Anna Karenina
Un film di Joe Wright Con Anna Karenina il regista Joe Wright esibisce - si suppone involontariamente - un quasi esemplare esempio di bellezza mancata o, comunque, per essere più gentili, di bellezza riuscita soltanto in parte. Il regista inglese ha scelto di adattare il romanzo a dir poco leggendario di Tolstoj attraverso scelte visive non scontate, senza, cioè, riversare direttamente sullo schermo il più che noto contenuto del libro, senza limitarsi ad attuare una sorta di banale trasfusione.
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Questa opzione è già di per sé stimabile, soprattutto se, come appunto in questo caso, il tentativo di sperimentare per quanto riguarda il rapporto fra il testo narrativo e il film non risulta essere pretenzioso. Proviamo dunque a vedere quali punti di questa pellicola vanno a costituire la parte migliore della visione, e poi, invece, quali sono quelli responsabili della parte decisamente meno affascinante. È, ad esempio, indubbiamente stimabile e interessante la forte teatralità presente in più scene e sequenze, caratteristica rappresentata dalla presenza ben visibile di un teatro, dal fatto che, in più occasioni, la storia è ambientata proprio in un teatro. Tale intenzione di teatralità viene infatti già esplicitata nell’inquadratura che dà inizio al film, un campo lungo del teatro in cui si stanno per svolgere le azioni, al centro del quale è ben visibile il palcoscenico dove è riportata la scritta “Russia 1847”. Un’altra interessante caratteristica legata a questa esibizione di teatro è quella di un diffuso senso di irrealtà, di un interessante rapporto che viene a crearsi fra alcuni elementi della finzione e quelli della realtà. Affascinante, ad esempio, il momento in cui il treno-giocattolo in movimento del figlio di Anna Karenina anticipa di alcuni secondi il treno vero e proprio che la protagonista prende.
Tali caratteristiche (la teatralità e il conseguente senso di irrealtà), unite ai costumi particolarmente elaborati, al décor e anche a una certa inclinazione verso certi morbidi e articolati movimenti della macchina da presa portano a pensare che il regista avesse la lodevole (e, in questo caso, non presuntuosa) intenzione di imitare lo stile dei più famosi film di Max Ophuls, uno su tutti I gioielli di Madame de... .
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Tuttavia, come già inizialmente accennato, i difetti macchiano presto questo film di Wright, talvolta in maniera così evidente da essere capaci di far dimenticare almeno parzialmente i notevoli momenti di interesse, soprattutto visivi. La fotografia, ad esempio, ha un aspetto così laccato che sembra ricordare quel triste e famoso eccesso di pulizia dell’immagine tipico di molti (inutili, ovviamente) blockbuster hollywoodiani.
Inoltre, fatta eccezione per le già discusse, affascinanti contaminazioni di realtà e teatro unite a una certa cura del filmico, la regia di Wright - in particolar modo nella seconda parte del film - sembra subire una vera e propria caduta, come se si addormentasse, limitandosi, ad esempio, ad emettere degli sterili campo/controcampo pesantemente accompagnati da inutili eccessi di scambi di conversazioni.
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Infine, altro difetto purtroppo non indifferente (o almeno, per essere più delicati, altro elemento che appartiene alla dimensione non riuscita del film) è costituito proprio dalla scelta della poco carismatica attrice Keira Knightley che nonostante la sua dignitosa prova di recitazione (soprattutto rispetto alla prova abbastanza disastrosa da lei fornita in A dangerous method di Cronenberg), non sembra davvero disporre della presenza perfetta o almeno adatta per interpretare il personaggio di Anna Karenina, opinione questa che sembra farsi ancora più evidente se facciamo anche soltanto per un istante il confronto con l’interpretazione di Greta Garbo nel film di Clarence Brown del 1935.
Daniel Montigiani
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