DON’T ASK ME WHERE I’M FROM
Don’t ask me where I’m from è una mostra trasversale itinerante, una emigrazione per il mondo in linea con quella dei quindici artisti selezionati che le hanno dato vita. Questi difatti sono tutti emigrati o figli d’emigrati, dalle radici, appunto, trasversali.
L’iniziativa è figlia di una nuova partnership tra la Fondazione Benetton, ovvero parte del suo progetto Imago Mundi (Imago Mundi è la collezione di Arte contemporanea formata da migliaia di opere che Luciano Benetton ha commissionato e raccolto nei suoi viaggi nel mondo coinvolgendo, in modo volontario e senza fini di lucro, artisti affermati ed emergenti di differenti Paesi, che hanno realizzato ciascuno un’opera con l’unico vincolo del formato 10×12 centimetri. Così recita dal sito della fondazione Benetton) e l’Aga Khan Trust for Culture di Toronto; una mostra presentata a King’s Cross, nella sede dell’Aga Khan Centre a Londra, il 9 ottobre 2019 da Luciano Benetton e, in seguito, giunta a dicembre alle Gallerie delle Prigioni di Treviso fino al 2 febbraio 2020. Potrei parlarvi del concetto di emigrazione, di resilienza, di esilio e di speranza che la mostra vorrebbe muovere. Ma vi lascio alle pagine ripetitive e tutte uguali, omologate agli United Colors Of Benetton, di tutti quei siti che ripetono a pappagallo le ‘imprese’ della mostra. Qui vorrei analizzare il sentimento che più mi ha colpito da ‘viandante’ presso questa mostra e di ciò che difficilmente leggerete in merito nel web. «Ho sempre pensato che il mondo dell’arte sia un forte incubatore di integrazione. Perché l’arte attraverso l’esplorazione di altri sentieri può riuscire là dove la politica non basta», ha dichiarato Luciano Benetton, sì quello stesso imprenditore, protagonista di una bagarre politico-legale che lo coinvolge nello scandalo del ponte Morandi e in tutti quelli derivati dallo sfaldamento quasi settimanale di pezzi di autostrade, ponti e tunnel da lui gestiti (ma meglio dire sfruttati, usiamo le parole giuste), quello stesso fautore di tante altre nefandezze di sua matrice. Nella speranza che la sua fondazione gestisca le gallerie deputate alle mostre, meglio di quanto lui gestisca i “mostri generati dal sonno della memoria” nati nelle sue gallerie e ponti autostradali, sono andato a vedere cosa tratta realmente la mostra Don’t ask me where I’m from nelle Gallerie delle Prigioni, le Ex carceri asburgiche in quel di Piazza Duomo della sua Treviso, dove ho fatto un’esperienza dall’inconfondibile lezzo mercantile: È il trionfo del brand imprenditoriale del Triveneto. Lo stabile è meraviglioso, in sé, diviene un’installazione più intensa delle opere che la mostra ‘ospita’. Sembra che i trascorsi del ‘multicolors’ alla Biennale di Venezia abbiano dato, al ‘mecenate’ dell’arte e al suo staff, decisi spunti d’ispirazione. Sembra infatti di essere in un padiglione ai Giardini di Venezia o all’Arsenale anche se presso le Ex carceri lo è in misura ridotta e tutto a prona firma estetica dei suoi capi d’abbigliamento; è un remade del simbolo dei locali dell’installazione, carceri ovunque, un incasellare a galera ma a ‘modino’ nella città del ’ricco Nord-Est’, e tutto ciò, quando i suoi negozi passano da 3.000, in tutta Italia, a 1.000..
Camminando lungo una sorta di panegirico sull’emigrazione, si assapora uno sviluppo tecnologico-politico lieve ma imperterrito, abile allo sfinimento della motivazione del perché si sia fin lì convenuti, è il tripudio del brand finanziario che, durante ogni stanza di questa Via Crucis, di questa vampirizzazione estetica che prende il sopravvento sulle nostre carenze di personalità e carisma esistenziali, ci espone alle scelte business di un designer da scacco matto.
