema degli show è per avere quel minimo di nome che ti consente di andare in periferia a trovare qualcuno/a con cui parlare perché ti ha già sentito nominare.
Interazione, condivisione e seduzione
Credo di poter individuare le componenti alchemiche grazie alle quali i Têtes de Bois – da oltre vent’anni sulle barricate – mantengono inalterati la luce e lo spirito delle loro canzoni, alla base della loro formazione politica, poetica e intellettuale. In primis una forte interazione all’interno di tutti gli elementi del gruppo, aperti al dialogo e pronti a suggerire varianti su ogni stimolo compositivo. Poi, una disponibilità a tutto tondo ad allargare, e quindi a condividere, il messaggio sociale con altri compagni d’avventura, con l’inevitabile, lenta sedimentazione di un pathos collettivo. Nel 2007 li troviamo infatti sul palco dell’Ariston con Paolo Rossi nell’arrangiamento di un inedito di Rino Gaetano In Italia si sta male, oppure con Daniele Silvestri, che traduce e interpreta uno dei testi di Léo Ferré Non si può essere seri a diciassette anni, e poi Moni Ovadia, il Banco”/Francesco Di Giacomo, Nada, Marco Paolini, Ascanio Celestini, Paola Turci, Gino Paoli, Mauro Pagani, Arnoldo Foà, solo per citarne alcuni. È attraverso l’interazione e la condivisione del lavoro dunque che questi chansonnier contemporanei colpiscono, attirano e seducono un pubblico vasto ed eterogeneo.
L’amore per la bicicletta
Durante il concerto, terminato un brano, par te una concitata radiocronaca del Giro d’Italia di Claudio Ferretti e Rino Icardi di una mitica tappa sullo Stelvio con un testa a testa tra due quasi-campioni Galdos e Bertoglio, mentre sul maxischermo il pubblico ammira i giochi di sabbia che Licio Esposito crea in diretta su una lavagna luminosa facendo rivivere i fasti ciclistici di un tempo. |
Dopo la partecipazione come inviato al Tour de France (2008) per il manifesto, Andrea Satta ha realizzato nei due anni successivi una spedizione più consistente al Giro d’Italia, insieme a Sergio Staino, inviati dell’Unità. È tutto raccolto nel libro I riciclisti, (con un cd e 4 canzoni sulla bicicletta). L’idea di questo
libro, racconta Andrea in un’intervista, è nata pensando che la bicicletta è
una magica trasformazione, è un’occasione per cambiare le cose in un tempo
concreto, reale, umano. I paesaggi, gli incontri, c’è un’attesa che sembra
infinita e si lascia assaggiare. L’anno passato al Tour ho vissuto molto quest’esperienza
dell’attesa della gente che aspetta l’arrivo dei corridori, e vivere quest’attesa
è stata una delle cose più appassionanti. Un romanzo che racconta le tante
facce e la fatica dell’andare in sella, la bicicletta che portava gli operai in
fabbrica, i preti in chiesa, i comunisti in sezione, i ragazzi a scuola, i
contadini ai campi, e pure le ragazze al mare, i partigiani a morire, i ladri a
rubare, i metronotte a sorvegliare, e quella della “prima volta” quando il papà
insegna al figlioletto ad andare senza rotelle. Al libro è ispirato uno
spettacolo andato in tournée in tutt’Italia durante e dopo il Giro. Nel 2010
esce Goodbike, un cd interamente dedicato alla bicicletta.
Léo Ferré, l’anarcopoeta
È prevista per il prossimo 18 ottobre, nella prestigiosa sede dell’Istituto italiano di cultura di Parigi, il live e l’anteprima del nuovo cd Omaggio a Léo Ferré. Léo Ferré, il trafficante d’amore dallo stile colto e raffinato, innestato di gergo popolare, considerato da André Breton tra i maggiori poeti del secolo, cantore della giustizia e degli anarchici, anime corrose da idee favolose, sempre dalla par te dei disadattati, degli oppressi e dei perdenti, è il faro che da sempre illumina la band romana, è il vuoto fertile da cui scaturiscono e si alimentano i loro testi. Un giorno di maggio, racconta Andrea Satta, negli studi di Radio Blu Sat a Roma (network nazionale satellitare legato al vaticano), fummo invitati a registrare un concerto per l’emittente. Dopo due ore di prove e mentre si accingevamo a incidere, fummo avvertiti che l’esecuzione del brano “Gli anarchici” di Leo Ferré (presente nel cd: “Ferré, l’amore e la rivolta”, ndr) non era gradita. Rinfoderammo gli strumenti e ritornammo a casa senza suonare. Grazie Andrea, per questo gesto. La motivazione ce la fornisce la letteratura, perché, come scrive Elias Canetti in un suo libro, citando Hölderlin, dai poeti ci si sente protetti.
Léo Ferré, l’anarcopoeta
È prevista per il prossimo 18 ottobre, nella prestigiosa sede dell’Istituto italiano di cultura di Parigi, il live e l’anteprima del nuovo cd Omaggio a Léo Ferré. Léo Ferré, il trafficante d’amore dallo stile colto e raffinato, innestato di gergo popolare, considerato da André Breton tra i maggiori poeti del secolo, cantore della giustizia e degli anarchici, anime corrose da idee favolose, sempre dalla par te dei disadattati, degli oppressi e dei perdenti, è il faro che da sempre illumina la band romana, è il vuoto fertile da cui scaturiscono e si alimentano i loro testi. Un giorno di maggio, racconta Andrea Satta, negli studi di Radio Blu Sat a Roma (network nazionale satellitare legato al vaticano), fummo invitati a registrare un concerto per l’emittente. Dopo due ore di prove e mentre si accingevamo a incidere, fummo avvertiti che l’esecuzione del brano “Gli anarchici” di Leo Ferré (presente nel cd: “Ferré, l’amore e la rivolta”, ndr) non era gradita. Rinfoderammo gli strumenti e ritornammo a casa senza suonare. Grazie Andrea, per questo gesto. La motivazione ce la fornisce la letteratura, perché, come scrive Elias Canetti in un suo libro, citando Hölderlin, dai poeti ci si sente protetti.
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