Spring Breakers -
Vacanze da sballo Un film di Harmony Korinne Quattro amiche decidono di trascorrere ad ogni costo una vacanza di primavera a base di eccessi legati al sesso, droghe, alcool, improponibili party. Ragazze che, addirittura, pur di partire, rapinano un fast food. |
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Quando finiscono in tribunale in seguito a certe sregolatezze, incontrano un gangster locale (James Franco) che paga loro la cauzione, dando così inizio a una dimensione ancora più traballante e pericolosa. La parte italiana del titolo di questo ottimo (seppur in più di un’occasione devastante) film di Harmony Korine è davvero poco stimabile; tuttavia, se proviamo ad osservare tale titolo italiano attraverso il filtro di un’amara e paradossale ironia, potremmo persino trovarlo interessante. Per le comparse e i protagonisti di questo film, infatti, almeno fino a un certo punto, queste vacanze saranno anche “da sballo”, ma soltanto in apparenza e, soprattutto, lo spettatore comprende immediatamente che tali vacanze possiedono e dimostrano una sordida tragicità interiore impossibile da spostare dallo sguardo. Vacanze squallide di persone squallide, insomma. Il regista, infatti, facendo uso di un continuo, ipnotico valore ritmico della macchina da presa, della musica (sia diegetica che extradiegetica) e delle voci fa da subito in modo che lo Squallore (nelle sue svariate forme) sia la cifra principale, parlante e ben visibile del film, il comune denominatore praticamente di tutta la pellicola.
La sequenza iniziale, ad esempio, è un roboan- te e caotico insieme via ralenti attraverso campi lunghi, medi e dettagli di corpi maschili e femminili, nudi e seminudi che rozzamente si scatenano ballando, ridendo e bevendo su una spiaggia assolata, una visione che sembra disperatamente incarnare la parte più rozza del divertimento.
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In questo caso, dunque, attraverso soprattutto l’uso quasi devastante del ralenti e di una terribile (e persino inquietante) musica da discoteca che amplifica tale bruttezza visiva, il regista sembra voler tracciare una desolata quanto fredda linea di demarcazione fra i personaggi che si trovano all’interno della “gabbia” del film e lo spettatore. In particolar modo attraverso l’uso di questo denso stile, è come se l’autore volesse far comprendere come i suoi personaggi tutti fatti di squallore sono così ciechi da non capire di essere, appunto, irrimediabilmente squallidi e, parallelamente, al contrario, rendere lo spettatore più che cosciente della terribile tristezza che questi emanano. Come, dunque, questi personaggi sono irriducibilmente squallidi a prescindere da qualsiasi azione da loro intrapresa (non è certo la nudità o un comportamento lascivo a renderli tali), parallelamente, il film emana volutamente, più o meno sempre, un forte senso dello squallore a prescindere da ciò che accade e dai luoghi dell’azione. Difatti, il livello dello squallore rimane alto e intenso sia che i protagonisti e le comparse assumano comportamenti eccessivi (ma anche non eccessivi) nel corso di feste private, sia quando vengono mostrati carceri, tribunali e addirittura rapine.
Spring breakers è un film che mette in evidenza degli eccessi, sì, ma, almeno in due sequenze, anche di tipo completamente opposto a quello del rozzo scatenamento del corpo. Spring breakers è un film che mette in evidenza degli eccessi, sì, ma, almeno in due sequenze, anche di tipo completamente opposto a quello del rozzo scatenamento del corpo. In questi due momenti, infatti, assistiamo rapidamente alle farneticanti parole di un predicatore che, quasi con fare da dj, dice di essere “pazzo di Cristo”, chiede ai suoi ascoltatori “se Cristo li emoziona”, parlandone come se lo stesse per presentare, come se Cristo stesso fosse dietro l’angolo, pronto ad uscire sul “palcoscenico”. Harmony Korine registra con forte soggettività, insomma, una sorta di generico “schifo del dettaglio (del sogno) americano”, desolata caratteristica che potrebbe evocare alcuni film di Larry Clark come Kids (di cui Korine fu sceneggiatore) e Ken Park. E, a proposito di citazioni, anche certe atmosfere dell’Elephant di Gus Van Sant sembrano qui manifestarsi attraverso, ad esempio, alcuni campi totali di ampie e silenziose aule di college. Una “vacanza da sballo”, insomma, come messa in campo del disgusto distribuito dal sogno americano a base di una ricchezza fatta di possedimenti eccessivi e pacchiani, della pericolosa irrecuperabilità della volgarità.
Daniel Montigiani
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