Purtroppo, invece, tutto questo incorniciare mi ricorda più una vivisezione della vita, prima che una ‘unità di colori’… è l’Imago Mundi dell’ostentata rappresentazione del no profit, prima che il no profit vero e prorpio (visto che non si capisce se il no profit sia da parte degli artisti o del ‘mecenate’?). È l’apoteosi di un inverosimile sentimento incondizionato, più devoto, semmai, al monoteismo economico/tecnologico, contro il quale nessuno riesce più veramente a ribellarsi, adducendo che il tentativo, per ovvie ragioni di sussistenza e sopravvivenza individuali, diviene fallimentare per il collettivo al solo pensiero di attuare una possible ribellione. È così che, allora, ci sentiamo dire dal ‘mecentate’: “Perché l’arte, attraverso l’esplorazione di altri sentieri, può riuscire là dove la politica non basta”, appunto, ma riuscire in cosa signor Benetton? E incalza: “Imago Mundi nasce dalla mia passione, dalla mia vita fatta di viaggi, […] Una decina d’anni fa, a un artista ho chiesto un ‘biglietto da visita’ e lui la mattina dopo ha fatto arrivare in albergo un quadrettino con queste misure; questa è stata la partenza, non era intenzione mia e poi, facendo la stessa domanda, la stessa politica in due anni, me ne sono arrivati 280, ero in Sud America, ho capito che dovevo far qualcosa perché questo patrimonio non si disperdesse e ho iniziato a stampare un catalogo fatto bene perché mi ‘dicesse’ qualcosa in più.”
Brandizzarsi attraverso l’emigrazione, il farsi brand di se stesso sfruttando la figura e il concetto del poveraccio, ma da miliardario e conto terzi. Ho detto concetto di poveraccio, come potrei dire concetto di partigiano 2.0 parlando del movimento delle sardine, capitemi... È facile immaginare cosa intendo da questa inchiesta di Report dove il ‘mecenate’ sfrutta rivenditori privati del suo brand, facendogli investire i soldi di una vita di risparmi per poi farli fallire a comando..: United Victim of Benetton -
https://www.youtube.com/watch?v=7knvcKCF2gA Brandizzare significa, soprattutto in questo caso, omologare, e la brandizzazione dei suoi ‘investitori’ del tessile, trasla in quella più remunerativa, per economia o propaganda, dell’omologazione dell’emigrante nell’arte, dell’uomo sventurato e della disciplina collettivamente più evolutiva per antonomasia: l’arte, e tutto ciò prendendo ‘due piccioni con un quadretto’, o migliaia. Mi auguro davvero l’operazione non funzioni, davanti o dietro i riflettori, ma dubito... Mi auguro siano in pochi a farsi omologare, inquadrettare. Chi è stato omologato non può più fuggire o lasciare una dimensione per entrare in un’altra, egli prende dimora stabile da un’assenza a un’altra assenza, semmai, quella delle proprie pulsioni-traghetto per una potenzialità verso un’autenticità dell’umano, in questo caso l’annullato non esiste se non nell’essere che lo ha omologato o nel prodotto/sistema dell’omologazione.
Ma l’amore si fa in due, o meglio, in due è più nobile non esistere più e divenire altro da sè:
“Groddek precisa essere la copula, un surrogato della masturbazione, e non viceversa, e altrove, cito come a memoria: ‘che cos'è un piacere se non un eccitamento del senso di potenza attraverso un ostacolo che in tal modo lo fa gonfiare?!’ Dunque ogni piacere contiene anche dolore.” [1] Cammino fra le sale delle Gallerie delle prigioni e rimugino questa citazione e altri pensieri: sarà per questo che molti fan di beceri politici odierni si masturbano ‘ideologicamente’, mentre con orgoglio sbandierano, fieramente autoreferenziali, quell’appartenenza a un partito piuttosto che a un altro e nel ritenersi sufficienti a sé, per la paura di provare più dolore che piacere nel mettersi in gioco? Eppure ormai si sa: i nascituri ‘migliori’ nascono dalla mescolanza di geni umani diversi fra loro, dall’amplesso riproduttivo tra appartenenti a etnie geograficamente distanti fra loro, cosicché da questa mescolanza ne risultino figli più intelligenti e belli; maggiormente atletici e prestanti, sia fisicamente che mentalmente. Di fatto, però, per potersi permettere una certa sopportazione al dolore bisogna conoscere anche una buona dose di piacere che deriva dall’esperienza traumatica in sé.
