Nella produzione di Fabio Adani notiamo una reinvenzione in chiave soggettiva di una propria corrente culturale artistica, quella che ha saputo unire insieme i canoni stilistico estetici e compositivi e i parametri individuanti le fondamenta ideative di un’opera dello stile romantico e dello stile metafisico, metaempirico, non necessariamente liquidabile come semplicemente e meramente astratto e concettuale di un’opera: la produzione di Fabio Adani ha acquistato nel procedere dei suoi anni formativi e, quindi, anche esperienziali, una dose di sapienza, chiaramente e inevitabilmente, ma anche di capacità esecutiva che vede una ripulitura progressiva dell’immagine, della figura e della rappresentazione.
La nitidezza delle cromie si addentra in un percorso introspettivo che rende la tela totalità di una narrazione, in cui l’elemento oggettivo, la luce diventa base figurativa, immateriale e impalpabile, elevandosi a elemento artistico descrittivo e costitutivo dell’opera stessa. Il simbolo gradualmente si palesa sulla tela e si fa presenza diafana in un contesto altrettanto evanescente, aereo e impercettibile se non attraverso quella sintonia, che altro non è che accoglimento da parte dello spettatore della richiesta di attenzione e dell’ipotesi di lavoro proposta dall’autore, estetica e di comprensione del significante. Il simbolo richiama all’osservatore idee di concetti interiori, elementi di indagine introspettiva, affascinanti segni che ci addentrano nei meandri dell’animo umano e nella conoscenza di quella verità esistenziale che diventa comunicabile solamente tramite la finzione dell’arte, l’inganno della composizione visiva, estetica, immaginifica: un inganno che diventa verosimile e che ci apporta nel gioco della probabilità, quell’opzione che richiede una complicità tale da saper tradurre, insieme all’opera dell’autore, il linguaggio utilizzato dallo stesso per trovare quella chiave interpretativa della verità, che è bellezza e che trova nella bellezza la sintassi espositiva ed espressiva più qualificata. La pittura di Fabio Adani ci dona sensazioni che vanno oltre alla contemplazione visiva: sembra quasi immergerci pienamente in una dimensione lunare, onirica e immaginifica, metaempirica e sovraterrena, dove si sentono suoni inattesi e mai esplorati, dove si percepiscono odori tipici di un’ambientazione in cui l’aria si rarefà in una visione complessiva fatta di luci e di gradazioni cromatiche utili a donarci una prospettiva panoramica irreale, surreale, che si proietta in una dimensione altra e ignota, ma funzionale a darci quella sensazione e quella impronta emotiva che sono niente altro che viatici che ci conducono nella definizione di una visione interiore. È in questo ambito che si esprime quel canale esperienziale unico e universale che ci porta a conoscere e interpretare il cammino vitale dell’autore, elevato a espressione universale di itinerari esplorativi esistenziali, in cui riconoscersi attraverso l’impeto visivo ed estetico dell’opera, quella raffinatezza delle cromie e quella definizione aleatoria e diafana delle figure e dei simboli, che gradualmente affiorano da un contesto remoto, quello delineato attraverso una prospettiva non canonica, ma presente e avvertibile, quasi spiritualità evanescente e sintassi astratta, funzionale a interpretare messaggi crittografati. La scelta tecnica non risulta svincolata dalla poetica concepita dall’autore e dal risultato estetico compositivo, quest’ultimo elemento si evidenzia in tutta la propria fermezza e determinazione, indice, questo, di una sicurezza compositiva dell’autore e di una convinzione del percorso esecutivo e ideativo dell’opera, ma si dimostra essere direttamente proporzionale alla stessa, in quanto sintassi attraverso cui l’autore si può esprimere con i simboli e i segni che altro non sono che quegli elementi figurativi accennati, quelle immagini non definite, quegli oggetti non ben contornati che si palesano all’interno di una texture bianco su bianco, in cui maggiormente si rilevano le ombre e le unità chiaroscurali che si avvicendano, presentandosi agli occhi dello spettatore nella loro unità caratteristica metaforica e allegorica. Le opere di Fabio Adani sono tele che vivono di una monocromia che si diffonde tramite una gradazione delle tonalità e che ci avvolge e coinvolge in un’esperienza visiva unica nel momento in cui ci incanta e ci convince nella sua finzione scenica che sembra essere verosimile e, quindi, inganno ottico che ci trasmette attraverso i canali percettivi emozioni e sensazioni, unici linguaggi che traducono in visione l’analisi delle condizioni dell’uomo post moderno, nella sua complessità e dualità, nella sua contrapposizione fatta di elementi contrastanti e contraddittori. La pittura nella produzione di Fabio Adani diventa spartito all’interno del quale si percepisce l’armoniosa composizione di una narrazione fatta di significanti: l’acquerello, che solo a una prima osservazione risulterebbe scelta piuttosto comune, diventa un supporto tecnico molto importante per la finalità artistica che l’autore si propone attraverso le sue opere. L’acquerello risulta essere l’unica tecnica che rende la cromia diluita e avvolgente nella totalità la tela, tanto da risaltare i lati chiaroscurali della composizione e giocare con la luce e le sue rifrazioni. L’essere appare e come tale finge, pur mantenendosi in un inganno reale e verificabile: in questa ottica troviamo una delle chiavi interpretative delle opere di Fabio Adani, che vuole esserne denuncia e che vuole portarci a concepire il vero attraverso l’impeto della bellezza infinita e iconografica. Fabio Adani procede attraverso segni, dicevamo, che diventano significanti estetici unici: vediamo sagome di esseri umani, una moltitudine disposta su due file, che si affacciano sul centro della tela, così come un unico soggetto accennato che si imbatte in una grandissima stanza, la solitudine di colui che cerca l’io reale, veritiero, all’interno di un mondo pieno di maschere, quelle maschere che celano l’identità ma che, allo stesso tempo, la confermano, elevando l’icona stessa, l’apparire, a simulacro sacro. Diventano suggestivi i polittici, diversi, che Fabio Adani ha realizzato, in cui sono le cromie ad alternarsi e a vedere l’utilizzo di colori anche osati, poco frequenti e, direi, difficili da trattare e da adattare, quale l’oro in una monocromia che ci suggerisce quasi un ritorno di certe visioni bizantine e che ci immerge in un contesto irreale e metaempirico tale da donarci visioni continue interiori che si attivano grazie all’aprirsi di brecce luminose e luminescenti, aperture che ci affacciano in territori inesplorati, affascinanti, magari ingannevoli, come ingannevole è l’apparenza, ma densi di contenuto reale e veritiero nel suo impatto visivo unico e dirompente. Alessandro Rizzo
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di Yves Klein. di Alessandro Rizzo Un esempio di architettura integrata: la Fondazione Maeght.
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