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RIVERBERI DEL TEMPO
INTERVISTA A MARIA TSITROUDI
INTERVISTA A MARIA TSITROUDI
A cura e traduzione dall’inglese di Sara Maddalena
È cosa nota che di questi tempi sempre più artisti, soprattutto dell’area mediterranea, ma non solo, trovino in altri paesi dei luoghi di espressione che se da un lato influenzano il loro lavoro, dall’altro donano loro il giusto riconoscimento. Ebbene è in Germania che abbiamo avuto la fortuna di incontrare Maria Tsitroudi, apprezzata coreografa e danzatrice greca, che ci ha gentilmente rilasciato un’intervista in cui ci parla del suo lavoro.
SM: Qual è il tuo percorso artistico, quali sono i tuoi punti di riferimento? MT Il teatro, la danza, le loro trasformazioni, altri riferimenti che possono essere teorici o anche visuali ma elaborati proprio attraverso la teoria, che dona loro una sorta di giustificazione e aiuta a comprendere quali forme estetiche sono più opportune, più vicine alle mie esigenze. E poi l’approccio fisico. A Giessen ho potuto sperimentare una nuova, ampia nozione di coreografia. Tra i miei riferimenti ci sono Christine De Smedt, Jonathan Burrows, Eszter Salomon: il lavoro di quest’ultima è molto intenso, per esempio un assolo in cui ha attivato l’immaginazione del pubblico attraverso la narrazione mi ha molto emozionata. Il mio lavoro è influenzato anche da Ivana Müller, il suo 60 Minutes of Opportunism, ha avuto un forte impatto su di me, è potente il legame che lei crea con il pubblico e con l’immaginazione degli spettatori; ho trovato molto interessante la direzione attraverso le parole e non attraverso il movimento, il suo modo di creare l’azione sul palco non è mera espressione, o questione estetica, ma vera forza drammaturgica. Anche io faccio questo tipo di ricerca, per esempio nel mio ultimo lavoro, Apricot trees exist or an impossibile walk, il movimento appare come estensione della camminata, come modo di esistere in scena, trovarsi spazialmente in scena: camminare diventa qualcosa d’altro. SM: Quanto vieni influenzata dal tuo background culturale? MT: È inevitabile essere influenzati dal proprio background culturale, non è possibile non includere la propria storia nella propria opera. Apricot trees exist or an impossibile walk è un lavoro sviluppato in due, tre anni ed è in stretta connessione con la mia esperienza personale. Essere in Germania, inizialmente significava sperimentare il fatto di essere fisicamente in un luogo e nello stesso tempo astrattamente in un altro luogo: sussisteva una coesistenza di diversi luoghi nello stesso tempo, il luogo reale e quello virtuale che viene da frammenti del passato. Non era una cosa intenzionale, semplicemente era così. Quindi nel 2015 ho ideato una performance, un assolo che si chiamava Intimate walk in cui ho lavorato anche sulla possibilità di avere, grazie al ricordo, un’esperienza trascendentale. Sono rimasta colpita dalla lettura di Walter Benjamin e dalle sue idee sul materialismo storico, quando parla degli eventi storici dicendo che non debbono essere trattati come punti in una linea della storia ma come qualcosa che può riapparire e ricostituire momenti del presente e del futuro. È interessante la sua idea del legame tra la memoria personale e i fatti storici, perché la memoria personale è un frame della memoria sociale, un’estensione di momenti storici. Benjamin dice anche che lo storicismo non ha dato abbastanza valore all’esperienza personale, che è una parte degli eventi storici: ebbene, in un certo senso io ho trattato la mia esperienza, la mia memoria personale, come fatto storico. Quindi, ricordando Proust e Alla ricerca del tempo perduto, in cui c’è la sperimentazione di momenti di puro passato che arrivano inaspettatamente nel presente, ho cercato di creare una coincidenza tra percezioni temporali, ovvero il tempo “lineare” che passa, e una temporalità “virtuale” che interrompe questa durata e coesiste con essa, ricostituendo il momento presente. Questa esperienza della temporalità viene appunto dalla mia personale esperienza dell’essere in Germania. SM: Quando e come si è sviluppato Apricot trees exist or an impossibile walk? MT: Tra la primavera del 2014 e l’estate del 2015 ho scritto dei testi, ho lavorato su una serie di elementi che generano azioni e spazi, nomi, colori, enumerazioni, oggetti. Ho analizzato la materialità del linguaggio, la qualità e la percezione del tempo, l’interruzione come linguaggio poetico. La presenza di certi oggetti diviene quindi una modalità espressiva per territorializzare lo spazio, per rendere visibile la percezione e la durata del tempo. SM: Qual è la tua idea del corpo in scena, quale dispositivo poetico, percettivo, estetico? MT: Il modo di mettere in scena il corpo è stato oggetto di discussione con i performer che lavorano con me, soprattutto a un livello estetico, perché a Giessen c’è un'altra tradizione ed era difficile per gli artisti essere corpi danzanti, tanto estetici quanto astratti, presenza nell’hic et