Si è poi specializzata, questa ascesa alla virtualità, nella commercializzazione degli oggetti del quotidiano rivalorizzati attraverso il remade delle loro funzioni in arte (Duchamp), passando per l’arte concettuale (Fontana); continua questo viaggio nel traslare l’oggetto d’arte, in virtù del suo creatore e sostituendosi a questo, ovvero nell’abolizione dell’autore dell’opera, si inizia a dare vita alla sostituzione dell’operato con la figura dell’artista, facendo di questo opera d’arte di sé - Céline, Bene, etc.. etc..; successivamente, e sempre più in brevissimo tempo si è passati al virtualizzare l’opera d’arte nel campo della finanza, addirittura attraverso il work in progress della stima dell’opera durante la sua vendita e anonimizzando l’identità dell’autore (seppure non il suo conto in banca, BankSi.. nomen omen); ulteriore e attuale passo è stato creare un’opera che fosse il fatto in sé di denuncia verso il totale assorbimento dell’opera e del suo autore nel campo, ancora, della finanza (non è più l’opera che fa dell’artista una vera e propria creazione, né il valore economico dell’opera che fa anonimia del suo autore, ora siamo di fronte a un passaggio in più: fare opera d’arte del processo economico e anonimo in sé a favore del potere delle quotazioni in borsa dell’artista/gallerista attraverso una banana appiccicata al muro - Cattelan) e, dulcis speriamo in fundo, pregando che non ne avvenga la celebrazione, storicizzata per davvero, dell’‘‘artificare” l’agente/gallerista/collezionista (Benetton) come atto di propaganda ‘politico-imprenditoriale’.
Peggy non s’imbellettò con più o meno poveri migranti o meglio, molti degli artisti che esaltò con il suo supporto erano davvero emigranti rispetto a molti di quelli soprannominati tali da Benetton.., ma poggiò la sua funzione di mecenate nel voler dar valore alle opere e agli artisti in cui credeva, non era una maniaca della quantità fine a se stessa, né aveva bisogno di propaganda stilistico-politico-etica. Non aveva lasciato famiglie in povertà, né fatto cadere alcun ponte, né aveva ammazzato nessuno. Amava il senso di un’opera o il suo autore con essa, attraverso la sua poesia e a tal punto da volerla far conoscere, acquistare o divulgare, difficilmente un’opera d’arte si perdeva nella quantità innumerevole e anonima di un archivio che sembra più vivere di facili empatie da vendere e date da uno pseudo amore per gli emigrati anch’esso in vendita; non aveva un brand da imporre o sostenere a qualsiasi prezzo..
Ho cercato di ascoltare l’energia di ogni opera esposta lì alle ex carceri, ma tutto quanto descritto finora vi dice quanto il brand abbia ‘esiliato’ ogni mia sensibilità a quelle probabilmente connessa; probabilmente… Francesco Panizzo
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Fotografia
Un pittorialismo fotografico: l’arte di Francesco Ragno tra forme e geometrie. di Alessandro Rizzo L’art brut diventa arte grezza e
flusso di coscienza tempestoso nelle cromaticità visionarie di Marie-Claire Guyot. di Alessandro Rizzo L’immateriale nel blu immenso e universale
di Yves Klein. di Alessandro Rizzo |
ARTISTI PARTECIPANTI
- Daniela Edburg. A Mexican artist born in Texas, she lives in San Migel del Allende, Mexico.
- Elena El Asmar. Born in Florence, Italy, of Lebanese origins, she now lives and works in Milan.
- eL Seed. Born to Tunisian parents in Paris, he currently lives in Dubai, UAE.
