Girava a tutto tondo intorno a stanze di realtà velate, quel movimento letterario e artistico d'avanguardia, che ancora oggi ci riguarda e ci perturba, il Surrealismo. Lavorava a rompere la scena influente della modernità, che si andava delineando, facendo dell’uomo un epifenomeno aberrante aggiunto in più all’universo, piuttosto che un suo legittimo frammento. E proprio lo stabilizzarsi in paradigma dell’esser da una parte un io-occhio e dall’altra un oggetto-mondo tentava variamente di far franare, come squartando dello spettatore l’occhio.
Gli autori di segno surrealista non altro volevano infatti che tenere ancora aperto il libro che stava per chiudersi per sempre, della sapienza antica, di quando ben si sapeva quanto ogni parola abbia in sé la potenza di investire il cosmo e il cosmo di rivelarsi nelle parole. Ma qualcosa ci è sfuggito forse, se si parla ancora d’un Surrealismo esposto alla riserva delle pulsioni subconsce e così lo si registra in testi ed enciclopedie. Breton è molto chiaro sulle premesse che impalcano la cosmologia surrealista: il moi subliminal, della psichiatria dinamica di Frederic William Henry Myers, che è altra cosa rispetto all’inconscio che andava esplorando il “Professeur” (Freud). Il moi subliminal non è in nulla e per nulla quel animale disonorevole fuggito dalla cella sotterranea della memoria, ma è più prodigiosamente un dieu caché, il dio nascosto di cui sempre han continuato a parlare esoterici e alchimisti, in ogni tempo. Myers, difatti, paragonava la coscienza in stato di veglia alla regione visibile dello spettro solare, molto ristretta rispetto ai suoi prolungamenti, da un lato e dall’altro, nelle radiazioni assolutamente reali, anche se invisibili, dell’infrarosso e dell’ultravioletto. Nelle bande umane non scoperte alla vista si situa ampio il focolaio vivente del reale e del surreale: le point suprême. Si tratta di “un punto reale, surreale e centrale, situato nello stesso tempo nella realtà soggettiva della coscienza e nell’universo esteriore”. Dava conto, quindi, anche dei tanti e oscuri modi di presenza dell’oggettività, che ci sono come velati nella quotidianità. Partendo da queste premesse la cosmologia surrealista non negava il quaggiù, come l’idealismo, né il lassù, come il materialismo, ma quel che negava era “la loro dislocazione esistenziale”. L’uomo è immerso, fin da qui, in basso, nell’aldilà. L’obstacle qui nous en sépare est donc non pas tant en dehors de nous qu’en nous-mêmes, il consiste en ce seuil énigmatique qui sépare notre moi usuel de notre moi le plus profond, où le singulier s’immerge totalement dans l’universel, où la lucidité ne fait qu’un avec le sens du mystère cosmique. E, allora, la caduta primordiale è essenzialmente una défaillance, cioè la debolezza psichica passeggera dell’uomo davanti alla cecità del fato; debolezza per cui l’uomo è continuamente in balia di quel che gli accade; non cavalca gli eventi, si lascia cavalcare. Già Baudelaire aveva detto che il difetto delle origini potrebbe essere stata “la caduta di Dio”. Nell’uomo resta, sempre, velato, il potere di “renverser le mouvement du destin”; di aprire in ogni momento il meraviglioso che c’è nel quotidiano e in ogni oggetto trovato per caso. Il Surrealismo è allora un grido dello spirito, che ritorna su sé stesso ed è deciso a stritolare disperatamente ciò che lo intralcia, dichiarerà il 27 gennaio del 1925 Antonin Artaud dal Bureau de Recherches surréalistes. La scrittura automatica, quindi, è anch’essa ben altro che un processo di esplorazione psicologica. Essa va considerata nel suo legame forte con le hasard objectif, all’interno d’un pensiero che conta su una sorta di armonia prestabilita. È e va vissuta come il modo di manifestazione verbale del cosmo. Negli esercizi di scrittura automatica c’è tutto il sentimento prodigioso dell’attente, che è “simplement une disposition à l’accueil”, come diceva Gide, in Les nourritudes terrestres (1897), ben altra cosa che l’appréhension moderna, che fa pensare a una terra che “se gerçait de sécheresse comme pour plus d’accueil de l’eau”. Natalia Anzalone
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Fotografia
Un pittorialismo fotografico: l’arte di Francesco Ragno tra forme e geometrie. di Alessandro Rizzo L’art brut diventa arte grezza e
flusso di coscienza tempestoso nelle cromaticità visionarie di Marie-Claire Guyot. di Alessandro Rizzo L’immateriale nel blu immenso e universale
di Yves Klein. di Alessandro Rizzo |
Scrivono in PASSPARnous:
Bruno Benvenuto, Ubaldo Fadini, Tiziana Villani, Claudia Landolfi, Alfonso Amendola, Mario Tirino, Vincenzo Del Gaudio, Alessandra Di Matteo, Paulo Fernando Lévano, Enrico Pastore, Francesco Demitry, Sara Maddalena, Alessandro Rizzo, Gianluigi Mangiapane, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Fabio Treppiedi, Aldo Pardi, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Stefania Trotta, Manuel Fantoni, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Massimo Maria Auciello, Maria Chirico, Ambra Benvenuto, Valentina Volpi, Massimo Acciai, Marco Maurizi, Gianluca De Fazio, Daniele Guasco, Carmen Guarino, Claudio Kulesko, Fabrizio Cirillo, Francesca Izzi, Nicola Candreva, Antonio Mastrogiacomo, Giulia Vencato, Alessandro Baito, Margherita Landi, Mirjana Nardelli, Stefano Oricchio, Manlio Palmieri, Maria D’Ugo, Giovanni Ferrazzi, Francesco Ferrazzi, Luigi Prestinenza Puglisi, Maurizio Oliviero, Francis Kay, Bruna Monaco, Francesco Panizzo.
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