Revue Cinema rubrica diretta da Daniel Montigiani
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Rivista d'arte diretta da
F. Panizzo e V. Vacca |
Nella casa
Un film di François Ozon di Daniel Montigiani Germain (Fabrice Luchini), professore di francese di liceo, si caratterizza quasi immediatamente per uno strisciante ma in realtà acuto senso di frustrazione, borbottante sentimento causa- to anche e soprattutto dai pessimi alunni della sua pessima classe. |
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Un giorno, mentre in casa corregge i compiti – dei temi in cui gli studenti hanno descritto il loro ultimo week end – si lamenta con la moglie (Kristin Scott Thomas) della “bassa qualità” di questi, di come avrebbe voluto insegnare a scuola la bellezza della letteratura mentre è in realtà costretto a “sporcarsi” con degli alunni che non sanno nemmeno formare un discorso sensato e interessante sul fine settimana.
Tuttavia, in mezzo a tanta bruttezza a base di carta e inchiostro di
questi studenti, un tema “intellettualmente luminoso” di un altro
alunno, Claude, colpisce improvvisamente il professore per le raffinate e
avvolgenti modalità di scrittura che si distinguono dal resto degli
alunni, ma anche per il conte- nuto. Nel suo tema, infatti, l’alunno
sostiene di aver trascorso il week end nella casa di un amico/compagno
di classe, dove, soprattutto, ha avuto modo di “assistere con piacere”
all’affascinante e generosa presenza della ma-
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dre di questo. Alla fine del tema, il ragazzo scrive emblematicamente “continua…”. Il professore, dunque, con sincero interesse per il talento narrativo del ragazzo ma anche munito di morbosa curiosità, spinge il ragazzo a continuare a frequentare la casa dell’amico: in questo modo, Claude potrà continuare a scrivere e, allo stesso tempo, il professore potrà continuare (morbosamente) di volta in volta a leggere il proseguimento della storia.
È – ovviamente - indubbiamente affasci- nante e lodevole affrontare la vita, reinventarla e reinterpretarla attraverso storie, nutrirla con queste, convivere con il continuo desiderio (continuamente soddisfatto) di avere a che far con storie, di avere fame di queste, con la ne- cessità di letteratura, di libri. Tuttavia quello del professor Germain è un caso di “eccessivo”, morboso bisogno di storie, così ingombrante da divenire frenetico, da fratturare in buona parte le coordinate della realtà, ma anche della decenza e del buon senso.
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La direzione di Ozon e l’alta, istrionica interpretazione di Fabrice Luchini (che pretende dal suo dotato alunno Claude con forza sempre più selvaggia la continuazione della storia) danno vita a un personaggio sempre più simile a un grottesco incontrollato e incontrollabile, un grottesco che, con abile e magistrale frenesia, sa narrativamente ed espressivamente rotolarsi in momenti di comicità ma, allo stesso tempo, soprattutto nella seconda parte, anche in altri particolarmente drammatici.
Il caos tragicomico della mente e dei com- portamenti del professore sempre più “biso-gnoso” che il suo alunno continui a scrivere “a puntate” la storia sulla famiglia si ripercuote anche a livello narrativo e visivo sulla struttu- ra del film. Ogni volta infatti che il professore si accinge a leggere le continuazioni della storia sulla famiglia scritte dall’alunno Claude, Ozon le mostra per immagini, per intere scene. |
Con lo scorrere del film viene sempre più da domandarsi se, dunque, ciò
che racconta/scrive il ragazzo su quella famiglia è tutto vero o se ci
sono più elementi inventati dalla sua fantasia talvolta un po’ troppo
curiosa (è, del resto, una cosa che si domanda anche la moglie del
professore nella seconda parte del film).
Ozon, dunque, alternando scene e sequenze reali ad altre che invece potrebbero appartenere in parte (o del tutto) alla fantasia dell’allievo, dà il via a un film dal fascino narrativamente instabile nella sua ambiguità e imprevedibilità, tanto da ricordare la labirintica struttura di alcuni film principalmente di Resnais (L’anno scorso a Marienbad, Providence), ma anche di Bunuel. Il regista fa notare la sua scarsa voglia di cinema classico e lineare a momenti anche a livello stilistico.
Ozon, dunque, alternando scene e sequenze reali ad altre che invece potrebbero appartenere in parte (o del tutto) alla fantasia dell’allievo, dà il via a un film dal fascino narrativamente instabile nella sua ambiguità e imprevedibilità, tanto da ricordare la labirintica struttura di alcuni film principalmente di Resnais (L’anno scorso a Marienbad, Providence), ma anche di Bunuel. Il regista fa notare la sua scarsa voglia di cinema classico e lineare a momenti anche a livello stilistico.
Nella primissima inquadratura, ad
esempio, il pro- tagonista, seduto a scuola, viene ripreso da lontano,
praticamente nell’ombra, una modalità questa dal sapo- re anticlassico,
che non permette allo spettatore di poter “focalizzare” immediatamente
la sua figura; ma la par- ziale non adesione al cinema classico è ancora
più visi- bile nella scelta da parte di Ozon di confondere sogget- tive con
ciò che in realtà è “semplicemente” un insieme di movimenti di macchina o
sguardi in macchina.
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Un film “mosso” da sapienti citazioni (come Teorema di Pasolini e La finestra sul cortile di Hitchcock), una delle opere più tortuose e destabilizzanti di Ozon e, forse anche e proprio per questo, una delle sue più affascinanti.
Daniel Montigiani
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