- Erica Kaminishi. A Japanese-Brazilian artist, she lives and works between Brazil and France.
- Farihah Aliyah Shah. Born in Edmonton of Guyanese descent, she now lives in Toronto.
- Gui Mohallem. Sao Paulo-based, Brazilian artist with Lebanese roots.
- Houda Terjuman. Born to a Syrian father and a Swiss mother in Morocco, she still lives in Morocco today.
- Jeanno Gaussi. Born in Kabul, Afghanistan, she lives and works in Berlin.
- John Young (Young Zerunge). Born in Hong Kong, he moved to Australia in 1967 and lives in Melbourne.
- Liberty Battson. Born and raised in Benoni, South Africa, to Zimbabwean parents, she still lives there.
- Marija Nemčenko. A Lithuanian artist who grew up there before moving to the UK, she works in Glasgow, Scotland.
- Sarah Maple. Of mixed Kenyan, Punjabi, and British origins, she was born in the UK and still lives there.
- Shinpei Takeda. Born in Osaka, Japan, he is based between Tijuana, Mexico, and Düsseldorf, Germany.
- Sukaina Kubba. An Iraqi-born Canadian artist, she has worked in Canada and the UK and now lives in Toronto.
- Thenjiwe Niki Nkosi. Born in New York, she grew up there, as well as in Harare, Zimbabwe, and Johannesburg, South Africa, where she currently lives.
Note:
[1] Da - Quattro momenti su tutto il Nulla - Carmelo Bene
[1] Da - Quattro momenti su tutto il Nulla - Carmelo Bene
Scrivono in PASSPARnous:
Bruno Benvenuto, Ubaldo Fadini, Tiziana Villani, Claudia Landolfi, Alfonso Amendola, Mario Tirino, Vincenzo Del Gaudio, Alessandra Di Matteo, Paulo Fernando Lévano, Enrico Pastore, Francesco Demitry, Sara Maddalena, Alessandro Rizzo, Gianluigi Mangiapane, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Fabio Treppiedi, Aldo Pardi, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Stefania Trotta, Manuel Fantoni, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Massimo Maria Auciello, Maria Chirico, Ambra Benvenuto, Valentina Volpi, Massimo Acciai, Marco Maurizi, Gianluca De Fazio, Daniele Guasco, Carmen Guarino, Claudio Kulesko, Fabrizio Cirillo, Francesca Izzi, Nicola Candreva, Antonio Mastrogiacomo, Giulia Vencato, Alessandro Baito, Margherita Landi, Mirjana Nardelli, Stefano Oricchio, Manlio Palmieri, Maria D’Ugo, Giovanni Ferrazzi, Francesco Ferrazzi, Luigi Prestinenza Puglisi, Maurizio Oliviero, Francis Kay, Bruna Monaco, Francesco Panizzo.
Bruno Benvenuto, Ubaldo Fadini, Tiziana Villani, Claudia Landolfi, Alfonso Amendola, Mario Tirino, Vincenzo Del Gaudio, Alessandra Di Matteo, Paulo Fernando Lévano, Enrico Pastore, Francesco Demitry, Sara Maddalena, Alessandro Rizzo, Gianluigi Mangiapane, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Fabio Treppiedi, Aldo Pardi, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Stefania Trotta, Manuel Fantoni, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Massimo Maria Auciello, Maria Chirico, Ambra Benvenuto, Valentina Volpi, Massimo Acciai, Marco Maurizi, Gianluca De Fazio, Daniele Guasco, Carmen Guarino, Claudio Kulesko, Fabrizio Cirillo, Francesca Izzi, Nicola Candreva, Antonio Mastrogiacomo, Giulia Vencato, Alessandro Baito, Margherita Landi, Mirjana Nardelli, Stefano Oricchio, Manlio Palmieri, Maria D’Ugo, Giovanni Ferrazzi, Francesco Ferrazzi, Luigi Prestinenza Puglisi, Maurizio Oliviero, Francis Kay, Bruna Monaco, Francesco Panizzo.
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