Revue Cinema rubrica diretta da Daniel Montigiani
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Rivista d'arte
diretta da F. Panizzo |
La città ideale
Un film di Luigi Lo Cascio di Daniel Montigiani Michele Grassadonia (Luigi Lo Cascio), architetto e convinto ecologista, abbandona la sua Sicilia per andare a stabilirsi definitivamente a Siena, luminoso e imbattibile esempio di “città ideale” (soprattutto secondo lui) dove, come in certe città del Nord Europa, la dimensione della natura dialoga (quasi) perfettamente con quella dell’uomo, dell’urbanizzazione.
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Da circa un anno, Michele fa di tutto per essere cittadino ideale all’interno di questa città ideale, ad esempio non usando acqua corrente o energia elettrica. La sua vita a base di azioni verdi e lavoro viene però improvvisamente sconvolta da un incidente, inaspettato e misterioso evento che lo immette in un kafkiano mosaico di sgradevoli e labi- rintiche situazioni. A Michele, a questo punto, la città di Siena sembrerà essere sempre meno ideale…
Dalle prime immagini è dunque ben chiaro come la caratteristica principale, quella più “esclamativa” che nutre la base del personaggio di Michele sia quella del suo ecologismo. Tuttavia, analizzando un po’ più precisamente la “realtà psicologica” di Michele, noteremo ben presto come egli in realtà sia quasi una sorta di “portatore eccessivo” di ecologismo, un ecologista con la E che non si limita ad essere maiuscola, bensì gigantesca, debordante. In sintesi, so- prattutto nel corso del film, è facile intuire come il “flusso ecologista” che attraversa la persona e il comportamento di Michele sia talmente eccessivo e distorto da non risultare del tutto (e veramente) lodevole e stimabile, ma inquinato dalla maniacalità, dall’ossessione fine a se stessa, addirittura da un senso di diabolico. Nel caso del protagonista di questo film, insomma, si può parlare di un “eccesso di ecologismo”, di una “visione maniacale” dell’ambientalismo che alla fine sembra risultare controproducente soprattutto nei confronti della sua salute mentale.
Dalle prime immagini è dunque ben chiaro come la caratteristica principale, quella più “esclamativa” che nutre la base del personaggio di Michele sia quella del suo ecologismo. Tuttavia, analizzando un po’ più precisamente la “realtà psicologica” di Michele, noteremo ben presto come egli in realtà sia quasi una sorta di “portatore eccessivo” di ecologismo, un ecologista con la E che non si limita ad essere maiuscola, bensì gigantesca, debordante. In sintesi, so- prattutto nel corso del film, è facile intuire come il “flusso ecologista” che attraversa la persona e il comportamento di Michele sia talmente eccessivo e distorto da non risultare del tutto (e veramente) lodevole e stimabile, ma inquinato dalla maniacalità, dall’ossessione fine a se stessa, addirittura da un senso di diabolico. Nel caso del protagonista di questo film, insomma, si può parlare di un “eccesso di ecologismo”, di una “visione maniacale” dell’ambientalismo che alla fine sembra risultare controproducente soprattutto nei confronti della sua salute mentale.
Del resto, “l’eccesso” di etica ambientale, la maniacalità (seppur non esplicita) del protagonista di questo film è “respirabile” in più di un’occasione sia narrativamente che formalmente. Per quanto riguarda la parte narrativa, difatti, è lo stesso protagonista che, con apparente distrazione, ammette ad un certo punto di essere un po’ “eccessivo” nell’attuazione di questi suoi principi con frasi come «sono un tipo un po’ fissato con la spazzatura» o «è una mia piccola mania».
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Questa serpeggiante serie di piccole e grandi manie di “esagerazione ecologista” che fanno camminare un po’ storta la mente di Michele è abbastanza visibile anche attraverso il suo sguardo paurosamente famelico, tanto che, per più di un aspetto, il Michele di questa Città ideale ricorda un altro Michele dalla maniacalità più che consistente, ovvero quello di Bianca di Nanni Moretti.
