Comprendere la complessità di uno dei maggiori autori e artisti del Novecento quale Lucian Freud è piuttosto importante per rilevarne la capacità pittorica e poetica di tutto un secolo di arti visive. Si è spento nel luglio 2011 all’età di 88 anni proprio quando la National Portrait Gallery di Londra stava aprendo una sua retrospettiva personale diventata, così, un’esposizione postuma del grande autore. La carnalità è la parte viva della produzione di Freud, nipote del noto fondatore della psicoanalisi, Sigmund Freud, berlinese di nascita e scappato nel 1933 con la famiglia nel Regno Unito a causa delle leggi razziali, in quanto di origine ebrea. Nel 1954 espone alla XXVII Biennale d’arte di Venezia in compagnia di illustri autori suoi contemporanei, tra cui l’amico Francis Bacon, da cui trarrà interessanti spunti e con cui intesserà un confronto positivo nell’ambito tecnico ed estetico.
Data 1944 la sua prima personale, mentre nel 1939 era stato riconosciuto cittadino britannico a tutti gli effetti, dopo aver prestato servizio mili- tare nell’accademia navale. Dicevamo dell’ossessione per la carnalità che individua in Freud un autore e narratore attento delle pieghe dell’animo umano, quasi fosse una sperimentazione psicologica e introspettiva che si evidenzia con le espressioni facciali e fisiche dei suoi soggetti ritratti.
I suoi quadri riprendono figure, dicevamo, familiari, come la madre, immortalata diverse volte, l’ultima poco prima di morire nel 1984, con lo sguardo sospeso in un vuoto dove gli occhi manifestavano la forza del carattere del soggetto: di una donna che ha sempre maturato grande amore e affetto per il proprio figlio. |
Lucian Freud si inserisce in una storia della letteratura artistica visiva che viene da lontano: si leggono benissimo tratti distintivi di un Rembrandt, di un Van Gogh, fino a giungere alla de- finizione piena di un impressionismo totale che si contamina di un’autonomia che sta nell’analisi introspettiva e interna dei soggetti ripresi. È un’opera, quindi, autobiografica quella dell’autore tedesco naturalizzato inglese: amava ritrarre quei soggetti che costellavano e che caratterizzavano i sogni e le esperienze vissute da lui stesso. Esagerava, quasi esasperandole, le rughe del volto, i difetti del fisico, in questo si vede molto una contaminazione e un confronto imperituro con Bacon, proprio per risaltarne le sofferenze e le passioni avvertite nel proprio inconscio e non esplicabili attraverso la lettura di un occhio distratto e superficiale.
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Le interiorità sono le protagoniste essenziali e centrali della pittura di Freud. Lui stesso dirà dei suoi soggetti che tende a rappresentare quelle «persone che mi interessano e di cui mi importa e a cui penso in stanze in cui vivo e che conosco». È l’espressione che tende a procurare l’autore attraverso il suo lavoro tanto da sottolineare la vigorosità dei nudi immortalati, la loro naturalezza disarmante, l’assenza totale di filtri e finzioni: la veridicità, ecco la punta di realismo che troviamo, ci conduce a riflettere sullo spirito e sull’animo del soggetto, e in questo leggiamo molto espressionismo. Freud, scriverà il suo agente, si inserisce a pieno titolo nel pantheon dell’arte del tardo 20° secolo, tanto da essere riuscito a rivisitare l’arte britannica e a essere comparabile ad altri grandi pittori figurativi di ogni periodo. Arrivò a dipingere anche la stessa Regina Elisabetta II, passando per la madre, come già abbiamo avuto occasione di rilevare la poetica dell’ultima sua rappresentazione, la prima moglie Kitty Epstein, le figlie Bella ed Esther.
È la carnalità che traspare come leit motif di un’intera produzione: la firma che connota l’arte di Freud, l’elemento vitale che conduce a destrutturare, pur mantenendo oggettiva la visione, la figura e a ricomporla sotto un’ottica più intima e penetrante. Freud è un artista in evoluzione mai contento dei templi poetici esplorati, tanto da essere accusato di dare un connotato violento alla visione materica, plastica, reale di una carnalità difettata, quasi scomposta, iperrealistica, eccessivamente deformata, pur mantenendo la propria verisimiglianza e la propria credibilità.
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Inquietudini, curiosità, attrazioni, a volte fastidio: sono le emozioni e le sensazioni che ci traducono e trasmettono le sue opere. Il neoespressionismo diventa colossale in queste opere, data la grettezza e l’asprezza delle visioni espressive della carne che diventano, appunto, dipinto. Esempio di questa caratteristica è il ritratto di Sue Tilley dipinta nella sua eccessivamente mastodontica fisicità adagiata su un divano sfondato: il collegamento strutturale ed estetico tra personalità viva e presente e ambiente circostante diventa esemplificativo connotato, in questa opera, della produzione dell’autore berlinese. Freud diventa ciò che l’espressionismo definiva riguardo un artista: il ponte di dialogo e intermediario tra il mondo e l’autore, tanto da diventare veicolo di messaggi sentimentali e passionali, trasponendo un’idea poetica e una liricità estetica particolari, che superano il limitativo e alienante consueto realismo per darne un quadro generale e una lettura universale di quell’ambiente in cui il soggetto, rappresentato, si inserisce, quasi ne fosse espressione di un soggetto vivente e tangibile.
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Big Sue è una delle persone che affascineranno Freud, colpendo quelle sue ossessioni per una crudezza viva, quasi implacabile e inclemente, che non fa sconti, che porta alla ricerca del vero, dell’iperreale, e non della bellezza, tanto da provocare e da diventare dissacrazione di ogni forma, così come avviene nel suo primo autoritratto del 1943, «Portrait of the hound», o nel ritratto del suo collaboratore David Dawson ripreso col proprio cane, dipinto e ritratto sul finire della propria esistenza. La vita di Freud è stata dedicata integralmente all’arte e alla ricerca nella pittura |
Alessandro Rizzo
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