Riflesso cordiale e lucentezza cosmica Il suono del limite di Arianna De Nicola - Claire Morard -. Articolo di Natalia Anzalone

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Riflesso cordiale e lucentezza cosmica

Il suono del limite

di Arianna De Nicola

Articolo di Natalia Anzalone

Al 16 Civico - Spazio per l’arte contemporanea a Pescara, di nuovo proposte d’arte ed ecosofia, il riflesso cordiale e la lucentezza cosmica di un’arte che suona con tocchi delicati ed efficaci alla porta sempre aperta del non visibile. Lo stridore denso e fulgente tra terra e luna, trasmesso dai televisori giacenti nelle stanze nell’opera performativa di Daniela De Paulis, di cui scrivemmo in “Rumori pastosi al 16 Civico”, ci sorprese a pensare un legame materico più vero dell’azzurro che traspare terso in cielo tra i corpi celesti. La seconda stanza poi, o camera oscura, riservata a un ospite per volta, ovattato da note d’autore in cuffia, apriva all’ascolto d’ogni crepa d’intonaco che la luce, impigliata alla serranda, soffondeva. E anche a quella proposta di Terzo paesaggio dedicammo note letterarie piuttosto che critiche.

Ora ad affascinarci è il lavoro scultoreo e performativo di Arianna De Nicola, giovane artista romana, per l’attento e speciale modo di far riverberare, in prorompente sinestesia, il riflesso cordiale, misconosciuto ormai nel mondo culturale occidentale originato dal cristianesimo, come Galimberti diceva brillantemente qualche giorno fa a Filosofia al Mare. Il cuore di cui qui si parla, infatti, è quello che è sempre stato, per gli antichi e per i popoli che conservano ancora un rapporto con la tradizione, null’altro che mente estesa.

Difficile da comprendere mantinente, da chi fa folla presso questa cultura occidentale, ove il cuore è ormai percepito solo come lo scrigno di un'interiorità, che si pensa di avere la facoltà di rivelare ad alcuni e altri no. Non ci si rende conto più della cosmica presenza del cuore, per cui tutto si rivela per il solo fatto di esistere; non ci si rende conto più che l’invisibile è così tanto a portata di mano. C’è chi la chiama quarta dimensione, o dimensione divina, non intendendo per quarta dimensione il tempo ovviamente, come in Flatlandia Abbott l’accenna: è concepibile seppur non visibile.

Arianna la rivela tintinnando gli spessori della ceramica che dalle sue mani hanno preso forma e rischiano la rottura a causa delle sue stesse mani. Il suo è uno sprizzare oro infiammato su quanto sembra essere assodato, un porre in modo radicale, un sondare, quel che Bateson descrisse mirabilmente in Per un’ecologia della mente: «Si consideri un individuo che stia abbattendo un albero con un’ascia; ogni colpo d’ascia è modificato o corretto dalla forma dell’intaccatura lasciata nell’albero dal colpo precedente. Questo procedimento autocorrettivo è attuato da un sistema totale, albero-occhi-cervello-muscoli-ascia-colpo-albero; ed è questo sistema totale che ha caratteristiche di mente».

Le opere della De Nicola, “Inchioda|ami” e “Appesi a un filo”, esili sculture in ceramica bianca (nylon e chiodi), e “Il suono del limite”, installazione e video performance, nelle stanze con luce diversificata al 16 Civico di Cristian Ciampoli, parlavano l’un dell’altra in lastre di risonanza. E quando davanti al video ci siamo incantati a raccogliere il canto di una mano che inchioda amorevolmente le sue creazioni pur sapendo di poterle anche frantumare, siamo stati ripresi in video a nostra volta, attestati in questa riflessione cordiale che da sempre ci intriga e ci dà da pensare.

Natalia Anzalone

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