Ma, appunto, tale “maniacalità eccessivamente verde” del protagonista viene ottimamente rappresentata anche a livello visivo-formale. I primissimi minuti del film, infatti, con una stimabile mescolanza di modalità dirette e indirette, si incaricano di mostrare gli “eccessi ecologisti” del protagonista che sembrano sfiorare una sorta di pericolante delirio. All’inizio veniamo infatti introdotti all’interno di una porzione di una stanza dell’appartamento senese di Michele in cui viene mostrata una serie di oggetti e fogliettini su cui sono scritte alcune “azioni verdi” da mettere in atto.
Ma, appunto, tale “maniacalità eccessivamente verde” del protagonista viene ottimamente rappresentata anche a livello visivo-formale. I primissimi minuti del film, infatti, con una stimabile mescolanza di modalità dirette e indirette, si incaricano di mostrare gli “eccessi ecologisti” del protagonista che sembrano sfiorare una sorta di pericolante delirio. All’inizio veniamo infatti introdotti all’interno di una porzione di una stanza dell’appartamento senese di Michele in cui viene mostrata una serie di oggetti e fogliettini su cui sono scritte alcune “azioni verdi” da mettere in atto.
Ma quello che qui conta non è soltanto la visione in sé dei piccoli fogli, ma anche e soprattutto le modalità di ripresa di questi: questa “scia” di oggetti e di fogliettini proambiente appartenenti a Michele viene ripresa lievemente dall’alto con dei sinuosi movimenti di macchina da sinistra verso destra (si tratta probabilmente di una soggettiva del protagonista, una soggettiva dunque stilistica), una modalità di inquadrare
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questa di inquadrare gli oggetti estremamente simile a quella utilizzata da Dario Argento in film come L’uccello dalle piume di cristallo e Profondo rosso, sosoprattutto nei momenti in cui l’assassino/maniaco è occupato a preparare fuori campo i propri strumenti di morte. Tale rapido paragone fra Argento e Lo Cascio, dunque, può forse far capire la “maniacalità” insita nel comportamento “fin troppo” verde del Michele della Città ideale. Ma Lo Cascio riesce a mostrare l’insieme di manie del protagonista anche attraverso il filtro di un’ironia grottesca: in un’inquadratura di una delle primissime sequenze, ad esempio, vediamo il protagonista che, in campo totale, per cercare follemente di non sprecare acqua, si sta facendo rapidamente la doccia con gesti lesti che toccano il comico. Se, dunque, questo personaggio di Michele è ideale soltanto in apparenza (visto che, appunto, il suo lodevole ecologismo si trasforma ben presto in eccessiva mania, quasi ossessivo-compulsiva) progressivamente anche la città di Siena risulta essere ideale soltanto in apparenza o, comunque, non del tutto: da quando Michele si ritrova improvvisamente coinvolto nell’incidente e, ancora di più, da quando comincia – ingius-tamente – ad essere sospettato di esserne l’autore, la città, almeno nei suoi confronti, schiude con spietata generosità buona parte del suo non essere affatto ideale. A tal proposito, Lo Cascio rivela la sua capacità di creare da immagini insospettabili e (almeno in apparenza) assolutamente realistiche un inquietante onirismo (che, tra l’altro, si occupa di mettere ulteriormente in evidenza la dimensione maniacale del personaggio), di fondare interessanti e oscure atmosfere che timbrano alcuni scorci della città di un fastidioso e disagevole mistero. Allo stesso tempo, da quando la dimensione non esattamente ideale della città si rovescia labirinticamente sul protagonista, è possibile notare anche come Lo Cascio riesca con ben pochi effetti a trasformare, rendere le persone (anche quelle più normali) delle specie di colonne minacciose e giudicanti che spingono ulteriormente e ingiustamente il personaggio di Michele a una sorta di isolamento (si pensi, a tal proposito, a certi campi lunghi e totali nella scena in ospedale che racchiudono piccoli, ma inquietanti insiemi di persone che fissano con silenzio vorace e accusante il protagonista).
Anche se, forse, talvolta lo stimabile onirismo e la “bella labirinticità” di questa Città ideale tende un poco a perdersi e a girare intorno al proprio “motore” (soprattutto in alcune zone della seconda parte), questa Città ideale rimane comunque un ottimo esordio che, fra i vari pregi, non teme di risultare brillantemente ostico e lontano dalle tristi orbite commerciali italiane.
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Daniel Montigiani
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