nunc, in connessione con il pubblico ma nel contempo corpi astratti da materialità. Attraverso la loro fisicità devono poter espandere la concezione dello spazio e del tempo. I momenti lenti e silenziosi creano un cambiamento nella percezione del tempo, nel presente e nel presentismo, portando il pubblico in un altro spazio e tempo, ma tornando pur sempre nel momento presente attraverso istanti in cui invece si connettevano con il pubblico, rendendo l’esperienza più concreta. Si creava pertanto una sorta di fluttuare da corpo astratto a corpo reale, materia nel presente, da corpo poetico a corpo percepito attraverso le condizioni spazio temporali. Non si tratta, come qualcuno ha detto, di aspetti puramente metafisici, bensì della capacità di andare verso l’invisibile, verso ciò che non è immediatamente visibile nel presente: se per alcuni è stato percepito come metafisico o sacro, questo forse dipende da come ciascuno vive la propria vita, dalla diversa sensibilità di ognuno. Certamente attribuisco valore all’invisibile, perché mi attrae ed è parte di me, ma non intendo per questo essere mistica, voglio invece creare la coscienza della presenza di qualcos’altro dietro gli oggetti, della percezione oggettiva o soggettiva della realtà: è una tematica che mi ha sempre interessata, in tutti i miei lavori ho indagato il rapporto tra reale, visibile, numerabile, ciò che è presente nella realtà ma non può essere tradotto in un linguaggio. SM: Silenzio e luce sembrano essere elementi fondamentali nel tuo lavoro. MT: Il silenzio è un elemento molto importante dello spettacolo. Ho personalmente sperimentato il corpo immerso in un’altra percezione del tempo: quando il tempo si espande il corpo diventa molto sensibile nel suo essere immobile, passivo. Attraverso lo stato di passività viene ampliata la percezione del tempo, le condizioni di ascolto, di percettività. Se fisicamente ero lontana, mentalmente ero in stato di attenzione, e attraverso questa percettività ho potuto connettermi con la materialità del linguaggio, ho potuto tradurre uno stato esistenziale in materia per il linguaggio, questo tipo di sensibilità si è rivelata una sorta di precondizione per territorializzare lo spazio della performance. A ogni modo nello spettacolo è presente anche il suono su cui abbiamo lavorato con il sound designer per sottolineare certi contrasti, la rivelazione del linguaggio e di ciò che non si può tradurre in parole, la silente immobilità interrotta da un suono esterno e così creare un autonomo paesaggio di rumori che interrompe il silenzio inteso sia come qualcosa che può essere trafitto sia come elemento dominante. Anche la luce è molto importante perché molti ricordi sono stati creati dalla luce. Si pensi per esempio a quando si è in una stanza, una nuvola passa e il sole entra: ebbene se la mia stanza è la mia mente, così come la luce che improvvisamente appare, qualcosa visita la mia mente, inaspettatamente, offrendo un diverso momento e ricordo, in questa concezione anche la luce può costruire un tempo, interrotto o continuato. Un ricordo involontario può trasformare il futuro, dare la necessaria energia per progredire. SM: Qual è il senso della ripetizione nel linguaggio coreografico che utilizzi? MT: La ripetizione è molto usata nel linguaggio performativo ma personalmente lo intendo come elemento per trasformare il tempo, convertire un tempo astratto in uno più meccanico, un tempo che domanda un’attività e attraverso il quale si raggiunge questo stato d’essere e di fare, si riconquista il contatto con il tempo interrotto e produttivo. SM: Quale è il ruolo della danza per te? MT: La danza è pura gioia, non produce qualcosa che ha un valore sul mercato ma produce movimento ed energia, energia che dà gioia, e questo è già di per sé un atto rivoluzionario. Mi ritengo molto fortunata ad avere avuto la danza nella mia vita: è un mezzo per comunicare, per lavorare, per insegnare, rende possibile essere, esistere, in questa società. Immagino sia lo stesso sentimento che i musicisti hanno per la musica e anche in questo caso attraverso una traduzione, da qualcosa di astratto sorgono sentimenti reali, influenzando il modo di essere, produrre, esistere, uscire dagli schemi, verso un’altra percezione del tempo, del modo di pensare, di se stessi, della presenza nell’essere. Ci sono tante forme di danza, forse un corpo danza anche quando cammina, quando l’aria sfiora la superficie della pelle e trasforma la camminata in qualcosa di un’altra qualità. La tecnica in danza come in altre discipline è un mezzo per superare la materialità del corpo, trascenderlo, riconquistando l’essere e la sensibilità: un corpo danzante è un corpo che resiste, in una società che tende invece a voler controllare il soggetto. Sara Maddalena
Scrivono in PASSPARnous:
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INCAMMINANDOSI VERSO IL FUTURO
di Sara Madddalena Eros, impulso
vitale e necessario di Sara Maddalena |
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