Revue Cinema rubrica diretta da Daniel Montigiani
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Rivista d'arte
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TO THE WONDER
Un film di Terrence Malick Articolo di Daniel Montigiani L’americano Neil (Ben Affleck) e l’ucraina Marina (Olga Kury- lenko), madre della piccola Tatiana, si incontrano e si innamorano a |
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Parigi, partono per Mont Saint Michel per poi decidere di trasferirsi in Oklahoma, luogo dove però, dopo un certo periodo, cominciano ad emergere conflitti nella coppia e, di conseguenza, il sentimento si mette progressivamente a svanire. Con To the Wonder Malick fornisce un’ulteriore, ben sentita conferma di come non tema minimamente di risultare ostico, di apparire stilisticamente sontuoso, di mostrarsi labirinticamente barocco nel gestire e usare fino in fondo i meccanismi della (sua) macchina da presa. Con questa ultima pellicola, il regista americano, dimostrando con una certa enfasi le sue innegabili capacità, pare anche avere l’intenzione di non volersi discostare troppo (anzi, sarebbe forse più corretto dire quasi per niente) dall’atmosfera stilistica che fondava il suo memorabile film precedente, The Tree of Life. Come nel caso del suo film precedente, infatti, Malick, grazie alla mescolanza di svariati elementi, pare dare da subito la sensazione di voler trasformare la sua pellicola in qualcosa di simile a un regale monumento che, col suo fare ambiguamente altero, respinge ma allo stesso tempo attrae e accoglie generosamente al suo interno gli occhi di chi lo guarda (ma forse, vista la calma, spesso calmissima riflessività dei film di Malick, sarebbe più preciso dire di chi ha la pazienza di guardare).
Con questa sua ultima pellicola, il regista americano dis- tribuisce quasi scrupolosamente molte delle idee visive che avevano caratterizzato e valorizzato con capacità di rara bellezza espressiva il suo precedente The Tree of Life. Si ha generosamente a che fare, infatti, con un uso straordi-nariamente movimentato della macchina da presa – così peculiare perché, principalmente, impetuoso ma, allo stesso tempo, delicato – tanto da provare la sensazione che la perso-
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nalissima regia di Malick venga spostata e decisa da un controllatissimo insieme di ventate: infatti, la volante mobilità della regia malickiana sembra rimandare al vento che attraversa, riempie e caratterizza più volte la vastità delle inquadrature. Similmente a The Tree of Life, inoltre, i personaggi, che si trovano spesso – armoniosamente o non – immersi nell’ampiezza evocativa e devastante del paesaggio naturale americano, quasi spazzati via dal vento, vengono ampiamente avvolti, inglobati e valorizzati dalla macchina da presa, la quale però, contemporaneamente, tende anche a non riprenderli totalmente, o a farlo soltanto per qualche istante, oppure a interrompere quasi bruscamente il completamento delle loro azioni.
Altra caratteristica già abbondantemente riscontrabile in The Tree of Life e anche qui discretamente presente è l’alternanza di scene e sequenze di vita (più o meno) quotidiana e famigliare ad altre più esplicitamente visionarie, più universali, che richiamano “spazi altri”, i misteri della terra. Detto questo, andrebbe adesso chiarito che il fatto che To the Wonder condivida diverse (se non tutte) carat-teristiche con The Tree of Life non significa necessariamente che quest’opera sia bella come quella del 2011, o che, addirittura, sia bella
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tout court. Per essere più chiari, infatti, sembra che con To the Wonder Malick, “viziato” dal proprio abbon-dantissimo talento dimostrato in The Tree of Life, cerchi di imitarne goffamente la memorabile atmosfera stilistica. In To the Wonder, difatti, i voli stilistici a base di riprese impetuose e ventose sono talmente reiterati, ripetuti in maniera ossessiva, manierata e nauseante che prendono le sembianze di un esercizio di stile capace di donare un sublime mal di testa. Assolutamente impacciata anche l’alternanza di scene e sequenze “quotidiane” e realistiche a quelle più misteriose, indecifrabili e dal sapore universale: mentre in The Tree of Life queste due diverse dimensioni erano inserite in un’osmosi, subivano un incastro solennemente perfetto, qui ci troviamo di fronte a tentativi mal riusciti di poesia letteraria e visiva.
Si pensi, ad esempio, all’assoluta mancanza di potenza della breve sequenza sottomarina con pesci e tartarughe accompagnata dalla insopportabile voce over della pro- tagonista che si fa (stereotipate) domande sul mistero delle origini della vita.
Con questa pellicola Malick sembra dunque in realtà “imitare” quella precedente, dà l’idea non tanto di emanare bellezza e fascino visivo, quanto ricordare la bellezza quasi scultorea e generosamente monumentale di ciò che ha fatto due anni prima (ovvero, appunto, The Tree of Life). |
Daniel Montigiani
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